L'uomo sul balcone
Inviato: 08/07/2019, 18:16
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L’uomo era sempre lì. Ogni volta che Davide si sedeva sulla sua sedia per una sigaretta, lui era lì, sul balcone di fronte al suo. I due palazzi erano separati da una modesta distanza e non era mai riuscito a vederlo in maniera nitida. Gli sembrava un uomo di mezza età, magro, non troppo alto. Aveva i capelli scuri e quando si portava un libro, Davide riusciva a intravedere lo scintillio di un paio di occhiali. Non si erano mai parlati né incrociati per strada, ma, dopo tutti quegli anni, quel momento era diventato un qualcosa di molto intimo, o almeno così credeva Davide. Spesso accompagnava le sue sigarette con un sottofondo jazz o blues e allora, strizzando gli occhi, riusciva a vedere l’uomo muovere leggermente la testa a tempo. Si compiaceva sempre nel vederlo apprezzare la sua musica. Davide adorava quei momenti di tranquilla solitudine, erano per lui dei piccoli piaceri quotidiani a cui non avrebbe mai rinunciato e, con il tempo, l’uomo era entrato a farne parte. D’altronde la sua vita era per lo più noiosa, ripetitiva, la classica routine dell’uomo medio. Era diventato tutto ciò che da ragazzo ripudiava. Un uomo frustrato, deluso dal suo lavoro e dalla sua vita e che alla domanda “come stai?” rispondeva sempre con un “si tira avanti”, seguito da un sorriso rassegnato. Aveva addirittura perso interesse nelle donne, tutto quel flirtare per poi forse finire a letto gli sembrava una fatica inutile, un vizio al quale si era già concesso troppe volte. Ormai si limitava a commentare nella sua testa le donne viste per le strade di Roma, consolandosi al pensiero che, se solo avesse voluto, si sarebbe potuto infilare senza troppa fatica tra le loro lenzuola. Non sbagliava, nonostante i suoi quarant’anni era ancora un uomo attraente, aveva mantenuto un fisico snello e longilineo, ma non privo di muscoli. Invece viveva da solo, mangiava cibi surgelati e ogni sera si godeva un bicchiere di Amaro del Capo e una sigaretta in compagnia di quell’ uomo misterioso. Si trovava spesso a fantasticare sulla sua identità. A giudicare dalla quantità di libri che divorava su quel balcone sembrava un tipo piuttosto istruito e anche i suoi gusti musicali sembravano raffinati. Indossava spesso una vestaglia grigia mentre altre volte portava un completo di colore blu scuro con tanto di cravatta, ma mai qualcos’altro. Davide, in quei quattro anni, non era mai riuscito a inquadrarlo. Gli sembrava di essersi aperto di più, attraverso la sua musica, rispetto all’ uomo che invece si limitava a leggere qualche libro del quale, inoltre, era impossibile distinguere il titolo. Eppure, era sicuro che ci fosse qualcosa di più di una semplice coincidenza nei loro “incontri a distanza”.
Un giorno di inizio novembre, Davide si era appena accomodato sulla sua sedia e, voltando lo sguardo verso il balcone davanti al suo, si accorse che per la prima volta l’uomo non stava né leggendo né gustandosi una sigaretta. I suoi occhiali scintillavano riflettendo la luce del sole e davanti a lui, su un tavolino, si intravedeva una strana forma che l’uomo stava delicatamente intagliando. Davide ne fu subito affascinato, finalmente si stava aprendo anche lui, stava mostrando qualcosa di personale. Senza pensarci troppo prese il cellulare, scattò una foto e rientrò di corsa in casa con la sigaretta ancora accesa. Il telefono era nuovo, costoso quanto inutile…fino a quel momento. Nonostante avesse ingrandito parecchio il tavolino con sopra la “scultura”, la definizione dell’immagine era ancora buona. Dal colore sembrava fosse legno e dalle forme pareva essere il corpo di una donna. Si contorceva su sé stessa e, anche da quella distanza, Davide riusciva a percepire una smorfia di terrore che le attraversava il volto. Rimase qualche secondo a fissare lo schermo del suo cellulare. L’eccitazione iniziale si era tramutata in curiosità ed inquietudine. Non capiva perché fosse così turbato da quella semplice statuetta di legno.
