Steam
Inviato: 16/10/2018, 11:29
Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.
Ho sempre odiato i concorsi letterari a tema libero. Ore a trovare un argomento originale, un soggetto stimolante, per poi accorgersi di pescare nel solito stagno. Ma, d’altra parte adesso le gare di Braviautori sono a tema libero e non voglio perdermi la partecipazione. Allora che fare?
Il caso, il fato mi aiuterà.
Dizionario d’italiano Sabatini-Coletti. Scorro le pagine come il giocatore di poker fa con le carte, poi punto l’indice e leggo incuriosito: "elettrodomèstico s.m. [comp. di elettro- e domestico] (pl. -ci)".
E ora? Come faccio a scrivere un racconto su di un elettrodomestico? E quale?
Poi ci ripenso, in fondo quel genere di apparecchi è così elettrizzante! Si può fare, ma ho bisogno di una trovata, quindi mi concedo il solito aiutino letterario che spesso trovo in frigo o in freezer. Vago per la casa in compagnia di una vaschetta di gelato alla crema, musa indiscussa degli scrittori casalinghi.
Bene! Ora uno dei miei amici con il filo elettrico diventerà il protagonista del racconto breve. Ma quale?
L’eleganza del robot da cucina e il casto minimalismo dello sbattitore testimoniano la bontà della scelta letteraria, ma, stanco di Mastechef et similia, preferirei allontanarmi da soggetti legati all'arte culinaria.
La lavatrice ha un aspetto troppo austero, tutta in bianco e con quell’oblò perfettamente circolare, non stimola. Il frigo e il freezer sono dei tipi troppo freddi e compunti, per non parlare dell’aspirapolvere, chiassoso e puzzolente. Il televisore è già più dinamico, ma si può definire elettrodomestico? Nel dubbio lo depenno dall’elenco mentale e comincio a temere di non trovare un soggetto degno di essere eternato in uno scritto.
Poi Chicomexochtli, dio azteco degli artisti, mi viene in aiuto. Come in una visione mi appare, nella mente, il ferro da stiro che fa bella mostra di sè in camera da letto.
L’eccitazione mi prende, supero di slancio la rampa di scale che mi divide dall’oggetto del mio carme. Ed eccolo, luccicante di cromo e di plastica bianca, leggermente ingiallita in vicinanza della piastra.
Devo conoscerlo meglio. Le istruzioni. Ho bisogno le istruzioni. Svuoto d’impulso il cassetto dove mia moglie tiene scontrini sbiaditi e libretti inutilizzati. Niente, non ci sono. Dovrò affidarmi alla conoscenza empirica.
Mi avvicino e ne tasto l’impugnatura. È liscia, ma antiscivolo. Il serbatoio dell’acqua, opalescente, svela in trasparenza il suo contenuto, la punta arrotondata riflette la luce alogena che mi sovrasta. Inserisco la spina. Due occhi fiammeggianti, giallo e rosso, si mettono a fissarmi con insistenza, poi uno di essi si spegne.
Uno sbuffo di vapore, tale e quale a quello dei draghi medioevali, si libera dai fori della piastra. Meraviglioso. Lo impugno saldamente e ne saggio il funzionamento. Il fazzoletto cede alla forza del ferro e stende le sue fibre, soggiogato dal vapore esuberante.
Ormai lo conosco, la sua anima è mia. Lo poso e, rapito dall’estasi creativa, mi accingo a recarmi al computer.
Tutto succede in un attimo. Inciampo nel filo elettrico, il ferro tentenna sull’orlo dell’asse, poi si getta nel vuoto con la punta verso il basso, come il suicida che si lancia dal ponte scelto per l'ultimo triste tuffo. L’angoscia mi assale; devo salvarlo. Inserisco generosamente la mano tra lui e il pavimento.
L’odore è quello che ricordo quando, da piccolo, guardavo mia mamma passare sulla fiamma il pollo, per bruciare i residui delle piume.
Il ferro è salvo, ma la mano ha bisogno di cure.
Penso che scriverò del frullatore.