Earl Grey
- img100c.jpg (53 KiB) Visto 4966 volte
Lo vide arrivare. Elegantissimo. Le parve un angelo inviato in suo aiuto da qualche essere superiore che le voleva bene. Lei, attorniata dai tre giovani ubriachi fradici, ne ascoltò le parole come se arrivassero dal cielo stesso.
— Lasciatela stare.
— Cosa vuoi, imbecille? Fatti i cazzi tuoi — disse uno dei tre giovani.
— Sono cazzi miei. MI pare che la signorina non gradisca la vostra compagnia e non mi piace che le donne siano trattate male. Quindi sono cazzi miei.
Fingendo superiorità il secondo dei ragazzi tagliò corto.
— Tienitela ‘sta troia, andiamo ragazzi, lasciamo il grand’uomo a salvare le donzelle e andiamo a farci un’altra vodka.
Marta con un sospiro si avvicinò all’uomo e lo abbracciò.
— Grazie — mormorò tra i singhiozzi.
— Di nulla, ormai le strade sono pericolose la notte per le donne, purtroppo ne esistono a centinaia di questi tipi. Ma sento che trema.
La paura e il freddo della sera stavano penetrandola, costringendola a battere i denti.
— Senta, signorina, io abito non lontano da qui, se vuole le offro un tè caldo e poi la accompagno in auto a casa sua.
La strada fino a casa dell’uomo fu più lunga del previsto. Marta soffriva per i tacchi alti e la temperatura autunnale, nonostante lui le avesse ceduto la giacca. L’antro signorile del palazzo era luminoso. L’ascensore li abbandonò al terzo piano, la donna pregustava già il promesso tè “Earl Grey” con uno spruzzo di latte.
Il pianerottolo era ordinato. Tre piante lo ingentilivano.
La porta dell’appartamento si aprì.
“Stronzi”. Francesca cominciava a odiare quella chat. Ormai ne era diventata lo zimbello. La sua foto era bersaglio di ironia solo perché lei non era bella come tante altre. In fondo esibire la propria bellezza era naturale, le altre riempivano la chat di foto dei loro bikini, delle minigonne, dei tacchi a spillo in misure improponibili. Lei, occhialuta, sovrappeso, dai capelli di saggina e le cosce da tacchino, avrebbe voluto evitare di farsi vedere, anzi, le sarebbe piaciuto mettere una foto di Charlize Theron, ma non sarebbe stato giusto. Sincera, sensibile, educata, timidissima. Tutti difetti di cui avrebbe fatto volentieri a meno. Avrebbe potuto abbandonare la chat, ma, in quell’angolo virtuale di Internet, si era creata un suo spazio che nella vita reale non aveva. La tastiera mediava i suoi pensieri e li trasformava in parole. Brutta malattia l’introversione.
STALLION: “Fra95, ma quanto sei bella. Centoventi chili di bellezza”.
L’utente della chat “Stallion” la prendeva in giro come al solito.
FRA95: “Piantala, Stallion”.
STALLION: “Fra95, e che occhi hai, color… color… che colore sono? Non si vedono dietro quei fondi di bottiglia hahahahh”.
EDWARD: “Hai visto, Stallion, che belle gambe ha? Le vedesse un salumiere… HAAHAHA”.
Francesca si accinse a gettarsi a pancia in giù sul letto per lasciare uscire quelle lacrime che spingevano dietro le palpebre. Diede un’ultima occhiata al monitor.
CONTE: “Voi due, imbecilli, la piantate? Credete di essere belli? Uno col naso che fa provincia e l’altro con una pancia che gli impedisce persino di vedersi il pisello”.
STALLION: “A Conte, da dove spunti, chi ti conosce? Che vuoi?”.
CONTE: “Solo che impariate l’educazione e lasciate stare Fra95”.
Francesca si affrettò a mandare un messaggio privato a “Conte”.
FRA95(PVT): “Ciao, grazie mille per avermi difesa, sei stato gentilissimo, ma lasciali perdere quei due sono dei cretini”.
