Operazione “Lampreda padana”.
Inviato: 23/06/2019, 20:24
“Appuntamento nel luogo dove tutto è cominciato al suon delle otto campane serali”.
Così recitava il breve messaggio di testo trasmesso ad ogni convenuto.
Immerso nel buio e nel silenzio profondo, quel luogo, ormai lasciato a sé stesso, cominciò a riprender vita.
Nessun rumore, nessuna luce, salvo quella che brillava negli occhi e nel animo dei convenuti.
Una luce che per ognun di loro era guida e pochi oltre a loro intravedevano.
L’un di fronte l’altro intorno ad un vecchio tavolo in legno che emanava, così come tutto il casolare, un intenso odor di muffa ed abbandono, questi uomini tuffati nel buio d’abisso ed in un silenzio di tomba si riconoscevano e salutavano con un linguaggio misterioso.
Eppure il loro convenire in quel casolare era impercettibile persino al più sofisticato fonometro ed il buio era profondo ed impenetrabile.
Come facessero a riconoscersi e comunicare questi uomini resterà un eterno mistero.
Telepatia, affinità di intenti e pensieri tali da rendere superfluo ogni uso dei sensi? Forse ...
Caso di studio per parapsicologi rampanti? Sicuramente!
Rapidamente, quella casa scolorita, ormai in rovina, quasi un rudere, con una parte del tetto crollata e nella quale nessun entra per pericolo di crolli, aveva preso colore e vita.
Sulla facciata, tra una crepa e la successiva, era ancora possibile individuare un paio di targhe commemorative ed una vecchia corona appassita.
Un vecchio Comandante per il quale le otto campane erano già suonate da qualche tempo. Pure lui con quella luce che brillava tra occhi ed animo, descriveva quel sito con queste parole: “In quel luogo si era creata, in modo vero, profondo e sincero, quella banda di fratelli che costituiva un ideale dei giovani allievi dell'Accademia Marinara. Ed essere uniti come consanguinei non era retorica, come non lo era il voler dare in ogni possibile modo tutto quello che si poteva ad un'Italia che amavamo sopra ogni cosa. Là si creò quello spirito che nessuno di noi ha mai potuto dimenticare”.
Parole sincere di uomo leale, schietto e stimato, già della partita, fin da quei tempi in cui tutto ebbe inizio.
Ad un tratto, secondo tradizione, vennero battuti otto decisi e solenni rintocchi di campana accompagnati da una voce altisonante "Sono le otto e tutto va bene!".
Fin dai tempi della più antica tradizione marinara quella frase si udiva sul ponte di coperta quando avveniva il cambio del turno di guardia.
Dopo quelle parole una candela illuminò con la sua tenue luce le facce dei convenuti:
Una dozzina d’uomini in tuta da combattimento color verde speranza ritti attorno ad un vecchio e puzzolente tavolo, in una cascina diroccata, illuminati da una debole fiammella di candela, nel buio che li avvolgeva.
Occhi più sensibili avrebbero osservato un bagliore intenso uscire da una cascina in perfette condizioni dalla quale provenivano uomini della vecchia guardia con il cuore leggero per aver lasciato quel luogo in fide mani.
Così era!
Nei tabernacoli costituiti dai cuori di quegli uomini, montanti e smontanti, i valori eran rimasti intatti.
Prese la parola il Comandante Perseo:
"Signori, un grave pericolo oggi minaccia la nostra Bandiera. La Patria è in pericolo. Dal lago più grande d'Europa, situato nel nord ovest della Russia europea, è fin qui giunta una specie di lampreda nera che accoppiandosi con la nostra lampreda padana ha dato origine ad una nuova forma di vita.
Come tutti ben sappiamo la lampreda padana non era in principio un parassita e trascorreva tutta la sua vita in acque dolci, non migrando mai verso il mare.
Le novelle lamprede padane oltre a succhiare il sangue degli altri pesci, mutando in voraci parassiti oggi migrano anche verso il mare in cerca di nutrimento".
"Noi che c’entriamo?" Chiesero due operatori.
"Chi meglio tra noi, forgiati al fuoco della folgore, temprati nel mare, conosce le abitudini di quei viscidi succhia sangue? Chi meglio conosce le forze da cui sono mossi. Chi potrà fermarli senza danneggiarli? Per questo hanno scelto noi". Rispose Perseo.
