Sonno profondo
Inviato: 02/07/2019, 18:57
Quel giorno qualcosa non andava. Me ne accorsi subito, non appena aprii gli occhi.
La sveglia sul comodino segnava le undici. Sarei dovuto essere a lavoro da almeno tre ore e avrei dovuto preparare la colazione per Katy ed Annie.
Scesi dal letto, circondato dal buio della stanza. Nessuna luce filtrava dalle finestre, nonostante la mattinata fosse quasi al termine ed il sole dovesse essere ormai alto nel cielo.
Pensai a Linda, mia moglie. Se n’era andata a lavoro senza nemmeno degnarsi di svegliarmi; un fatto che definii molto strano dal momento che ogni mattina il suo bacio del buongiorno decretava la fine dei miei sogni.
Nemmeno Katy ed Annie, le mie due figlie, si erano preoccupate del mio sonno profondo.
Scesi le scale senza darmi troppa pena per il ritardo sul lavoro; poco male, avrei telefonato e mi sarei giustificato in qualche modo.
In cucina trovai i resti della colazione, e a giudicare dall’odore di bruciato che si espandeva per la stanza, pensai in cuor mio, che le due bimbe, nonostante l’impegno, non fossero ancora pronte per partecipare a Master Chef.
D’improvviso mi balzò all’occhio un biglietto scarabocchiato con una penna rossa.
Riconobbi la grafia di Katy, che con mano incerta mi aveva lasciato un messaggio. Pensai che fosse un gesto molto carino da parte sua e lo lessi ad alta voce rompendo il silenzio tombale della casa.
«Ciao papà. Io e Annie ci siamo arrangiate con le uova e i pancake. Abbiamo provato a svegliarti, ma è stato praticamente impossibile. Mamma ti dice sempre di non mangiare troppo pesante prima di andare a letto. Sembravi quasi morto!»
Sembravi quasi morto. Tre parole che iniziarono a rimbombare negli immensi corridoi della mia testa, come una campana nell’ora di preghiera.
Pensai che la prossima cosa da fare sarebbe stato chiamare il mio capo e tranquillizzarlo sul fatto che fossi ancora vivo. Mi immaginai davanti al suo muso inferocito, mentre giustificavo la mia assenza con qualche assurda storia. Scomodare un’invasione aliena sarebbe stato eccessivo; probabilmente l’idea della cena messicana mal digerita sarebbe stata più verosimile.
Avevo bisogno del mio cellulare e così presi a salire le scale; di solito lasciavo il telefono sul comodino della camera da letto, in modo che fosse ben visibile e non lo dimenticassi prima di uscire di casa.
Spalancai la porta della stanza che da anni condividevo con mia moglie; l’oscurità mi avvolse e mi lanciò il suo invito ad entrare.
Una sensazione di terrore irrazionale invase il mio corpo, scuotendolo da testa a piedi.
Con la mano destra cercai l’interruttore sulla parete; avrei acceso la luce ed ogni paura si sarebbe dissolta. Ed invece così non fu.
Non appena riuscii ad accendere il lampadario, l’abbagliante luce alogena della camera rischiarò ai miei occhi la vista di qualcosa di inquietante ed inatteso.
Una sagoma scura se ne stava rannicchiata sotto le coperte, proprio sul lato del materasso che avevo occupato fino a pochi minuti prima.
L’ignota presenza sembrò non accorgersi di me né tanto meno sembrò infastidita dal bagliore che proveniva dal lampadario.
Iniziai ad avvicinarmi, più turbato che mai, mentre la tensione irrigidiva ogni nervo e muscolo del mio corpo.
Sembravi quasi morto. Ripensai a quelle parole e ancora la mia mente fu scossa come da un oscuro presagio.
Trovatomi a pochi passi dal mio ospite, scostai leggermente le coperte per scoprirne il volto, mentre le mie mani tremavano all’impazzata in preda a spasmi incontrollabili.
Nella stanza il silenzio regnava sovrano, interrotto soltanto dal battere dei miei denti, che stringevo con forza per scaricare la tensione.
Davanti ai miei occhi si aprì un’immagine sconvolgente: un volto pallidissimo, dal colorito grigiastro e con due enormi occhi sbarrati mi fissò da sotto le coperte che avevo leggermente spostato.
Lo sguardo spento non lasciava trapelare alcun segno di vita.
Quell’uomo doveva essere deceduto da diverse ore.
Cercando maggiori risposte agli interrogativi che iniziavano ad accalcarsi nella mia mente, liberai l’intera sagoma dal fagotto delle lenzuola.
Fu soltanto allora che i dubbi divennero certezze e le certezze si trasformarono in vivido orrore.
Cercai di gridare senza però riuscirvi.
