Il profumo del giglio
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Il profumo del giglio
Quando suona la campanella dell’ultima ora aspetto che Annette esca, la seguo a distanza fino alla strada, la guardo salire su una macchina scura, una Opel, che parte e si allontana, finché la perdo di vista dopo che ha svoltato all’incrocio.
Questa è una giornata densa di eventi cruciali: è la fine dell’estate, l’inizio del mio interesse per le ragazze e il giorno della mia totale riconciliazione con il popolo germanico. Penso che l’intero universo oggi abbia fatto un decisivo passo in avanti verso l’Età dell’Acquario.
***
– Ciao nonno.
Sta leggendo il giornale in soggiorno, inclina un po’ la testa per guardarmi da sopra gli occhiali da lettura.
– Claudio, com’è andata a scuola?
– Bene… senti, ti volevo chiedere una cosa…
Piega in due il quotidiano e lo appoggia sul divano accanto a sé. Io mi siedo sulla poltrona.
– Dimmi pure.
– Oggi, dopo pranzo, viene una mia compagna di classe a fare i compiti, andremo in camera mia e…
– Mmm… – bofonchia – Ma non è meglio se di queste faccende ne parli con il babbo?
– Cosa? No, no, ma che dici!
Mi alzo, sono un po’ in imbarazzo, ma non per il motivo che crede lui.
– È solo che… lei si chiama Annette, è tedesca. Cioè, i suoi lo sono, tedeschi, cioè…
Mi guarda un po’ accigliato.
– E quindi?
– Beh, ecco, voglio dire… lo so che tu… insomma, con i tedeschi…
– Io? Con i tedeschi cosa?
Accidenti, mi sembrava così facile mentre ci pensavo tornando da scuola.
– Dai nonno, hai fatto il partigiano, tu i tedeschi li hai combattuti e…
Mi interrompo perché si mette a ridere. Riprende il giornale, poi lo posa di nuovo.
– Quindi era questo il problema?
Si toglie gli occhiali e si massaggia la parte alta del naso.
– Claudio, io non ho niente contro i tedeschi. Li ho combattuti, è vero, ma è stato tanto tempo fa e quelli erano nazisti. Non ce l’ho con tutti gli abitanti della Germania, ma solo con quelli che stavano con Hitler e la sua combriccola.
Si china un po’ in avanti e mi guarda negli occhi.
– Anche allora non credevo che tutti quei soldati fossero cattivi. Di sicuro c’erano tanti poveracci che avrebbero preferito starsene a casa loro a mangiare kartoffel, solo che c’era la guerra e loro erano qui, a casa nostra, a spararci addosso, a obbedire agli ordini. Sono sempre quelli che comandano i gran bastardi!
Fa una pausa, penso che stia tornando con i ricordi a quei giorni terribili.
– Vedi, anche gli italiani, non dico tutti, ma parecchi, erano i nemici per noi. I fascisti. Dopo il 25 aprile io li avrei voluti trovare tutti, fare piazza pulita. Quei maledetti che avevano portato questo paese alla rovina!
Ora ha gli occhi lucidi, sospira, poi riprende.
– Ma non l’ho fatto, non l’abbiamo fatto. E forse è stato uno sbaglio… allora, alla fine della guerra credevo che le cose sarebbero cambiate, che quelli che…
Non finisce la frase. Guarda il giornale e con un gesto rabbioso lo butta per terra.
– Ma per che cosa abbiamo lottato? – mormora quasi fra sé.
Poi si alza.
– Dai, andiamo a vedere se è pronto da mangiare
Fa due passi, poi si ferma.
– Non ti preoccupare, non ho niente contro la tua tedeschina. Magari con suo nonno ci siamo presi a fucilate qualche volta, su in montagna. Quando viene glielo chiedo.
– Nonno!
Gli è tornato il buonumore.
– Scherzo, Claudio, non ti preoccupare. Vieni, non facciamo aspettare il babbo, quel brontolone!
Mentre esce dalla stanza raccolgo il giornale. Il titolo in prima pagina parla di un certo cardinale Casaroli che ha firmato un nuovo concordato fra stato e chiesa con il primo ministro Craxi.