Da quel giorno, almeno una volta a settimana, l’uomo si presentava con un nuovo ciocco di legno da intagliare, raffigurando uomini e donne straziati dal dolore. Davide era affascinato da come quei movimenti così aggraziati, delicati e precisi potessero creare un qualcosa di così terrificante come quelle statuette. Ogni volta che l’uomo stava per finirne una, Davide scattava una foto per vederla da vicino. Non vi fu una volta che non ne fosse terribilmente inquietato. Intanto le settimane passavano, poi i mesi e, dopo una quantità indefinita di statuette e di foto diverse, arrivò il periodo dell’anno che Davide più preferiva, l’inverno inoltrato. L’inverno delle notti fredde, delle piogge torrenziali e del vento gelato che taglia il viso dei viandanti notturni. Per Davide il tempo avverso era una scusa per tenersi alla larga dal resto del mondo, dalla socialità. Si sedeva sul suo balcone e si godeva lo scatenarsi dell’ira dei cieli. Durante una di quelle notti invernali, però, Davide non era sul suo balcone, ma là fuori, nel mondo. Più precisamente nella caotica metropolitana romana, anche se, a causa dell’orario, era tutto tranne che caotica. Due ragazzi, con birra alla mano e sigaretta all’orecchio, stavano parlando delle conseguenze di un ipotetico attentato al papa.
– Seee vabbè, metti caso succede quei fasci cattolici fanno le crociate due punto zero, con bazooka e armi chimiche – disse il ragazzo al quale mancava un pezzo di carne circolare dall’orecchio.
L’altro, che sfoggiava una capigliatura apparentemente casuale ma che era di sicuro frutto di un lungo lavoro, rise sguaiatamente annuendo. Davide sospirò e fece cadere la testa all’indietro, appoggiandola sul vetro. Rivolse lo sguardo all’altro lato del vagone dove, in piedi in un angolo, c’era un uomo magro, con pantaloni larghi e logori e una felpa nera. Indossava un cappello rosso con la visiera con sopra il cappuccio della felpa. Del viso si intravedevano solo le labbra screpolate che, inarcandosi in un sorriso, mostrarono i denti sporchi dell’uomo. Due denti d’oro gli scintillarono ai lati opposti della bocca. Davide ne fu turbato, distolse lo sguardo e chiuse gli occhi. Si concentrò sul suono continuo della metropolitana sui binari e si fece trasportare dal dondolio del vagone. Per poco non si addormentò. Aperti gli occhi si accorse che sul sedile davanti a lui c’era qualcosa. Lentamente mise a fuoco e più i contorni si facevano nitidi più Davide sprofondava nell’incredulità. Davanti a lui giaceva una sua perfetta riproduzione alta forse trenta centimetri, intagliata nel legno. Era raffigurato seduto, con le gambe accavallate e con una mano si stava portando una sigaretta alla bocca. La prese frettolosamente e la mise nel suo zaino, si muoveva come se non volesse essere visto. Stava per chiudere lo zaino quando si fermò di colpo guardando al suo interno. Vi aveva riposto la statuetta con la base rivolta verso l’alto e solo in quel momento si accorse che riportava un’incisione sul fondo.
“Chi viene immortalato ha già visto calare l’ultima notte. Per te ho fatto un’eccezione.
L’uomo sul balcone.”
