Eliotropia

Il protagonista ha molto a che fare con quelli delle altre tue storie che ho letto, mi pare. Ma qui, in certe sfumature che colgo, c'è qualcosa di più esteso: sarà, magari, "colpa" di quel "continuum che riporta sempre al punto di partenza". Uno scenario surreale, che nel racconto assume le vesti di un personaggio latente, spietato per altri versi ma indulgente, evidentemente, per chi ha o si porta "il ghiaccio addosso". Un viaggio nell'inconscio, direi, in cui questa creatura sotterranea, multiforme, a un certo punto emerge con uno sguardo terribile: come quello d'insieme degli alberi in lontananza, schierati come un esercito silenzioso che non tollera l'uomo invasivo (bellissima e incisiva figura retorica). Un inconscio che riesce persino a prendere forma nel polveroso pick up, appena rischiarato da una luce indiretta, per poi subito ripiombare nel buio assoluto. Ma il finale mette tutto in discussione, in quanto una luce diretta, che non può che essere umana, riesce finalmente ad accendersi, ravvivando lo sguardo del protagonista. Il volto sdentato della barista con la bandana in testa funge da ritenitore di immagine, capace di riportare in superficie un ricordo d'amore messo in un cantuccio speciale. Questo monolito di ghiaccio, tutto sommato, è capace anche di sciogliersi, riprendere la chitarra in mano.