Penso che mio nonno oggi mi abbia insegnato qualcosa, ma credo che mi ci vorrà del tempo per capire di preciso che cosa.
***
Esco da scuola e vedo mio padre appoggiato alla macchina, che mi aspetta. Gli vado incontro un po’ sorpreso, non aveva detto che sarebbe venuto.
– Ho accompagnato il nonno a ritirare la pensione alle poste, poi, visto che eravamo in giro, siamo venuti a prenderti.
Apro la portiera posteriore, butto lo zaino sui sedili ed entro nella Volvo.
– Ciao nonno.
– Ciao Claudio, com’è andata a scuola?
– Tutto bene, niente di particolare.
– E la biondina?
– Annette? Forse dopo vado da lei a fare i compiti.
Certo che ci vado. È stata lei a chiedermelo o l’ho proposto io? Non me lo ricordo, eppure, ora che ci penso, mi sembra un dettaglio importante.
Mio padre mette in moto e parte, dopo un po’ accende la radio. Da un paio di giorni nei notiziari non si parla d’altro.
“…la Tass ha dichiarato che l’esplosione del reattore della centrale nucleare ucraina ha causato due morti, mentre sarebbero circa duecento i feriti. L’agenzia di stampa sovietica, quindi, smentisce le prime notizie che parlavano di centinaia di vittime. Ma in tutta Europa cresce la preoccupazione per gli effetti della nube radioattiva. Secondo gli esperti, i paesi a rischio immediato sono la Finlandia, la Norvegia e la Svezia. Intanto la popolazione delle aree intorno a Cernobyl è stata evacuata e…”.
Mio padre guarda per un attimo il nonno.
– Hanno fatto un bel lavoro i compagni, eh?
– Che c’entra! E poi sono sicuro che c’è sotto lo zampino degli americani!
– Sì, sì, gli americani, certo… è sempre colpa degli americani, vero?
– E i missili su Lampedusa, allora?
– Ma che stai dicendo! Quelli li ha lanciati Gheddafi!
– Sì, ma hanno cominciato gli americani! Hanno bombardato loro Tripoli!
– Ma che mi tocca sentire! Quello è un pazzo, un dittatore… e poi questa è un’altra faccenda, questo casino l’hanno combinato i russi.
Continuano per un po’ a battibeccare, poi mio nonno guarda fuori dal finestrino.
– Ma dove vai? Non mi porti alle poste?
– Alle poste? Un’altra volta? A fare che? Ci siamo stati mezz’ora fa!
– Ma che dici? Dai, andiamo, devo ritirare quei quattro soldi che mi danno e…
Il vecchio si ferma a metà della frase, sembra non riuscire ad andare avanti.
Mio padre si volta di nuovo verso di lui, quando parla ha un tono preoccupato.
– Babbo, non ti ricordi? Hai appena ritirato la pensione. Hai messo la busta in tasca, guarda, ci dev’essere anche la ricevuta…
Il nonno prende una busta bianca dalla tasca del soprabito, la apre. Mi aggrappo alle spalliere dei sedili anteriori e mi sporgo per vedere. Nella busta ci sono delle banconote e un foglietto stampato. La tiene in mano come se non capisse da dove salta fuori, nessuno parla più, solo la radio: “…gli esperti ritengono che si tratti del peggiore incidente nucleare della storia, assai più grave di quello accaduto a Three Mile Islands nel 1979. Soltanto nelle prossime settimane sarà possibile stabilire un bilancio effettivo della…”.
Alzo gli occhi e incrocio lo sguardo di mio padre nello specchietto retrovisore.
Forse lui sa già che quello è il primo segnale della malattia di mio nonno.
***
Sarà la decima volta che vediamo la colonna di carri armati e quell’uomo con i sacchetti della spesa, Annette spegne la TV.
- Pensa a quanto siamo fortunati, potevamo nascere là.
