Il treno del destino
Rumore ritmico.
Caldo asfissiante.
Puzzo di piedi.
Puzzo di ascella.
Ho la gola secca. Mi fa male il collo. Dove sono?
Il rumore provocato dallo spostamento d’aria all’incrocio con un altro treno mi sveglia del tutto.
Sollevo il capo di scatto. Sono a bordo di un treno e mi sono addormentato con la testa penzoloni e il mento appoggiato al petto. Fa un caldo che ci si scioglie. Il Punkabbestia seduto di fronte, scuote la cresta multicolore e mi guarda con aria compassionevole, sotto al cerone che lo fa sembrare un incrocio tra Joker e il Robert Smith dei tempi d’oro.
- Ti sei svegliato, bell’addormentato? - mi apostrofa con un sorriso di scherno il mascherone.
- È un problema tuo? - Rispondo brusco. Mi sento già infastidito da tutte le sensazioni negative che sto provando, soprattutto olfattive. Sono in un bagno di sudore, dalla testa ai piedi, e il timore di stare partecipando attivamente al mantenimento dei miasmi, mi atterrisce.
- Non lo sarebbe, caro mio, se non russassi come un maiale e tenessi i piedi a posto. Invece continui a scalciare, e ti si sente russare dall’altro scompartimento! - Risponde il mascherone, indicandomi le persone in fondo alla carrozza che mi guardano, ridendo.
- Fatti i fatti tuoi! - rispondo ancora più bruscamente, a corto di parole. – E voialtri pensate a lavarvi, che qui dentro non si respira! - Dico rivolto agli sghignazzatori. Poi mi chiudo a riccio in un silenzio offeso, guardando fuori dal finestrino.
Se ci fosse qualcosa da vedere.
Fuori è buio, e mi rendo conto che lo era già prima di addormentarmi. Anzi, non è buio, stiamo percorrendo un tunnel.
Il collo mi fa un male atroce. Ma quanto ho dormito?.
Guardo l’orologio al polso. Non c’è. Vero, abbiamo lasciato tutti gli oggetti metallici alla stazione di partenza. Il metallaro seduto qualche posto più in là, ha fatto perdere un sacco di tempo per staccare dal chiodo ogni singola borchia, pur di non separarsene, gli venisse un accidente.
Ah, è vero. Gli è già venuto…
Anche a me, in realtà.
Poco alla volta la memoria si schiarisce.
Ero sulla metropolitana, come tutti i santi giorni, da venti anni. La stazione dove avrei dovuto scendere per recarmi al lavoro si avvicinava. Come sempre, dopo quaranta minuti di metropolitana, ero imbufalito con tutta la gentaglia che mi circondava. Avevo maltrattato l’importuno elemosinatore : - Vaffanculo! Trovati un lavoro!-
Avevo dissertato con il vicino occasionale, che sfogliava il giornale gratuito distribuito nelle stazioni della metro, sul fatto che per risolvere la questione mediorientale ci sarebbe voluta solo una bella bomba.
-Vaffanculo, la risolvo io sta storia che va avanti da un’eternità!-
Ero già in prima fila per scendere quando, al momento dell’apertura delle porte, era scoppiata, vedi tu la nemesi, una bomba, allacciata addosso ad un pakistano naturalizzato francese seduto a pochi passi da me che ovviamente avevo insultato per il fatto che grondava sudore e puzzava peggio di un caprone.
– Vaffanculo lavati!-.
Insomma, avevo un vaffanculo per tutti.
L’esplosione aveva provocato decine di morti e feriti, ed era stata rivendicata dall’Isis. Molto clamore aveva destato, perché era il primo attentato del genere in Italia.
Senza soluzione di continuità, mi ero ritrovato in una stazione quasi identica a quella dell’attentato, dove delle guardie ci avevano indirizzato verso un corridoio dove eravamo stati forniti di un giornale gratuito.
Dal giornale avevo appreso tutte le notizie riguardo l’attentato, la rivendicazione e ovviamente le immancabili polemiche sorte per la mancata sicurezza.
Terminato il corridoio, ci eravamo ritrovati su una banchina, e “cordialmente” invitati, a suon di manganellate e previo spoglio degli oggetti metallici e delle scarpe, a salire su di un altro treno.
Appena partiti, diversamente dal solito, mi ero addormentato.
Mi guardo intorno, e riconosco molte persone che erano con me sul treno della metropolitana. Il punk di fronte, il metallaro, la segretaria, persino il signore con cui avevo sbrigativamente risolto il problema mediorientale. Hanno tutti lo sguardo un po’ perso, quasi in trance, persino il Robert Smith dei poveri. Presumo di non essere da meno, ma nonostante le luci accese nella carrozza e il buio fuori, non riesco a specchiarmi, i finestrini sono lastre che ti permettono di vedere fuori ma che non riflettono.
Improvvisamente si materializza un losco figuro, che immagino essere il capotreno, molto somigliante a Sandokan, ma più grosso. Tutti si rivolgono a lui con mille domande, accavallando le voci e creando una confusione indicibile.
Sandokan si schiarisce la voce, ed è come se un tuono avesse squassato l’aria.
Zitti tutti.
- Buonasera. Siete qui, su questo treno, perché come avrete appreso dal giornale gentilmente donatovi, siete rimasti vittime di un attentato. Quindi, se non lo avete ancora capito, siete morti.-
Brusio, qualcuno geme, qualcuno piange, qualcuno bestemmia.
- Vaffanculo - mormoro io.
Sandokan prosegue. – Siete stati suddivisi per carrozze in funzione della stazione di arrivo a voi destinata. -
- Destinata da chi? - Lo interrompe Metallaro con tono di sfida.
Sandokan gli si avvicina e gli molla uno sganassone, facendolo crollare sul sedile da cui si è pocanzi alzato – Qui parlo io e voi ascoltate. Chiaro?-
Metallaro non è in condizioni di rispondere, e tutti gli altri fanno SI con la testa.
- Siete stati destinati in base alle vostre attitudini e abitudini durante la vita terrena. Nella stazione di arrivo sarete assegnati a una condanna perenne. È inutile specificarvi che non sarà piacevole, altrimenti sareste su un treno molto più figo e soprattutto che non puzza come una discarica. Tra poco arriveremo alla stazione, siete pregati di non tentare di scappare, non servirebbe a nulla. Grazie dell’attenzione, arrivederci.- Detto ciò, così come era apparso, scompare.
In effetti, di lì a poco, il treno rallenta e si ferma. All’apertura delle porte, siamo presi in consegna da guardie che devono essere i fratelli brutti del capotreno.
Alzo gli occhi, leggo il nome della stazione.
VAFFANCULO, c’è scritto sul cartello.
Scuoto la testa e rido amaramente.