L'altro volto del fulmine
La prima volta che lo vidi stava piovendo, era una di quelle giornate grigie, dalle nuvole pesanti che creano una cappa di tristezza su ogni cosa. Avevo la fronte appoggiata alla finestra e sul mio volto scorrevano calde lacrime, proprio come il vetro era solcato da lingue piccole e grandi che scorrevano verso il basso.
Vederlo, intuire la sua gioia anche da così lontano fu come ricevere un pugno in pieno stomaco, di quelli che ti mozzano il fiato, di quelli che per qualche momento ti scollegano il cervello dal resto del corpo. E quando tutto si ricollega ti senti la testa leggera. Lo guardai ancora sorridere nonostante il grigiore, sembrava un raggio di sole. Il mio raggio di sole.
Ero gelosa, io ero l'oscurità, condannata ad essere quello che ero, senza via di uscita, senza possibilità di salvarmi. Io ero la distruzione, perchè qualunque cosa toccavo marciva, avvizziva e moriva. Volevo veramente attirarlo nel mio mondo? Sì! Lo volevo pur sapendo che lo avrei cambiato, distrutto? Sì. Perchè ero così stanca di essere sola. Perchè volevo anche io un pò di quel sole nella mia vita.
Un battito di ciglia e non c'era più. Un battito di ciglia ed ero di nuovo sola nella mia oscura vita. Ma sarebbe durata poco. Lo sapevo. Era sempre così.
Quando lo rividi fu dopo tre giorni sempre lì, pregno della sua voglia di vivere. Indossai la mia maschera migliore, un sorriso dolce e misterioso, colmai i miei occhi azzurri di dolce timidezza, pettinai i miei neri capelli con nastri di sensualità e andai a gettare la mia rete su quell'ignaro raggio di sole.
Camminai senza fretta ben sapendo di avere su di me il suo sguardo, mi fermai accanto a lui, sotto la pensilina in attesa. Sentivo la titubanza dentro di lui, attratto ma insicuro. Il suo istinto lo stava avvisando, ma lui lo avrebbe ascoltato?
Gettai, quasi per caso uno sguardo su di lui, lasciandolo scorrere lungo il suo corpo, ammirandolo, bevendo la sua calda bellezza. Arrivai al suo viso, ed infine ai suoi occhi, tanto verdi da ricordarmi un prato bagnato dalla rugiada. Un altro colpo, più forte di prima, mi colpì allo stomaco. Mi tolse l'aria facendomi barcollare.
- Ti senti bene?
Mi appoggiai a lui, ben sapendo che era in trappola oramai.
- In effetti, no. Mi gira la testa.
Lui si guardò intorno, cercando un luogo dove potessi sedermi, ma la zona era piuttosto isolata, non c'erano bar nelle vicinanze, così azzardai.
- Mi dispiace chiedertelo, ma potresti riaccompagnarmi a casa? - glielo dissi guardandolo negli occhi, colmando i miei di finta vulnerabilità.
C'è da dire a sua discolpa che per un attimo nei suoi occhi passò il dubbio, per un attimo soltanto una domanda si formò dentro di lui. Mi bastò appoggiarmi a lui, far strusciare il mio seno al suo braccio perchè quella muta domanda sparisse dalla sua mente.
- Certo, dimmi dove abiti.
- Nel palazzo di fronte, al settimo piano – gli risposi con voce tremola, come un pulcino indifeso che si mette nelle mani sicure e calde di un persona di fiducia.
Molte di voi penseranno che il mondo sia pieno di predatori. È vero. Ma nessun predatore è peggiore di chi una volta è stata vittima.
Nell'ascensore mi appoggiai pesantemente a lui, sentivo la sua calda mano attraverso i vestiti, sentivo il suo calore farsi strada nel mio freddo inverno. E pregai, se esisteva un Dio, che il suo calore fosse sufficiente per scacciare le tenebre, che il suo sole portasse l'alba nella mia vita. Perchè da quando lo avevo visto ero corrosa da lui. Mi scavava dentro facendomi desiderare una vita non mia.
- Non so come ti chiami – chiese guardandomi con i suoi occhi verdi colmi di tranquilla sicurezza.
- Io sono Livvy – gli risposi con un sospiro tremulo.
- Ciao Livvy io sono Adam.
L'ascensore si fermò trabballante al piano con infinita lentezza le porte si aprirono sul pianerottolo scuro. Finsi di avere un passo malfermo così lui si sentì obbligato a sostenermi.
Per un attimo, solo per un attimo, mi chiesi se stavo facendo la cosa giusta. Se non fosse ingiusto distruggere quel raggio di sole. Poi l'oscurità si strinse intorno a me, accentuando la mia solitudine, facendomi rabbrividire.
- Credo che tu abbia preso l'influenza – mi disse rassicurante.
- Forse, o forse avevo solo bisogno di tornare a casa – risposi con una sfumatura di malizia nella voce.
Ahh, l'istinto di protezione. Da secoli faceva fare agli uomini cose di cui poi si sarebbero pentiti.
Una volta in casa mi avvicinai alla cucina.
- Posso offrirti qualcosa da bere, per ringraziarti? - nel parlare avevo già aperto il frigorifero, presi una brocca di the freddo e dalla credenza due bicchieri.
- Grazie, il the andrà benissimo. Vivi da sola?
- Sì cerco ancora la persona giusta con cui dividere questa casa.
Lo guardai bere un lungo sorso di the, rammaricandomi che fosse stato così facile. Eppure quando le sue labbra si aprirono in un dolce sorriso, il rammarico cedette il posto a un dolce sfarfallio nello stomaco.
Anche quando lo vidi barcollare non pensai ad altro se non al suo dolce sorriso.
- Cosa ... mi hai fatto?
Cadde a terra e mi chinai accanto a lui, gli alzai la testa e l'appoggiai sulle mie gambe accarezzandogli i capelli.
- Nulla, voglio solo essere sicura che non mi lascerai. Ti ho visto dalla finestra e all'improvviso ho capito che tu sei quello giusto. Tu sei il mio raggio di sole. Sei stato una rivelazione, un vero e proprio colpo di fulmine.
Lo trascinai nella stanza a fianco, da tempo resa insonorizzata per i miei fallimentari tentativi di trovare il compagno giusto, con uno sforzo lo sistemai sul letto, assicurandomi che non potesse scappare e poi rimasi lì, ferma a guardarlo, a bere la sua bellezza. A scaldarmi con il suo calore.