Lei ignora la mia ingenua retorica, sembra distratta. Cerco di ricordare in quale esatto momento il nostro sentire ha smesso di essere comune, quando il mio è rimasto indietro, un po’ distaccato.
Si alza e va a rovistare fra i libri sullo scaffale, prende un volume, lo osserva e lo rimette a posto, ne sceglie un altro e lo apre. Non vedo la copertina, ma scommetto che è Prevert. Legge una frase ad alta voce, sì, è Prevert.
- Bisognerebbe tentare di essere felici, non fosse altro per dare l’esempio.
Mi sento in colpa e non capisco perché. È tutto il pomeriggio che cerco il momento giusto, non l’ho trovato, ma glielo dico lo stesso.
- Mio nonno sta sempre peggio. Ieri i miei ne parlavano, il dottore ha consigliato una struttura…
Con il libro in mano mi guarda, so quanto Annette le sia affezionata.
- Un ospizio?
- Qualcosa del genere, un posto dove lo possono curare.
- Tu che ne pensi?
Non lo so, cerco solo di sembrare più sicuro di come sono. Vorrei dire altre cose, vorrei che tutto fosse come prima. Vorrei, ma forse non posso e basta.
- È la cosa migliore, per lui.
Mentre ripeto le parole di mio padre rifletto sul significato che diamo all’espressione “la cosa migliore”. Mi arriva come un’epifania in tutta la sua soggettività: esiste sempre un confine fra quello che pensiamo sia giusto e quello che lo è davvero. Per alcuni è un deserto sterminato, per altri è un breve sentiero, in ogni caso ora capisco quanto sia faticoso attraversarlo.
***
– E così sei pronta a mollare tutto? Hai proprio deciso?
Annette non parla e non mi guarda, continua a giocherellare con il portachiavi.
Le cose ormai vanno un po’ così fra di noi: lei parlava di andarsene e io pensavo che fosse tanto per dire.
– Non mi rispondi più neanche? Che ci è successo Annette?
– Claudio, guarda, non è come credi… davvero, qui non mi ci sento più, mi sembra di sprecare il mio tempo.
– Ho capito, e pensi che in Germania le cose andranno meglio?
Sospira.
– Non lo so, credo che cambiare aria mi farà bene. È solo per un anno, un anno e mezzo al massimo.
– Un anno e mezzo… è tanto tempo.
– Ci ho pensato, davvero, ci ho pensato. Staremo lontani per un po’, ma per le vacanze e per Natale ci vedremo, non è un addio, è solo una pausa.
Una pausa. A me sembra la fine.
– E che farai? A questo ci hai pensato?
– Beh, intanto un posto dove stare ce l’ho. Mia nonna ha una casa grande, ora è sola. Mi ha detto che dopo la caduta del muro ci sono un sacco di possibilità a Berlino. Magari farò dei corsi d’arte, lo sai che mi piace disegnare.
– Ma l’università, tutti i progetti…
– Sai, non credo che sia così importante. E poi ora non riesco a immaginare cosa voglio fare da grande.
Mi appoggio alla sua Renault 5 bianca. Non so più che dire.
Si avvicina e mi abbraccia. Ci baciamo.
Accarezzo i suoi lunghi capelli biondi, sono soffici come la prima volta che li ho toccati.
– Pensaci, magari potresti decidere di venire anche tu, prima o poi.
– Certo, chissà? Forse non sarebbe una cattiva idea.
So di mentire a me stesso, ma non ne posso fare a meno. Il mio mondo sta crollando, pezzo dopo pezzo.
***
– …pulviscolo atmosferico! Allora non si parlava d’altro. Era ovunque, bastava un raggio di sole che filtrava dalle tende e lo vedevi. Tutte quelle particelle microscopiche che danzavano nell’aria, sempre in movimento, inafferrabili. Poi ci hanno portato via tutto, i nostri sogni, le speranze… quei porci dei politici si sono presi tutto! Anche il pulviscolo atmosferico! Io me lo ricordo bene, ma ora non lo vedo più, non lo vedo più…
– Nonno, forse è perché non ci vedi più bene, i tuoi occhi non sono più quelli di una volta.
