Hako, help me
Inviato: 23/06/2019, 14:20
Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.
Hako, help me
Apro gli occhi. Il salotto è un acquerello rosa fenicottero. Ho di nuovo pianto nel sonno. C'è umidità, caligine, mi sudano le sinapsi. Sono uno Sputnik alla deriva, perso nell'orbita d’un soggiorno démodé. Falci di luce gialla ibridano le ombre afose della stanza. Un allarme. La centralina domotica segnala un problema. È la pre-allerta meteo.
«Istantanea report, per favore.»
Dai fono-diffusori sgocciola piano la robo-voce di Ophelia, attenzione, avverte, precipitazioni a pH tre attese per mezzogiorno, parla di piogge acide, eppure ascoltarla è l'unico balsamo che ho, previsti livelli di H2SO4 sulle due punto due parti per milione.
All'improvviso un'ondata di nausea, no, forse è nostalgia. Dio, quanti Long Island Aesthé ho bevuto ieri sera? Decisamente troppi, scopro – oltre un velo di lacrime tremola il digitimer, segna le nove di mattina. Sono in ritardo. Al chiosco ci sarà già calca, hanno bisogno di me per confezionare quei Fruttaccinos alle bacche di Goji, ma perché dovrei alzarmi? Là fuori non c’è niente, solo smog e anonimali da marciapiede.
Doppio bip, l’Hamlet Software s’attiva a tradimento. Dovresti essere al lavoro, ammonisce, un'assenza dall'impiego può costare ammende pecuniarie e licenz-
Lo ignoro, lo spengo. Attorno a me cala il buio, un'oscurità striata soltanto dal giallo fluo del segnale meteo. Da risacca, il moto della nostalgia si fa mareggiata. Schiuma.
No, bucare il turno al Kokonut non mi costerà mai quanto aver perso lei. Mi manca da morire, ma più scorre il tempo, meno riesco a ricordare. E se di colpo svanisse tutto?
«Hako.»
Pronuncio quel nome ad alta voce e Ophelia m’interfaccia alla neuro-teca.
Come un fiore di loto, l’ologramma vermiglio di Hako sboccia al centro della stanza. Bagliori elettrici le sfrigolano a fior di pelle, finché il mio avatar non la stringe a sé.
Il loro... Il nostro contatto sprigiona scintille viola. C’è odore d’ozono nell’aria.
Eccola – penso – l’unica donna che abbia davvero trasceso la post-modernità, perennemente assorta a scrutare il cielo, con quel nasino puntato a Est di un sogno.
Sulle pareti sfarfalla un teleshow lo-fi pieno di memorie, e così la rivedo sorseggiare una Saint Pepsi al nostro primo appuntamento, mentre le sfioro i capelli, poi guardo le sue labbra chiare, la spiaggia, baci in punta di piedi, mi dice. Il nebulizzatore diffonde il suo profumo in Smell-O-Vision. Sa di vaniglia e salsedine. Hako, dove sei?
Continuo a chiedermelo. Dovrei smettere, però non voglio. Non voglio dimenticarti.
Mi sento smagnetizzato, sai, come un vecchio Betamax, ma osservarti mi dà sollievo. I tuoi occhi, soprattutto, quelli non sono cambiati – sempre vivi, due finestre al neon spalancate su piogge di stelle cadenti. «Ophelia» ordino «Avvia Esprit.»
Adoravamo quella canzone.
Aiutami a non dimenticare, Hako, ti scongiuro. Un giorno troverai qualcuno, mi rassicura lei, col suo sorriso che glitcha fondendosi a un panorama del monte Fuji.
Allora la supplico. Non lasciarmi di nuovo solo, non oggi. Vorrei uscire, vorrei alzare la testa come facevi tu e trovare uno scopo. Mi senti? Sono io. Ti prego, parlami. Salvami.
Lentamente, una frase a metà fra caratteri kanji e hiragana si sostituisce agli ologrammi. La riconosco subito, era uno dei suoi proverbi preferiti. Sorrido di tristezza.
失敗を繰り返すことで、成功に至る。
“Ripetuti fallimenti conducono al successo”, traduco a mente. La neuro-teca si spegne.
È sempre questo il tuo messaggio, Hako? Quanto ancora dovrò fallire per rivederti?