Libero
In terza liceo ho avuto un blackout di un anno.
Non rammento niente di quel periodo. La scuola, gli amici, la vita... buio assoluto!
Ricordo solo il sogno: lo stesso tutte le notti.
Rientravo da scuola, trascorrevo il pomeriggio con la nonna facendo i compiti e la sera tornavano i miei genitori. Entrambi!
E quando mi svegliavo, ero convinto che fosse così.
Questa storia è andata avanti per mesi, e ogni volta c’era un particolare diverso.
Lui che mi portava il nuovo tex.
Lui che mi allungava un deca per il motorino.
Lui che firmava la pagella del trimestre.
Tutte cose successe davvero… ma "prima".
Una battaglia infinita fra il mio inconscio e la realtà. E non sapevo come vincere.
Ci mettevo un po’, dopo essermi svegliato, a rendermi conto che era stato un sogno.
Quando lo capivo, trattenevo le lacrime con rabbia. Non ero più un bambino.
Quel momento distruggeva la mia giornata e attendevo con angoscia la notte seguente.
Poi ci fu un cambiamento.
Quella volta, dopo cena, ci sediamo in salotto a parlare.
Del suo lavoro, del mio futuro, di tutte le cose che non ci siamo detti in sedici anni.
Restiamo così per ore e ore e ci dimentichiamo anche dell’esistenza della tivù.
Una sensazione di pace e tranquillità che non ricordo di aver mai provato.
Alla fine è così tardi che ci addormentiamo entrambi sui divani.
Mi sveglio l’indomani, tutto indolenzito, e lo vedo ancora lì.
È giorno adesso, ma lui è davanti a me e si stira, mentre scuote la testa e mi fa un sorriso complice.
Io invece devo avere una faccia strana, perché mi chiede se ho avuto un incubo.
– Cavoli, sì papà, e che incubo orribile – gli dico a occhi bassi, senza avere il coraggio di continuare.
Dopo una doccia veloce ed essermi cambiato, vivo tutta la domenica con lui presente.
Mi aiuta nei compiti di matematica, laviamo insieme la sua auto, lo guardo anche preparare il pranzo. Nei giorni di festa vuole farlo lui, perché si diverte a cucinare.
Per tutto il pomeriggio giochiamo a carte e poi a scacchi.
Chiacchierando, scherza sulle mie “cotte” e mi dà qualche dritta da “uomini”.
Viene sera: ceniamo e poi guardiamo la tele.
Insieme. Lui, io, mia madre. Siamo una famiglia.
Vado a letto e lui mi augura buona notte.
Come è sempre stato, e sempre sarà, penso.
La mia incredulità evapora come neve al sole, mentre sospiro e chiudo gli occhi, felice.
È mattina adesso, e sono sveglio. Mi guardo intorno, ma non ho dubbi.
Lui c'è e sorrido, ricordando tutto quello che abbiamo fatto ieri.
Questo terribile incubo è finito, penso, mentre mi stropiccio gli occhi.
Poi mi alzo e giro per casa, in pigiama. Controllo… cerco conferme.
E infatti le trovo, perché mia madre ha lasciato tutto come prima.
I suoi abiti, le scarpe, la borsa sulla scrivania.
Ho anche aperto il suo armadio, ma è tutto in ordine, e questo rafforza la mia convinzione.
Ora sono proprio sicuro che lui ci sia ancora.
Eppure...
Eppure sto male, c'è qualcosa che non va in me.
Mi tocco lo stomaco, ma subito scuoto la testa: è qualcos'altro.
Sento nell’aria il profumo del suo dopobarba e sorrido, mentre entro nella camera dei miei.
Appoggio la testa sul suo cuscino e chiudo gli occhi, cercando il suo volto.
Rivivo la giornata che abbiamo passato insieme e gli occhi diventano lucidi.
Per un attimo mi balena nel cervello la folle idea di chiedere a mia madre.
Dai non scherziamo, penso,
se le faccio una domanda simile, mi prende per matto.
Vado in bagno, ma il fastidio non diminuisce. Anzi, sale alle tempie. Mal di testa. Nausea.
Che cosa mi sta succedendo?
Esco barcollando e mi butto di nuovo sul letto, ma è inutile. Sto sempre peggio.
Affondo la faccia nel cuscino, ma così mi sento soffocare e devo girarmi.
Ho le vertigini e mi accorgo di riuscire a sentire il battito del mio cuore.
È un battito lento, mentre sento un peso opprimente nel petto che mi toglie il respiro.
Ho il viso in fiamme e sto sudando, ma ho anche brividi di freddo.
Mi asciugo la fronte con la manica del pigiama, cercando una via d’uscita, ma non la trovo.
Non so più cosa fare… anzi no: so cosa devo fare, ma non voglio!
È tutto a posto, ne sono certo.
Stringo i pugni, chiudo gli occhi e poi… poi mi arrendo.
Scendo le scale e vado verso il mobiletto all'ingresso, dove mia madre tiene la foto del nonno.
Cammino a passo di lumaca, strascicando le pantofole. Sono pesanti, non ce la faccio.
Sento pulsare le tempie e i battiti del cuore aumentano ad ogni passo.
Su Fabio, non sei un bambino, controlla. Ho detto controlla! Contr... improvvisamente lo vedo.
La sua foto, accanto a quella del nonno, mi colpisce come una fucilata.
La vista si annebbia e cado in ginocchio, mentre mi copro la faccia con le mani e vengo travolto da un pianto silenzioso.
Non è possibile, non è possibile. Ero sicuro. Questa volta ero veramente sicuro.
Poi tutto il dolore scompare e si trasforma in rabbia.
Mi rialzo inferocito, stringendo i pugni e digrignando i denti.
Ricostruisco subito la sequenza del primo risveglio, nel sogno, che mi ha tratto in inganno.
Sono imbestialito, quando scorgo nello specchio qualcuno che non conosco. Non sono io!
Sei stato davvero bravo questa volta, ma ora basta!
Mando in frantumi il vetro con un pugno e sono libero.
Da quella volta non ho sognato più.
Mai più.