– Ma che diavolo stai dicendo? E tu chi sei? Che ci fai qui?
– Nonno, sono io, Claudio. Non mi riconosci?
– Claudio? Non conosco nessun Claudio! Ti hanno mandato loro? Ah! Gli faccio ancora paura, vero? Sono vecchio, ma quelli come me vanno tenuti d’occhio, eh? Io non dirò niente, mi porterò i miei segreti nella tomba! Diglielo, diglielo pure, con me non c’è niente da fare!
Mi alzo e vado alla finestra. Sta piovigginando, una leggera pioggia d’aprile, fresca e finissima, simile a rugiada. Fra le nubi si è aperto uno squarcio e il sole fa capolino, disegnando un tenue arcobaleno che finisce oltre il tetto del palazzo di fronte, dopo il giardino.
– …quelle minuscole particelle di polvere che danzavano nell’aria…
Guardo giù, la panchina su cui ci siamo seduti tante volte con il nonno. È bagnata, ma non troppo, l’albero l’ha in parte riparata dalla pioggia. Un giorno che lei mi aveva accompagnato, sarà stato l’estate scorsa, eravamo tutti e tre a goderci l’ombra di quel leccio.
– …il governo, sono stati loro…
Mi volto a guardare il vecchio, ripiegato nella poltrona, con le gambe coperte da un plaid, perso nel suo mondo di ricordi, alcuni veri altri solo immaginati, ma non per questo meno reali per la sua mente corrosa dall’alzheimer.
– …io ho combattuto per la libertà di questo paese, e loro ci hanno portato via tutto…
Torno a sedermi accanto a lui.
– Davvero non mi riconosci? Non ti ricordi di me?
Il vecchio mi guarda con gli occhi velati dalle lacrime, sembra riflettere per un attimo prima di rispondere.
– Certo che mi ricordo di te, Giuseppe. Eravamo insieme, dalle suore, poi noi ci siamo trasferiti, non ti avevo più visto. Siete venuti qua anche voi?
Gli appoggio una mano sulla spalla e sorrido.
– Sì. Siamo venuti anche noi qua, adesso.
Annuisce e mi sembra più sereno. Rimaniamo per un po’ a guardarci, poi mi alzo.
– Ora devo andare, tornerò presto a trovarti.
– Va bene… ah, senti, salutami tuo padre.
– Mio padre?
– Sì, quando vado da lui in farmacia, con la mamma, mi regala sempre qualcuna di quelle caramelle d’orzo…
– Certo, lo farò – rispondo, mentre gli sistemo la coperta sulle ginocchia. Mi volto ed esco dalla grande stanza bianca. Nessuno di quei precari ospiti presta attenzione al mio passaggio.
Fuori, nel freddo della sera, fantastico su un’altra vita nella quale mio padre fa il farmacista e io sono quel ragazzino, l’amico di una versione fanciullesca, quasi inconcepibile prima d’ora, di mio nonno.
Questo pensiero mi accompagna fin sull’autobus per tornare a casa ma, lì, in mezzo a quelle facce sconosciute, d’improvviso mi colpisce la certezza che non lo vedrò mai più da vivo.
***
Mio padre mi ha chiesto se volevo guidare, non è da molto che ho preso la patente, forse era un suo modo per farmi sentire adulto. Ho risposto di no, avevo paura di distrarmi, di pensare ad altro. Mentre venivamo qua, seduto nei posti dietro in macchina, guardavo stupito la parata di bandiere rosse alle finestre e davanti alle case, per la strada. L’ho presa come un gioioso saluto a mio nonno, un tributo alla sua fede politica, ai suoi ideali. Poi ho capito che erano solo le rimanenze di ieri, il 1° Maggio, la Festa dei Lavoratori. Ma è stato bello lo stesso, a lui di sicuro sarebbe piaciuto.