Chiuse lo zaino. Si alzò e uscì dalla metro. Camminando verso l’uscita si voltò, il vagone era vuoto, niente ragazzi e niente uomo inquietante. Si diresse verso casa con il cuore che gli scoppiava. Non se l’aspettava, era un gesto esplicito, non era da lui, lui che neanche lo degnava di uno sguardo nei loro “incontri a distanza”. Pensò che prima di farsi rivedere sul suo balcone avrebbe rimuginato parecchio sulla statuetta e sulla sua incisione. Non voleva farsi trovare impreparato dall’uomo, aveva chiaramente voluto mandare un messaggio e un messaggio… necessita una risposta.
Per tutta la notte non fece altro che bisbigliare tra sé e sé il testo dell’incisione. Più ci pensava più ne era turbato, era di sicuro inquietante. L’uomo all’angolo del vagone…doveva essere lui. Davide non trovava nessun’altra possibile spiegazione. Quindi lo aveva pedinato, era un’azione ben pianificata, metodica. Non pensava si sarebbe potuto spingere a tanto. Decise che era il momento di tentare un approccio diretto, anche se non sapeva bene cosa aspettarsi. Fino a quel momento gli era sembrato una persona normale, certo le sue statuette erano piuttosto macabre, ma poteva essere una scelta artistica. Quell’ultima statuetta, però, era diversa. Un atto improvviso, eclatante sicuramente non segno di una persona equilibrata. Era forse la cosa più interessante successagli negli ultimi dieci anni.
Era una bella giornata, il sole risplendeva in cielo dopo la tempesta e una leggera brezza accarezzava la pelle di Davide che, a qualche decina di metri da casa sua, fissava il portone di una palazzina fumando pensieroso una sigaretta. Si era ripromesso di ponderare a lungo sugli eventi del giorno prima, ma la curiosità si insinuava tra i suoi pensieri ad ogni momento. Decise quindi di agire il prima possibile. Citofonare al portone condominiale era fuori discussione, cosa avrebbe potuto dire al citofono? “sono io”? No, sarebbe stato metodico anche lui, nel suo piccolo. Si sedette davanti al portone aspettando che qualcuno entrasse nella palazzina. In questo modo sarebbe riuscito ad intrufolarsi nel palazzo e a presentarsi direttamente alla porta de “l’uomo sul balcone”. Bastarono pochi minuti, il tempo di una sigaretta, e una signora carica di buste si presentò in fondo alle scale del vialetto. Davide finse un sorriso cordiale e la aiutò a portare la spesa nell’ascensore. Era dentro. Fece quattro piani di scale a passo svelto, poi si fermò. Una porta blindata, di legno color marrone chiaro troneggiava sul muro del pianerottolo. Nessun nome sul campanello, nessuno zerbino con scritto “welcome”, solo quella porta liscia, lucida, pulita. Il cuore di Davide cominciò a battere talmente veloce che era sicuro stesse emettendo un suono continuo. Era paralizzato. Aveva quasi trovato la forza di girarsi per tornarsene di corsa a casa in preda al panico, quando il suono dell’aprirsi dello spioncino ruppe quel silenzio angosciante. Un suono leggero, lento, stridulo. Poi l’abbassarsi della maniglia.
– Non mi aspettavo di vederti così presto, Davide – disse con sicurezza una voce dolce mentre la porta, aprendosi lentamente, mostrava prima una stanza scura, sovrastata da torri di libri, e poi la sagoma di un uomo.
Quando la porta si aprì completamente, la luce che entrava dalla finestra del pianerottolo mostrò un uomo magro, capelli neri, leggermente stempiato e con la fronte alta. Aveva i lineamenti del viso quasi spigolosi, ma simmetrici. Indossava un completo blu con giacca e cravatta... era lui, non c’erano dubbi. Davide era ancora paralizzato e fissava negli occhi l’uomo. Ne era attratto. Il suo sguardo magnetico gli impediva di scappare a quella situazione surreale.
– Entra, abbiamo molto di cui parlare, gradisci un bicchiere d’acqua? – disse allontanandosi di fretta verso l’interno della casa.