"Dopo le lamprede ci occuperemo anche di derattizzazione?!" Concluse con tono scherzoso Eracle.
Fu così che nei giorni successivi quegli operatori si diedero da fare.
L’intento era chiaro: convincere le lamprede padane a mollare la presa, persuadendole a cercare il loro nutrimento altrove, magari su nuovi banchi di pesci ignari. Così che dopo l'inevitabile caduta in trappola, e dopo il conseguente fallimento pianificato le lamprede nere ritenessero più conveniente e logico tornare da dove erano venute.
L’azione studiata nei minimi dettagli non ammetteva errore.
Si decise di far leva sulla più stordita di quelle lamprede padane: cioè la lampreda leader.
Era questa una lampreda superficiale, poco accorta, con un ego smisurato e che dimostrava estremo compiacimento quando tutti la definivano “capitone”. Gradiva essere così definita non certo a causa della assonanza all’esemplare femmina del pesce teleosteo della famiglia delle anguillidae, considerato che invero, in tal senso, più virilmente avrebbe preferito esser definita buratello.
Capitone, invero era inteso nel senso dello scarso comprendere sul piano intellettivo, cosa su cui giocava chi quel nome gli aveva attribuito, sicuro che visto lo scarso afferrare con la mente di questo esemplare, questi si sarebbe subito fatto convinto che capitone fosse inteso nel senso contrario: di cioè colui che tutto capiva ... in modo repentino e lungimirante.
Tutto era pronto: Un esperto operatore sub scese in acqua, si mise in posizione, impugnò il suo gladio con la stessa perizia di un chirurgo con il bisturi e riuscì, tagliando un sottile strato di pelle dell’ospite, a staccare quel parassita di “capitone” posizionando la testa del medesimo sulla sua stessa coda.
Appena riemerso il sub riferì: “Operazione lampreda padana riuscita, quel vorace parassita è in loop, adesso succhia sé stesso”.
Si narra che ancor oggi quella lampreda padana leader vaghi per i mari chiedendosi cosa sia accaduto e sempre più debole stia andando a fondo, sempre più a fondo. Speriamo che non tutte le lamprede padane lo seguano sul fondo e che le più sagge tornino in acque dolci abbandonando ogni pratica parassita.
Così recitava il breve messaggio di testo trasmesso ad ogni convenuto.
Immerso nel buio e nel silenzio profondo, quel luogo, ormai lasciato a sé stesso, cominciò a riprender vita.
Nessun rumore, nessuna luce, salvo quella che brillava negli occhi e nel animo dei convenuti.
Una luce che per ognun di loro era guida e pochi oltre a loro intravedevano.
L’un di fronte l’altro intorno ad un vecchio tavolo in legno che emanava, così come tutto il casolare, un intenso odor di muffa ed abbandono, questi uomini tuffati nel buio d’abisso ed in un silenzio di tomba si riconoscevano e salutavano con un linguaggio misterioso.
Eppure il loro convenire in quel casolare era impercettibile persino al più sofisticato fonometro ed il buio era profondo ed impenetrabile.
Come facessero a riconoscersi e comunicare questi uomini resterà un eterno mistero.
Telepatia, affinità di intenti e pensieri tali da rendere superfluo ogni uso dei sensi? Forse ...
Caso di studio per parapsicologi rampanti? Sicuramente!
Rapidamente, quella casa scolorita, ormai in rovina, quasi un rudere, con una parte del tetto crollata e nella quale nessun entra per pericolo di crolli, aveva preso colore e vita.
Sulla facciata, tra una crepa e la successiva, era ancora possibile individuare un paio di targhe commemorative ed una vecchia corona appassita.
Un vecchio Comandante per il quale le otto campane erano già suonate da qualche tempo. Pure lui con quella luce che brillava tra occhi ed animo, descriveva quel sito con queste parole: “In quel luogo si era creata, in modo vero, profondo e sincero, quella banda di fratelli che costituiva un ideale dei giovani allievi dell'Accademia Marinara. Ed essere uniti come consanguinei non era retorica, come non lo era il voler dare in ogni possibile modo tutto quello che si poteva ad un'Italia che amavamo sopra ogni cosa. Là si creò quello spirito che nessuno di noi ha mai potuto dimenticare”.
Parole sincere di uomo leale, schietto e stimato, già della partita, fin da quei tempi in cui tutto ebbe inizio.