C’è il sole al cimitero, ormai fa caldo, la primavera è arrivata di colpo, qualche giorno fa sembrava che quest’anno l’inverno non se ne volesse andare, e invece…
Sono rimasto fuori della chiesa per quasi tutto il tempo. L’educazione laica è una delle poche cose che sento di aver assorbito dai miei, ora mi ritrovo a essere ateo quasi senza volerlo. Non per consapevole convinzione, ma per una specie di tradizione di famiglia. E così è a causa dell’influenza che l’ambiente ha avuto su di me che non mi sono inginocchiato sulla panca a recitare preghiere come un mantra. L’idea mi fa sorridere, poi mi ricordo perché sono qui e torno serio di colpo. Mi guardo intorno, scruto le facce di parenti e amici. Ci sono delle persone anziane con uno stendardo dell’ANPI. Mi vengono in mente i racconti che mio nonno mi faceva da bambino, sulla guerra partigiana, soprattutto quando mio padre non c’era. Allora lo vedevo come un eroe, una specie di Capitan America che lottava senza paura contro le forze dell’Asse. Mi immaginavo da grande, anch’io avrei combattuto i nazisti come lui. Solo più tardi realizzai che Hitler non c’era più e che l’unica supremazia a cui la Germania aspirava in Europa era quella economica. Ne rimasi un po’ deluso, la mia occasione era svanita.
Ieri sera Annette mi ha telefonato. Dopo tutto questo tempo non sapevo cosa dirle, cercavo di immaginarla lì, davanti a me, ma la sua figura era molto sfocata, afferravo solo delle macchie di colore, il cielo degli occhi, l’oro dei capelli. Lei era triste, per mio nonno, forse un po’ anche per noi.
Mentre mi avvicino per vedere quello che succede passo vicino alle corone. Sento il profumo intenso e penetrante dei gigli bianchi, sono quasi stordito dalla loro fragranza. In una specie di vertigine sensoriale guardo affascinato il muratore che sistema i mattoni e li unisce con la calce fresca. Tutta la scena scorre quasi al rallentatore, finché la lapide viene sistemata al suo posto e solo allora mi scuoto un po’ dal mio stordimento.
Una stagione della mia vita finisce oggi e credo che per me, da questo momento, la morte avrà per sempre il profumo inebriante del giglio.
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Mi sono mancati i ricordi con cui cuci i tuoi racconti. Splendido questo tuo, scritto con un occhio cinematografico, mi ha ricordato tanto La famiglia di Scola, una pellicola davvero magnifica.
Il tuo protagonista ragazzino, Claudio, quasi come il Carlo di Scola, ci accompagna crescendo lungo un pezzo della storia d'Italia e l'inizio della sua vita, che è anche la nostra vita.
Il nonno partigiano con le sue storie, una vittoria in parte tradita, e quell'invito a non odiare neanche il nemico, che magari è solo un altro povero disgraziato mandato a uccidere e a morire e che non avrebbe altro desiderio che starsene a casa sua. Una lezione d'amore alla fine, in cui diventa carne viva la fratellanza degli uomini, che sono lavoratori, e che oggi non si sa più cosa sia, impegnati come siamo a scannarci tra di noi per un tozzo di pane.
Curioso, anch'io avevo una compagna tedesca al liceo e con lei ho capito che i tedeschi non erano i cattivi a ogni costo che ci restituiva certa propaganda travestita da storiografia e tutta la filmografia americana da cui non si poteva fare a meno di prescindere.
Ma se noi non ce la passavamo bene, con Craxi impegnato a far lo statista in salsa italiana con la firma del nuovo Concordato, neanche i compagni, ci ricordi, erano combinati meglio, e Chernobyl sta lì a dimostrarlo.
E poi il primo amore di Claudio che naufraga per quella necessità di andare via, di costruirsi il proprio futuro altrove dove le possibilità sono maggiori, una parabola non ancora conclusa che cominciò proprio con la caduta del muro di Berlino e l'edificazione dell'Europa di Maastricht; possibilità che hanno spacciato per una grande conquista di civiltà e un'occasione irripetibile per le nuove generazioni, quando invece ha distrutto e sta distruggendo intere comunità trasformando i lavoratori in monadi nomadi senza radici e quindi senza diritti.