Davide cominciò ad avanzare lentamente verso l’ingresso con passi tremanti. La casa non aveva mobili ma, in compenso, era talmente stracolma di torri di libri e di ciocchi di legno che sembrava la miniatura di una metropoli. L’oscurità dominava in ogni stanza. Piccoli fasci di luce, provenienti dai fori delle serrande, attraversavano la casa.
– S-si g-grazie – era talmente tanto tempo che non proferiva parola che fece fatica a far uscire il suono dalla bocca, la sua voce era roca e tremolante, quasi irriconoscibile a Davide stesso.
– Scusami per il disordine…nessuno è mai voluto entrare qui dentro – disse la voce suadente.
– Quindi q-qui dentro non ci è mai e-entrato nessuno? –
– Non ho detto questo – rispose sorridendo.
Davide si sedette sull’unica sedia presente nella cucina, l’uomo si sedette di fronte a lui su una cassettiera. I suoi occhi sembravano celare più di quanto volesse mostrare. Davide fece un sospiro e tentò disperatamente di riprendersi, si schiarì la voce.
– Perché la statuetta? – disse cercando di mantenere ferma la voce, che invece avrebbe voluto tremare come una foglia.
– Perché non avrei potuto fare altrimenti – dal suo viso il sorriso non si spegneva mai, o comunque mai del tutto.
– Dimmi, tu lo sai in che mondo viviamo, Davide? – proseguì guardando Davide dall’alto in basso. Riusciva ad essere imponente nonostante la corporatura esile.
Davide alzò lo sguardo con le sopracciglia aggrottate,
– Noioso? – borbottò.
Fece un risolino – Quello sicuramente, Davide, ma più precisamente viviamo in un mondo di cause ed effetti, un mondo nel quale questi due principi sfuggono al nostro potere. Persino le nostre scelte più razionalmente ponderate sono causate da eventi esterni ed interni che non possiamo assolutamente controllare e inoltre… – si fermò di colpo notando l’espressione confusa sul viso di Davide.
– Quello che voglio dire è che viviamo in quel flusso di cause ed effetti che è l’universo e chi pensa di poter avere una qualche tipo di influenza attiva e consapevole su questo flusso è un povero illuso – disse cercando approvazione nello sguardo di Davide che, anche se a fatica, stava riuscendo a seguire il filo del suo discorso. Si era tranquillizzato, non stava ben capendo se quello era un tentativo di conversazione o qualcos’altro ma il suo battito cardiaco stava rallentando.
– …Quindi non credi nella libera scelta? Voglio dire…nel libero arbitrio? – disse timidamente sperando di aver capito il senso del discorso.
L’uomo sbuffò – Ah, il libero arbitrio…un altro dio a cui abbiamo creduto per troppo tempo –
Davide fece un sorriso nervoso.
– Vedi – proseguì l’uomo – il flusso mi ha portato da te per dirti ciò che non ho mai detto a nessuno, per dirti che vita ha voluto per me l’universo – si chinò su Davide e avvicinò la bocca al suo orecchio – Io uccido, Davide, e uccido perché non posso fare altrimenti, perché questo è ciò che le cause hanno voluto per me e se tu ora avessi intenzione di attaccarmi o gridare aiuto, sappi che dopo diciotto anni di violente e brutali uccisioni nessuno sa della mia esistenza – disse accarezzandogli la guancia con un lungo coltello che scintillò attraversando uno dei fasci di luce provenienti dall’esterno.
Gli occhi di Davide si spalancarono, i muscoli gli si irrigidirono e la fronte gli si imperlò quasi subito di sudore, emise un gemito sofferente. Cercò di rimanere perfettamente immobile.
– Dai non puoi esserne poi così tanto sorpreso, l’incisione era piuttosto chiara – si appoggiò al muro alla destra di Davide, toccandogli la spalla con il coltello.
