Cheesecake e caffé
Inviato: 24/12/2018, 14:14
Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.
“Chissà se Kurt fa ancora quei sogni inquieti?”
La domanda della ragazza giunse improvvisa nel silenzio del locale, quasi ignorata dall’uomo seduto al bancone. In realtà lui l’aveva ben compresa e la faceva decantare lentamente, mischiandola con il sapore del cheesecake ai mirtilli che stava centellinando. Fra sé ne apprezzò la finezza lessicale, forse involontaria, l’uso di inquieti al posto di inquietanti; trovò l’aggettivo assai adatto per descrivere i tratti caratteriali del soggetto in questione. Allo stesso tempo fu sorpreso da quanto quella domanda suonasse stonata nella solita, banale, partitura delle loro conversazioni. Forse era arrivato il momento di affrontare un argomento tanto a lungo evitato.
Solo dopo aver posato la forchettina sul piatto ormai vuoto si decise a rispondere: “Quello che davvero vorrei sapere è se i suoi sogni siano divenuti realtà.”
“Sarebbe una cosa ben strana, non trova?”
Il Professore rifletté su quelle parole. Aveva una sua teoria ma, come se volesse prendere tempo, le chiese: “Quanto tempo è che non vedi Kurt?”
“Eh, non saprei… un bel po’. Diciamo che è sparito da parecchio, più o meno da quando lei ha iniziato a venire a fare colazione qui.”
“Una coincidenza singolare.”
“Cioè, vuole dire che non vi siete mai incontrati?"
“Appunto.”
“Mah, non ci avevo pensato. Oh, ma lei intende…?”
“Ma no, ma no, probabilmente hai ragione tu, è solo un caso.”
Sottolineò il concetto con un gesto della mano, agitandola come per scacciare un pensiero molesto, poi riprese, quasi distrattamente: “Dicevi dei suoi sogni, cosa ci trovi di strano?”
“Insomma, quelle sue visioni di bruchi, di boschi notturni avvolti nella foschia, di cavità nei tronchi degli alberi…”
“Questa è la parte più poetica. Il punto cruciale è la mutazione del suo corpo, me l’hai descritta così bene nei dettagli, proprio come te la raccontava lui: le gambe e il busto che si gonfiano, diventano molli e lo costringono a strisciare, le braccia che si atrofizzano, la vista che diventa sfaccettata… Ricordi che aveva anche iniziato a trovare repellente l’anatomia umana, con i suoi tratti sgraziati e inutili, al punto di provare ribrezzo perfino per se stesso?”
“Sì, è vero, negli ultimi tempi mi diceva spesso quanto gli fosse difficile guardarsi allo specchio.”
”Già… Vuoi sapere a che conclusione sono arrivato? Penso che i suoi fossero sogni di regressione e di rinascita, l’assurda voglia di chiudersi in un bozzolo nella condizione di crisalide. Sai cos’è una crisalide?”
“Un insetto?” azzardò la ragazza.
“Non proprio, è una farfalla non ancora formata. Secondo me Kurt adesso è in uno stadio intermedio della metamorfosi, è avvolto nella seta, dorme, sogna e si prepara a essere libero, a volare.”
“Lei mi spaventa, Professore! Sarebbe mostruoso, se fosse vero.”
“Sì, hai ragione. È folle, folle e mostruoso.”
Nella tavola calda calò il silenzio, disturbato solo dal ronzio di un tubo al neon che stava morendo.
“Lo sai cosa ha fatto Kurt?”
“Io so solo quello che mi ha detto lei. Non credevo che… che…”
“…che potessero esistere degli uomini così malvagi? Lui ti raccontava i suoi sogni, a me è toccato interpretare i suoi incubi.”
Lei chinò la testa, concentrata sul panno umido che stava passando sul piano di legno scuro.
“Ti sei mai chiesta perché vengo sempre qui?”
“Per il cheescake e il caffè, naturalmente!” celiò la ragazza, sollevata dal repentino cambio d’argomento.
“Quello è uno dei motivi, però io vengo soprattutto per te, mi piace la tua compagnia.”
“Che dice, Professore? Io sono solo una cameriera.”
“Apprezzo la tua modestia, ma per me tu sei molto di più. Sei la luce nelle mie tenebre.”
“Lei è strano, ma anche galante. Sa come lusingare una donna, ai suoi tempi deve essere stato un vero dongiovanni.”
“Ai miei tempi? Ti sembro proprio tanto vecchio?”
“Oh, mi scusi, non volevo dire questo! Però ammetterà che potrei essere sua figlia.”
Esitò un attimo prima di replicare, turbato dal fugace ricordo di un giorno d’estate e di un’altalena che oscillava, vuota: “E chi ti dice che tu non lo sia davvero?”
“Professore! Lei ha sempre voglia di scherzare!”
“Che cos’è la vita, se non uno scherzo?”
“Eh, non lo so, lei mi confonde con la sua filosofia! La mia è tutta in questo posto, fra la macchina del caffè e il bancone.”
“Dovresti toglierti il grembiule e uscire, c’è tutto un mondo fuori.”
“Giusto, come dice lei. Ma qui è più semplice.”
Il Professore sorrise per l’ingenua saggezza della ragazza. Trovava quella conversazione simile a una partita a scacchi con un principiante, inesperto ma imprevedibile. Adesso si sentiva confuso da quel gioco e non riusciva a scegliere la mossa successiva.
Fu lei a rompere lo stallo: “Vuole un’altra tazza di caffè?”
“Grazie cara, lo gradirei molto.”
“Nero, senza zucchero e con un goccio di panna fredda, dico bene?”
“Nessuno mi conosce come te.”
Fu la cameriera a sorridere, questa volta. E con la stessa affabilità appoggiò la tazzina sul bancone, dicendo: “Ecco fatto,” poi aggiunse, cambiando espressione e intonazione della voce, quasi sussurrando, “si sbrighi a finirlo, è ora di andare.”
“Di già? Non mi ero accorto che fosse così tardi. Vorrei chiederti solo un’ultima cosa: che prendeva Kurt quando veniva qui?”
Lei si era voltata e stava armeggiando con la lavastoviglie, disse qualcosa, ma un rumore coprì la sua risposta e lui non la intese.
Il triplice scatto della porta blindata inghiottì la tavola calda, con tutti gli sgabelli, il bancone e la ragazza. L’unica cosa che riuscì a salvare, afferrandolo al volo, fu il caffè.
L’agente, entrando, notò il suo gesto. Quel portare alle labbra una tazzina invisibile, stringendola fra pollice e indice, non lo sorprese più di tanto, era ormai abituato alle bizzarrie di quell’uomo.
Lo lasciò terminare la sua pantomima, poi gli appoggiò una mano sulla spalla e disse semplicemente: “Andiamo Kurt, è ora.”
“Sì,” rispose il Professore, con in bocca il gusto del caffè più buono della sua vita, “è ora di volare.”