Non più l'emigrazione traumatica dei decenni precedenti, ma un'allegra e gioiosa possibilità da cogliere al volo.
E poi la malattia del nonno con questa magnifica riflessione finale: "Fuori, nel freddo della sera, fantastico su un’altra vita nella quale mio padre fa il farmacista e io sono quel ragazzino, l’amico di una versione fanciullesca, quasi inconcepibile prima d’ora, di mio nonno."
A questo, infine, riduce la malattia la vita di un uomo prima che ridiventi polvere.
E prima che rimangano solo i ricordi, e poi anche quelli spariscano, come quel primo maggio, che tu evochi, la festa dei lavoratori, che si consuma in una stanca liturgia priva di significato, perché del suo significato si è perduto il ricordo.
Delicato il finale, ancora con ricordi che si trasformano in riflessioni:
" L’educazione laica è una delle poche cose che sento di aver assorbito dai miei, ora mi ritrovo a essere ateo quasi senza volerlo. Non per consapevole convinzione, ma per una specie di tradizione di famiglia. "
Il finale arriva inaspettato, troppo in fretta, ma è comprensibile; però io lo continuerei questo racconto che già non è più un racconto grazie alle tante digressioni e ci metterei mano e proverei a farlo diventare qualcosa di più complesso.
È questa la letteratura che amo leggere.
Un unico appunto sul finale, Roberto, nell'incontro con Annette i tempi verbali virano al passato. Io avrei continuato al presente.
Magnifico testo, ben ritrovato e buone feste
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Re: Il profumo del giglio
Terrò certamente conto del tuo appunto e del tuo invito a sviluppare il racconto.
Faccio tanti auguri a te e a tutti i Bravi Autori, speriamo in un 2021 migliore di quest'anno da dimenticare.
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Re: Il profumo del giglio
E poi, della vita, l'universo e tutto quanto ne ha già raccontato Douglas Adams
Grazie di nuovo e buone feste.
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Ci sarebbe del materiale per farne qualcosa di più, come approfondire l'educazione sentimentale del ragazzo o il suo rapporto col nonno (e le diverse opinioni politiche di padre e nonno del narrante).
Se l'autore cambierà idea in proposito, sarei felice di leggerne gli sviluppi.
Voto alto e Buone Feste a tutti
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leggere poi di un partigiano è ancora più bello, visto che oggi sembrano tutti averli scordati o, addirittura, irriderli.
siamo messi davvero male, come paese, se arriviamo a mettere in discussione l'operato di chi ci ha salvato le chiappe.
tornando alla storia, ben scritta, non ho notato refusi o errori.
le descrizioni sono più che buone, le situazioni non tanto, visto quel che accade...
complimenti
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Re: Il profumo del giglio
Ti sono grato anche per l'invito a svilupparlo, in effetti ho sintetizzato molto per postarlo qui.
Mi associo agli auguri.
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Re: Il profumo del giglio
Grazie per il bentornato e per il tuo bel commento.
Tanti auguri di Buon Natale!
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Re: Il profumo del giglio
Rinnovo gli auguri a te e a tutti gli appassionati utenti di questo forum.
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Re: Il profumo del giglio
Grazie mille per il commento e il voto, ti auguro un felice 2021!
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Re: Il profumo del giglio
Veniamo al pulviscolo atmosferico: anch'io ho avuto l'impressione che sia una definizione caduta in disuso o comunque meno comune di un tempo, proprio per questo mi ha suggestionato per parlare dell'alzheimer del nonno di Claudio, malattia nella quale ricordi e amnesie vengono frullati in maniera imprevedibile.
Sì, la colonna dei carri armati e l'uomo con i sacchetti della spesa è l'immagine simbolo della rivolta di Piazza Tienanmen e della sua sanguinosa repressione da parte del governo cinese.
Ti sono grato per il commento positivo e per l'implicito suggerimento riguardo al romanzo di Vassalli, che non ho letto.
Buon anno nuovo!