– …I loro ultimi attimi mi rimangono sempre impressi…è per questo che decido di immortalarli, sono anche diventato bravo mi sembra, non credi? – Davide, tremando, annuì con le gocce di sudore che ormai gli correvano sulle guance.
L’uomo fece un sospiro profondo – So cosa stai pensando e ti sbagli, non ho intenzione di ucciderti…però dovrai fare quello che ti dico – lanciò un’occhiata inquisitoria a Davide.
Davide annuì di nuovo. Si sentiva uno stupido. Prima regola del manuale per rimanere vivi: non dare retta agli sconosciuti… soprattutto se vi recapitano statuette inquietanti. Ma per lui quell’uomo non era uno sconosciuto, erano più di quattro anni che condividevano il momento più intimo della giornata. Lì, su quei due balconi, così lontani eppure così vicini. Davide era spaventato, ma stava lentamente riprendendo a ragionare. Gli credeva, forse per disperazione. Pensava davvero che se avesse seguito gli ordini dell’uomo, quel giorno non sarebbe morto.
– No, amico mio, oggi io non ucciderò proprio nessuno. Sarai tu ad uccidere… e non lo farai per me, lo farai perché è a questo che porta il tuo cammino – disse facendogli scorrere la punta del coltello lungo la spalla.
Davide cominciò ad ansimare, il cuore gli batteva talmente forte da bloccargli il respiro. I pensieri tornarono ad annebbiarsi e ad incespicare l’uno sull’altro rendendosi incomprensibili. Si trattenne dal gridare mordendosi il labbro superiore ed emettendo un gemito disperato.
– E se così non fosse, allora semplicemente non succederà. Non muori dalla voglia di sapere quale effetto potrebbe scaturire da queste cause? – continuò l’uomo cominciando a girare lentamente intorno alla sedia dove era seduto Davide.
– Comunque non ti preoccupare mi sono già occupato io della tua vittima…nessuno la verrà mai a cercare. Ti sta aspettando, seguimi. – gli fece cenno con il coltello di alzarsi e Davide obbedì.
L’uomo lo portò davanti a un’altra porta blindata, in fondo all’oscuro corridoio che attraversava l’appartamento. La porta era di colore bianco, era logorata e sul lato sfilavano una decina di lucchetti arrugginiti di diverse dimensioni. Al centro vi era una finestrella in vetro rinforzato che sembrava più solida della porta stessa. L’uomo gli porse un mazzo di chiavi.
– Sono numerate, i lucchetti vanno dall’alto verso il basso. Aprili. –
Davide, con le mani tremanti, cominciò a fare ciò che gli era stato ordinato. Dopo che con grande sforzo era riuscito ad aprire i primi quattro lucchetti, si abbassò per passare al quinto e non poté fare a meno di lanciare un’occhiata attraverso la finestrella. Intravide i due piedi sporchi di una persona sdraiata in posizione supina. Rabbrividì e strinse le labbra una contro l’altra, trattenendo le lacrime che cominciavano a inumidirgli gli occhi. Il lavoro meccanico dell’apertura dei lucchetti gli restituì un po’ di lucidità. Loro erano in due, l’uomo era da solo. Se fosse riuscito a liberare quella persona in qualche modo, forse avevano qualche possibilità di sopravvivere. In quel momento l’ultimo lucchetto cadde a terra. L’uomo con un leggero calcio spalancò la porta. La stanza era illuminata da una luce al neon che ronzava nel silenzio. Le pareti, il pavimento e persino il soffitto erano coperti da un telo di plastica. Al centro vi era un robusto tavolo di plastica con sopra una donna. Aveva i capelli biondi ma sudici di sudore e la pelle candida e lucida. Le erano state legate braccia e gambe con delle cinghie.
