]ADESSO LO SAI
Questa lettera è per tutte le volte che avrei voluto dirti ciò che pensavo, e non l'ho potuto fare.
Per tutte le volte che mi sono rintanato in camera mia, invece di dirti tutto quello che avrei voluto, perché altrimenti sarebbero stati sberloni.
Tutte le volte in cui ho pianto perché non potevo andare a giocare con gli altri bambini, ma dovevo restare ad aiutarti nei lavori di manutenzione.
Per tutte le volte che ho preso botte perché non avevo pulito la cacca dei cani che tu portavi a casa.
Per tutte le volte che avrei voluto un gioco nuovo, ma mi dicevi che non c'erano i soldi.
Però tu ti eri comprato un attrezzo nuovo per la tua officina personale.
Per tutte le volte che non sono andato in gita con la scuola, perché costava troppo, ma tu avevi appena comprato dei cerchioni speciali per la macchina di famiglia.
Per quella volta in cui volevo continuare a giocare a calcio e volevo cambiare società, perché l'allenatore non mi vedeva, ma cambiare squadra era troppo scomodo, l'altra società era in un altro rione, non ci potevo andare da solo, e allora se volevo continuare, la squadra era quella e basta.
Per quando volevo imparare a sciare, ma mi dicesti che la domenica dovevi riposare, non portarmi in giro a destra e manca per guardarmi sciare.
Sai, avresti potuto sciare con me, avremmo potuto passare alcune ore insieme, a divertirci.
E poi mica dovevamo andare a sciare tutte le domeniche. Ma no, tu dovevi riposare. E poi non riposavi mai, facevi sempre qualche lavoro, di solito inutile.
Per quella volta che volevo partecipare al concorso per pilotare i go-kart, e tu mi dicesti che non ero tagliato per correre.
Questa lettera esiste, perché le cose che i miei compagni avevano fin dalle medie, il videoregistratore, lo stereo, la console per giocare, io le ho viste a 19 anni, quando hai deciso che le volevi anche tu.
Perché quando finalmente comprammo un computer, mi toccò quello sfigato della Olivetti, perché costava meno. Peccato che nessuno dei mie amici ne avesse uno uguale, avevano tutti il Commodore, e i giochi non erano compatibili tra i due tipi di computer.
Però il trapano fighissimo che faceva di tutto, era appena arrivato, e lo andammo a ritirare appena prima del computer.
Perché, per non sottostare ancora alle regole economiche di casa, non andai all'università, ma andai a lavorare, così non dovevo più chiedere i soldi per uscire al sabato sera. Giurai che sarei andato a lavorare perché non volevo più dover chiedere soldi per uscire, dopo che un giorno, senza chiederli, mi desti cinquantamila lire per uscire, e poi la settimana dopo non ne dovevo più chiedere, pretendevi che ne avessi ancora, che cinquantamila lire dovevano bastarmi tutto il mese.
Perché, dopo avere avuto un incidente in cui mi avevano sfasciato la macchina, mi hai prestato i soldi per comprarne un'altra, ma li hai voluti indietro tutti. Non li avresti voluti, se avessi fatto aggiustare la macchina vecchia. Ma io quella macchina non la volevo più vedere.
Anche se avevo ragione, in quell' incidente era morta una persona, e io non volevo più una macchina sporca del sangue di una vita umana spezzata.
Tutte queste cose, non te le ho mai dette.
Ho ingoiato i rospi, uno a uno.
Fino a quando sono andato a vivere da solo, e tu non l'hai mai accettato. Io, invece di rinfacciarti tutto, sono stato zitto e ho preferito che passasse il messaggio che era un mio capriccio.
Adesso, non riesco a parlare.
La radioterapia mi ha ustionato la pelle, e le corde vocali sono danneggiate.
È temporaneo, ha detto l'oncologo. Già, ma fra una settimana mi sottoporranno a una operazione di 13 ore, per rimuovere tutta la massa tumorale. Ho il cinquanta per cento di possibilità di non farcela.
Quindi non so se mi riprenderò in tempo, se riuscirò a parlare prima dell'operazione, e dopo, potrebbe non esserci un dopo, almeno per me.
Sto combattendo contro la malattia da due anni, e adesso siamo alla stretta finale, o dentro o fuori.
Ho scelto dentro, l'alternativa era spegnersi lentamente, e io non sono tipo da uscite di scena soft.
Quindi ti scrivo questa lettera, papà, per dirti che quando mi chiudevo in camera per non risponderti, non erano capricci.
Non hai mai capito che io volevo essere uno come gli altri, non farmi riconoscere perché avevo i vestiti riciclati dei miei cugini, con i jeans allungati che avevano il segno del risvolto e il maglione di due taglie più grosso.
Non hai mai capito che io non volevo un supereroe, volevo un papà normale. Tu facevi tante cose, tanti lavoretti, ma li facevi perché piacevano a te, non chiedevi a nessuno se potevano piacere, li facevi e basta, e ti ammazzavi di fatica per farli.
Saresti stato un supereroe semplicemente facendo quello che fanno tutti i papà. Passare del tempo con me a giocare, portarmi a calcio, anche fosse stato dall'altra parte della città.
Incoraggiarmi a farlo, quel concorso per pilotare i go-kart.
Chiedermi cosa facevo a scuola, cosa facevamo con i miei amici quando andavo da loro.
Se avevano delle cose che io non avevo.
Chiedermi perché quella macchina non la volevo aggiustare, cercare di capire.
Ecco, cercare di capire. Capire gli altri, invece di pretendere che noi capissimo te. Capire i tuoi figli.
Fare il tuo lavoro di padre.
Questa lettera la affiderò a mio fratello, e lo obbligherò a dartela dopo l'operazione, se avrò azzeccato il cinquanta per cento sbagliato.
Altrimenti te la leggerò io.
Allora forse, per la prima volta, mi ascolterai, spero.