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Re: Commento
Ciao Marcello, lo farò senz'altro!Marcello Rizza ha scritto: ↑27/12/2020, 13:13 Esaminerò e commenterò e voterò quando entrerai in gara, vale a dire quando anche tu ti spenderai per gli altri/e che partecipano col tuo commento.
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Re: Commento
Sì, ma io mi riferivo ai nuovi arrivati, non ai veteraniMarcello Rizza ha scritto: ↑27/12/2020, 13:13 Non vedo l'ora di leggerlo quando entrerà in gara. È una mia scelta, anche approvata da Massimo.
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Re: Il profumo del giglio
Il tuo commento da una parte mi gratifica molto, sarei ipocrita se dicessi il conrtrario, dall'altra mi intimorisce.
Guarda che è più o meno quello che penso io leggendo alcuni racconti qui; senza andare a scomodare paragoni imbarazzanti (chi scriverebbe dopo avere letto Dostoevskij, Carver, Buzzati o chi pare a te?), ognuno ha il suo stile e scrive secondo le proprie possibilità, anzi, queste gare sono un'ottima palestra per migliorare, ti confesso che da quando partecipo ho iniziato a prestare molta più attenzione di prima a certi aspetti, le ripetizioni, la scelta dei vocaboli, la coerenza dei tempi verbali, la cura della punteggiatura ecc. E questo sia perché stimolato da racconti migliori dei miei, sia perché mi hanno fatto notare i difetti della mia scrittura, cosa che andrebbe sempre, e ripeto sempre, apprezzata.
Dicevo che il tuo commento un po' mi preoccupa perché io mi sento tutt'altro che un "bravo autore", sono uno che si diletta a mettere nero su bianco le cose che gli frullano in testa, con risultati sempre incerti. Altro che arte, il mio è al massimo artigianato amatoriale, e va benissimo così.
Quindi ti invito a proporre le tue storie, qualcuna sarà più apprezzata, qualcun'altra meno, ma tutto questo ti servirà e, soprattutto, ti divertirà, che è la cosa fondamentale.
Ti ringrazio molto e auguro anche a te un bel 2021!
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In particolare questo pezzo:
“Mentre ripeto le parole di mio padre rifletto sul significato che diamo all’espressione “la cosa migliore”. Mi arriva come un’epifania in tutta la sua soggettività: esiste sempre un confine fra quello che pensiamo sia giusto e quello che lo è davvero. Per alcuni è un deserto sterminato, per altri è un breve sentiero, in ogni caso ora capisco quanto sia faticoso attraversarlo.”
È molto bello e significativo per me, in questo periodo.
Non ho grandi spunti da darti, non cambierei niente... davvero molto bello!
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Re: Il profumo del giglio
Prima di pubblicarlo ero un po' dubbioso, vuoi per la lunghezza, vuoi per la frammentazione in capitoletti distanti nel tempo, pensavo che non sarebbe stato apprezzato. Invece le tue parole (e quelle di altri che hanno commentato) mi rincuorano.
Ti faccio tanti auguri per il nuovo anno, grazie ancora.
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Re: Il profumo del giglio
Tanti auguri!
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Re: Il profumo del giglio
Quanto alle preferenze sui personaggi non mi pronuncio, è giusto che ogni lettore abbia le sue interpretazioni e le sue simpatie. Com'è giusto che diventino spunti di riflessione.
Grazie di nuovo e tanti auguri per questo 2021!
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L' unico difetto se così si può chiamare è la lunghezza forse potresti lavorarci per un lavoro più esteso tipo romanzo breve.
È stato un piacere leggeri.
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Re: Il profumo del giglio
Ti ringrazio molto per gli apprezzamenti e per la riflessione sui ricordi dei nostri cari, il tuo consiglio lo terrò sicuramente in considerazione.
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Gara d'autunno 2022 - La Méduse - e gli altri racconti
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La Gara 10 - Dreaming of a Weird Christmas
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Il Bene o il Male
Trenta modi di intendere il Bene, il Male e l'interazione tra essi.
Dodici donne e diciotto uomini hanno tentato di far prevalere la propria posizione, tuttavia la Vita ci insegna che il vincitore non è mai scontato. La Natura ci dimostra infatti che dopo un temporale spunta il sole, ma ci insegna altresì che non sempre un temporale è il Male, e che non sempre il sole è il Bene.