– Benvenuto nella mia sala hobby, insonorizzata e dotata di tutti i comfort. Ti presento la nostra nuova compagna di giochi – puntò per un secondo il coltello verso la donna poi lo riposò subito sulla spalla di Davide – Allora, ti spiego come andranno le cose. La signora al momento è sedata, presto si dovrebbe svegliare ma le farò comunque un’iniezione per velocizzare le cose. Poi ti darò la chiave di quel cassetto – indicò con lo sguardo un cassetto sotto il tavolo – lì troverai qualsiasi aggeggio tu voglia utilizzare per uccidere la nostra amica. Come avrai già notato questa stanza è una gigantesca busta di plastica quindi, finito il lavoro, impacchettiamo il tutto e lo facciamo scomparire. Mentre preparo l’iniezione ti terrò d’occhio con questa – si tirò fuori dai pantaloni una pistola – Così non ti viene in mente di fare scherzi, intesi? – Davide annuì.
Aveva intenzione di fare scherzi. Le cinghie che legavano la donna erano bloccate da due fibbie di metallo situate entrambe dal lato di Davide. Doveva essere delicato e sfruttare al meglio quei brevi momenti in cui l’uomo avrebbe dovuto distogliere lo sguardo. L’uomo incominciò a indietreggiare puntandogli la pistola, prese una siringa ancora sigillata nella custodia. Per aprirla abbassò lo sguardo e Davide, con la mano che teneva dietro la schiena, fece lentamente pressione sulla fibbia che bloccava le braccia della donna. La fibbia fece un leggero scricchiolio. Leggero…ma non abbastanza per il silenzio che regnava in quella stanza della morte.
L’uomo alzò lo sguardo di colpo – Che diavolo stai facendo? – si avvicinò con due lunghi passi, posò sul tavolo la siringa che aveva estratto dalla confezione e appoggiò la canna della pistola tra gli occhi di Davide.
Sbuffò deluso – Ahh andiamo! L’universo ha davvero intenzione di deludermi con un finale così banale? Devo davvero uccidere due persone oggi? E io che volevo rilassarmi e godermi lo spettacolo – premette ancora più forte la pistola sul viso di Davide.
In quel momento un urlo si levò dal tavolo e una mano, munita di siringa, sbucò da dietro la testa dell’uomo cominciando a trafiggerlo prima sulla fronte, poi sugli occhi. Piccoli schizzi di sangue imbrattarono il viso di Davide, che incredulo cercava disperatamente qualcosa da usare come arma. Tra le urla disperate dell’uomo, la donna, ormai più che sveglia, gli salì sulle spalle e con gli occhi sgranati gli piantò la siringa in gola trascinandola poi per diversi centimetri. Un improvviso spruzzo di sangue caldo si rovesciò sul petto di Davide. L’uomo cadde a terra agonizzante e la donna, in preda alla foga, si lanciò su Davide trafiggendogli mani e braccia con la siringa. Le braccia gli si ricoprirono di sangue, cadde a terra accanto all’uomo che continuava a emettere versi soffocati. In preda al panico più totale, Davide sentì sotto la sua mano insanguinata la pistola che poco prima gli era stata puntata alla testa. Non ci pensò neanche un secondo. La prese. La puntò. Premette il grilletto. L’espressione di rabbia e foga sul viso della donna si spense in un secondo, mentre un piccolo fiume di sangue cominciava ad attraversargli il viso. Aveva un foro nero sul lato destro della fronte. Si accasciò per terra con un tonfo. Davide ansimava e tremava. Non sarebbe dovuta andare così. Ora era diventato un assassino. Era diventato un assassino perché non aveva potuto fare altrimenti. In quel momento vi fu un colpo di tosse sofferente. Davide voltò lo sguardo e si accorse che “l’uomo sul balcone” si muoveva ancora, stava premendo con forza sulla ferita alla gola.
– P…a…re c-che abbia s…bat…t…tuto le al...i la f-farfal-la giusta – disse soffocando nel suo stesso sangue, poi abbozzò un sorriso.
Davide si alzò, sputò un grumo di sangue, guardò fisso negli occhi l’uomo…e gli piantò due pallottole nel cranio.