Ad un tratto, secondo tradizione, vennero battuti otto decisi e solenni rintocchi di campana accompagnati da una voce altisonante "Sono le otto e tutto va bene!".
Fin dai tempi della più antica tradizione marinara quella frase si udiva sul ponte di coperta quando avveniva il cambio del turno di guardia.
Dopo quelle parole una candela illuminò con la sua tenue luce le facce dei convenuti:
Una dozzina d’uomini in tuta da combattimento color verde speranza ritti attorno ad un vecchio e puzzolente tavolo, in una cascina diroccata, illuminati da una debole fiammella di candela, nel buio che li avvolgeva.
Occhi più sensibili avrebbero osservato un bagliore intenso uscire da una cascina in perfette condizioni dalla quale provenivano uomini della vecchia guardia con il cuore leggero per aver lasciato quel luogo in fide mani.
Così era!
Nei tabernacoli costituiti dai cuori di quegli uomini, montanti e smontanti, i valori eran rimasti intatti.
Prese la parola il Comandante Perseo:
"Signori, un grave pericolo oggi minaccia la nostra Bandiera. La Patria è in pericolo. Dal lago più grande d'Europa, situato nel nord ovest della Russia europea, è fin qui giunta una specie di lampreda nera che accoppiandosi con la nostra lampreda padana ha dato origine ad una nuova forma di vita.
Come tutti ben sappiamo la lampreda padana non era in principio un parassita e trascorreva tutta la sua vita in acque dolci, non migrando mai verso il mare.
Le novelle lamprede padane oltre a succhiare il sangue degli altri pesci, mutando in voraci parassiti oggi migrano anche verso il mare in cerca di nutrimento".
"Noi che c’entriamo?" Chiesero due operatori.
"Chi meglio tra noi, forgiati al fuoco della folgore, temprati nel mare, conosce le abitudini di quei viscidi succhia sangue? Chi meglio conosce le forze da cui sono mossi. Chi potrà fermarli senza danneggiarli? Per questo hanno scelto noi". Rispose Perseo.
"Dopo le lamprede ci occuperemo anche di derattizzazione?!" Concluse con tono scherzoso Eracle.
Fu così che nei giorni successivi quegli operatori si diedero da fare.
L’intento era chiaro: convincere le lamprede padane a mollare la presa, persuadendole a cercare il loro nutrimento altrove, magari su nuovi banchi di pesci ignari. Così che dopo l'inevitabile caduta in trappola, e dopo il conseguente fallimento pianificato le lamprede nere ritenessero più conveniente e logico tornare da dove erano venute.
L’azione studiata nei minimi dettagli non ammetteva errore.
Si decise di far leva sulla più stordita di quelle lamprede padane: cioè la lampreda leader.
Era questa una lampreda superficiale, poco accorta, con un ego smisurato e che dimostrava estremo compiacimento quando tutti la definivano “capitone”. Gradiva essere così definita non certo a causa della assonanza all’esemplare femmina del pesce teleosteo della famiglia delle anguillidae, considerato che invero, in tal senso, più virilmente avrebbe preferito esser definita buratello.
Capitone, invero era inteso nel senso dello scarso comprendere sul piano intellettivo, cosa su cui giocava chi quel nome gli aveva attribuito, sicuro che visto lo scarso afferrare con la mente di questo esemplare, questi si sarebbe subito fatto convinto che capitone fosse inteso nel senso contrario: di cioè colui che tutto capiva ... in modo repentino e lungimirante.
Tutto era pronto: Un esperto operatore sub scese in acqua, si mise in posizione, impugnò il suo gladio con la stessa perizia di un chirurgo con il bisturi e riuscì, tagliando un sottile strato di pelle dell’ospite, a staccare quel parassita di “capitone” posizionando la testa del medesimo sulla sua stessa coda.
Appena riemerso il sub riferì: “Operazione lampreda padana riuscita, quel vorace parassita è in loop, adesso succhia sé stesso”.
Si narra che ancor oggi quella lampreda padana leader vaghi per i mari chiedendosi cosa sia accaduto e sempre più debole stia andando a fondo, sempre più a fondo. Speriamo che non tutte le lamprede padane lo seguano sul fondo e che le più sagge tornino in acque dolci abbandonando ogni pratica parassita.