A cura di Massimo Baglione
Copertine di Giuliana Ricci.
Contiene opere di: Antonella Cavallo, Michele Scuotto, Nunzio Campanelli, Rosanna Fontana, Giorgio Leone, Ida Dainese, Angelo Manarola, Anna Rita Foschini, Angela Aniello, Maria Rosaria Del Ciello, Fausto Scatoli, Marcello Nucciarelli, Silvia Torre, Alessandro Borghesi, Umberto Pasqui, Lucia Amorosi, Eliseo Palumbo, Riccardo Carli Ballola, Maria Rosaria Spirito, Andrea Calcagnile, Greta Fantini, Pasquale Aversano, Fabiola Vicari, Antonio Mattera, Andrea Spoto, Gianluigi Redaelli, Luca Volpi, Pietro Rainero, Marcello Colombo, Cristina Giuntini.
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Dentro la birra
antologia di racconti luppolati
Complice di serate e di risate, veicolo per vecchie e nuove amicizie, la birra ci accompagna e ha accompagnato la nostra storia. "Dentro la birra", abbiamo scelto questo titolo perché crediamo sia interessante sapere che cosa ci sia di così attraente nella bevanda gialla, gasata e amarognola. Perchè piace così tanto? Che emozioni fa provare? Abbiamo affidato questa "indagine" a Braviautori, affinché trovasse, tramite l'associazione e il portale internet, scrittori capaci di esprimere tali sensazioni. E infatti sono arrivati numerosi racconti: la commissione ne ha scelti 33. Nemmeno a farlo apposta, 33 è la quantità di centilitri di un gran numero di bottiglie (e lattine) di birra; una misura nota a chi se n'intende.
A cura di Umberto Pasqui e Massimo Baglione.
Contiene opere di: Andrea Andreoni, Tullio Aragona, Enrico Arlandini, Beril, Enrico Billi, Luigi Bonaro, Vittorio Cotronei, Emanuele Crocetti, Bruno Elpis, Daniela Esposito, Lorella Fanotti, Lodovico Ferrari, Livio Fortis, Valerio Franchina, Luisa Gasbarri, Oliviero Giberti, Elena Girotti, Concita Imperatrice, Carlotta Invrea, Fabrizio Leo, Sandra Ludovici, Micaela Ivana Maccan, Cristina Marziali, Stefano Masetti, Maurizio Mequio, Simone Pelatti, Antonella Provenzano, Maria Stella Rossi, Giuseppe Sciara, Salvatore Stefanelli, Ser Stefano, SunThatSpeed, Marco Vignali.
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Luna 69-19
antologia di opere ispirate al concetto di "Luna" e dedicata al 50° anniversario della storica missione dell'Apollo 11
Il 20 luglio 1969 è la data che segna per sempre il momento in cui il primo essere umano ha posato per la prima volta i piedi sul suolo lunare. Quel giorno una parte di voi era d'avanti ai televisori in trepidante attesa del touch-down del lander, altri erano troppo piccoli per ricordarselo e altri ancora non erano neppure nati, tuttavia ne siamo stati tutti coinvolti in molteplici maniere.
A cura di Massimo Baglione.
Contiene opere di: Alessandro Mazzi, Andrea Coco, Andrea Messina, Angelo Ciola, Cristina Giuntini, Daniele Missiroli, Enrico Teodorani, Francesca Paolucci, Franco Argento, F. T. Leo, Gabriele Laghi, Gabriele Ludovici, Gabriella Pison, Iunio Marcello Clementi, Laura Traverso, Marco Bertoli, Marco Daniele, Maria Emma Allamandri, Massimo Tessitori, Namio Intile, Pasquale Aversano, Pasquale Buonarotti, Pietro Rainero, Roberta Venturini, Roberto Paradiso, Saji Connor, Selene Barblan, Umberto Pasqui, Valentino Poppi, Vittorio Serra, Furio Bomben.
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