Il cadavere che occupava il mio letto era una persona che conoscevo fin troppo bene.
Ero proprio io.
La sveglia sul comodino segnava le undici. Sarei dovuto essere a lavoro da almeno tre ore e avrei dovuto preparare la colazione per Katy ed Annie.
Scesi dal letto, circondato dal buio della stanza. Nessuna luce filtrava dalle finestre, nonostante la mattinata fosse quasi al termine ed il sole dovesse essere ormai alto nel cielo.
Pensai a Linda, mia moglie. Se n’era andata a lavoro senza nemmeno degnarsi di svegliarmi; un fatto che definii molto strano dal momento che ogni mattina il suo bacio del buongiorno decretava la fine dei miei sogni.
Nemmeno Katy ed Annie, le mie due figlie, si erano preoccupate del mio sonno profondo.
Scesi le scale senza darmi troppa pena per il ritardo sul lavoro; poco male, avrei telefonato e mi sarei giustificato in qualche modo.
In cucina trovai i resti della colazione, e a giudicare dall’odore di bruciato che si espandeva per la stanza, pensai in cuor mio, che le due bimbe, nonostante l’impegno, non fossero ancora pronte per partecipare a Master Chef.
D’improvviso mi balzò all’occhio un biglietto scarabocchiato con una penna rossa.
Riconobbi la grafia di Katy, che con mano incerta mi aveva lasciato un messaggio. Pensai che fosse un gesto molto carino da parte sua e lo lessi ad alta voce rompendo il silenzio tombale della casa.
«Ciao papà. Io e Annie ci siamo arrangiate con le uova e i pancake. Abbiamo provato a svegliarti, ma è stato praticamente impossibile. Mamma ti dice sempre di non mangiare troppo pesante prima di andare a letto. Sembravi quasi morto!»
Sembravi quasi morto. Tre parole che iniziarono a rimbombare negli immensi corridoi della mia testa, come una campana nell’ora di preghiera.
Pensai che la prossima cosa da fare sarebbe stato chiamare il mio capo e tranquillizzarlo sul fatto che fossi ancora vivo. Mi immaginai davanti al suo muso inferocito, mentre giustificavo la mia assenza con qualche assurda storia. Scomodare un’invasione aliena sarebbe stato eccessivo; probabilmente l’idea della cena messicana mal digerita sarebbe stata più verosimile.
Avevo bisogno del mio cellulare e così presi a salire le scale; di solito lasciavo il telefono sul comodino della camera da letto, in modo che fosse ben visibile e non lo dimenticassi prima di uscire di casa.
Spalancai la porta della stanza che da anni condividevo con mia moglie; l’oscurità mi avvolse e mi lanciò il suo invito ad entrare.
Una sensazione di terrore irrazionale invase il mio corpo, scuotendolo da testa a piedi.
Con la mano destra cercai l’interruttore sulla parete; avrei acceso la luce ed ogni paura si sarebbe dissolta. Ed invece così non fu.
Non appena riuscii ad accendere il lampadario, l’abbagliante luce alogena della camera rischiarò ai miei occhi la vista di qualcosa di inquietante ed inatteso.
Una sagoma scura se ne stava rannicchiata sotto le coperte, proprio sul lato del materasso che avevo occupato fino a pochi minuti prima.
L’ignota presenza sembrò non accorgersi di me né tanto meno sembrò infastidita dal bagliore che proveniva dal lampadario.
Iniziai ad avvicinarmi, più turbato che mai, mentre la tensione irrigidiva ogni nervo e muscolo del mio corpo.
Sembravi quasi morto. Ripensai a quelle parole e ancora la mia mente fu scossa come da un oscuro presagio.
Trovatomi a pochi passi dal mio ospite, scostai leggermente le coperte per scoprirne il volto, mentre le mie mani tremavano all’impazzata in preda a spasmi incontrollabili.
Nella stanza il silenzio regnava sovrano, interrotto soltanto dal battere dei miei denti, che stringevo con forza per scaricare la tensione.
Davanti ai miei occhi si aprì un’immagine sconvolgente: un volto pallidissimo, dal colorito grigiastro e con due enormi occhi sbarrati mi fissò da sotto le coperte che avevo leggermente spostato.
Lo sguardo spento non lasciava trapelare alcun segno di vita.
Quell’uomo doveva essere deceduto da diverse ore.
Cercando maggiori risposte agli interrogativi che iniziavano ad accalcarsi nella mia mente, liberai l’intera sagoma dal fagotto delle lenzuola.
Fu soltanto allora che i dubbi divennero certezze e le certezze si trasformarono in vivido orrore.
Cercai di gridare senza però riuscirvi.
Il cadavere che occupava il mio letto era una persona che conoscevo fin troppo bene.
Ero proprio io.