CONTE(PVT): “Ho visto. Buonanotte, spero tu non ti sia troppo arrabbiata”.
FRA95(PVT): “Grazie mille, solo un po’ agitata, mi ci vorrebbe un bel tè caldo”.
CONTE(PVT): “Sei di Milano? Se ti va ti posso offrire un Earl Grey. È molto buono e perfetto per togliere l’agitazione. E poi ho anche un ottimo Plum-cake. Senza nessun secondo fine, io abito in via…”.
Nessun secondo fine. Con Francesca nessuno aveva mai un secondo fine, si dispiacque un po’ di quella frase, in fondo, ma il resto dell’invito la esaltò. Nonostante ciò fece un po’ la preziosa.
FRA95(PVT): “Ci penso su un po’, comunque lasciami il tuo cellulare, se mi va ti chiamo”.
Telefonò dopo un quarto d’ora.
Il portone si aprì con un “clic”. Francesca premette il tasto con la cifra “tre” e l’ascensore ebbe un tremito.
Il pianerottolo era ordinato. Tre piante lo ingentilivano.
La porta dell’appartamento si aprì.
Il diluvio. Lampi e tuoni riempivano il cielo in quel pomeriggio milanese. Giovanna fece un passo verso il “ventitré” che la avrebbe portata a casa. Ma si sa, le scarpe di gomma umide hanno, sui tombini in ferro, la stessa “tenuta di strada” delle gomme lisce sulla neve. Entrambi i piedi decisero di sfuggire al controllo della donna e schizzare in avanti lasciando che il rotondo sedere, seguendo la forza di gravità, si infrangesse sull’asfalto in corrispondenza di una pozzanghera birichina. La botta la lasciò senza fiato. Sarebbe rimasta lì a godersi l’umidità, se una mano non l’avesse toccata e una voce risvegliata dal torpore della caduta.
— Signorina, si è fatta male?
— Beh, un po’ sì, ma ce la faccio…
Il dolore al sedere era notevole.
— La accompagno in ospedale?
— Non credo sia necessario, ho solo bisogno di un cuscino comodo e qualcosa di caldo da bere.
— Se si fida, la mia casa è giusto dietro l’angolo, le posso offrire entrambi. Rubo il cuscino al gatto e, in dispensa, ho delle bustine di Earl Grey ancora lontane dalla scadenza.
Giovanna non si fidava mai degli estranei, ma odiava il sedere bagnato.
L’ascensore raggiunse il terzo piano.
Il pianerottolo era ordinato. Tre piante lo ingentilivano.
La porta dell’appartamento si aprì.
Entrò.
Mezz’ora dopo stava accomodata sul divano del salotto, col sedere asciutto e una tazza di tè profumato di fronte. L’uomo apparve dalla porta della cucina. Il lungo coltello scintillava, riflettendo la luce dell’alogena. A passo lento le si avvicinò. Giovanna si maledisse per avere accettato l’invito, ma non riuscì a muovere un muscolo, nemmeno quelli della gola per gridare. La lama si alzò e, con uno scatto, si diresse verso il basso.
L’uomo le porse il piatto con la fetta appena tagliata di Plum-cake. Il cuore della donna riprese a battere.
— Le piace il tè? È una miscela tradizionale, aromatizzata al bergamotto, la inventò un mio antenato, il Conte Charles Grey, la mia famiglia…
Lo smartphone dell’uomo prese a vibrare. Per la seconda volta il respiro si bloccò alla donna. Sul display apparve la scritta “psichiatra”.
— Sì, dottore.
— Sì, ho preso le pastiglie.
— L’ho qui il quaderno e ho fatto quello che mi aveva detto.
L’uomo aprì un grosso fascicolo ad anelli.
Scritta a mano, ripetuta molte volte questa frase: “Sono un camionista, non un conte inglese”.
E nella pagina precedente: “Sono un camionista, non un supereroe Marvel”.