10.15 AM
Inviato: 24/08/2019, 16:59
Sono distesa, le braccia e le gambe sono oppresse da un peso che non posso vedere, ma che fa affondare i miei arti nel materasso, non riesco a muoverli.
Anche il bacino è ancorato da una forza incorporea.
Sento di conoscere il luogo dove mi trovo, il letto mi sembra quello di un ospedale, anzi ne sono sicura.
E poi c'è quell'odore di disinfettante, inconfondibile, misto alla puzza di merda e piscio, che ti rimane attaccata ai vestiti.
Non vedo bene, mi sembra di guardare attraverso un lente di plastica, ho la nausea.
C'è la faccia di un uomo sopra la mia, credo mi stia esaminando con cura, non riconosco i suoi lineamenti, posso guardare solo davanti, se mi giro di lato vedo oscurità e la luce svanisce.
Ho il presentimento di trovarmi nel corpo di qualcun altro, la mente è confusa.
Come non vedo bene, anche l'udito è pessimo, i rumori sembrano arrivare da lontano, sono ovattati.
Poi quell'uomo mi tocca il viso con le dita, mi dà dei colpetti sulle guance, ma non sento il contatto, vedo solo la sua mano muoversi sul mio volto, con il dito indice mi tira giù la palpebra.
Vorrei dirgli di smetterla, ma niente.
Non ne sono in grado.
Perché mi trovo qui? Gli chiedo.
Nessuna risposta, mi ignora, non mi sente e continua quello che stava facendo.
La mia volontà cosciente non riesce a far muovere i muscoli del corpo, e la voce non esce.
«È morta!» Dice l'uomo a qualcuno che si trova al suo fianco, che io non posso vedere.
Un momento, penso io, non sono morta, sono viva, il cervello ragiona, è solo che non riesco a muovere un fottuto muscolo del mio corpo.
Mi concentro, ci riprovo, devo riuscire a parlare.
Devo dirgli che sono viva.
«Èsicuro dottore?» Dice un'altra voce, è probabile che appartenga alla figura in piedi vicino al mio aguzzino. Ascolto con attenzione.
«Si sono sicuro! Segna, ora del decesso 10 e 15»
No!
Dottore?
Forse non ci siamo capiti.
Io sono viva!
Non credo, che per me sia arrivato il momento di morire. E poi, non sono pronta.
E poi, mi scusi, se glielo faccio notare, ma non credo nemmeno di essere io, la morta.
Non mi faccia incazzare dottore!
Continua a ignorarmi.
Glielo ripeto dottore, guardi che ci deve essere stato un errore.
Poi finalmente la vista diventa normale, l'udito anche, esco dalla bolla di plastica.
La testa non si muove ancora, ma la bocca riesco ad aprirla: «Mi può concedere qualche ora di vita in più dottore?»
Glielo dico con tono educato, umilmente, come se gli chiedessi di farmi un grosso favore.
Lui risponde con prontezza senza neanche pensare alla possibilità di cambiare idea: «Mi dispiace signora, non posso, è arrivata la sua ora.»
Strizzo il lenzuolo tra le dita.
Lo supplico: «La prego dottore!»
«Mi dispiace signora, ma come le ho già spiegato, lei è morta.»
Lo dice in tono pacato.
Vorrei piangere, ma non ci riesco, cazzo.
Non voglio più parlare, capisco che tanto ha già preso la sua decisione.
Sento, che non posso fare nulla, allora la rabbia mi sale da dentro e invece di lasciarmi andare in un pianto isterico e liberatorio, inizio a sudare, in pochi secondi sono fradicia.
Lo stomaco si torce, il dolore è acuto, devo vomitare.
Il cuore pompa più veloce, sento battermi le tempie.
Non riesco a respirare, l'ossigeno non è sufficiente. Allora è vero, sto morendo!
Le ultime forze mi stanno abbandonando e sto perdendo la lucidità mentale.
Il terrore mi paralizza, ma non riesco a rassegnarmi alla paura.
Tutto sparisce, e c'è solo buio e silenzio, e il mio petto ha smesso di contrarsi.
Poi chiudo, e riapro gli occhi di colpo.
La bocca affamata inghiotte l'aria, che arriva prepotente nei polmoni, tossisco spasmodica.
Mi ritrovo distesa nel letto di casa mia al buio, mi passo la mano nell'incavo del collo, sono intrisa di sudore, cazzo era un incubo.
Maledetto boia senza volto.
Mi siedo sulla sponda del letto, ho bisogno di bere un bicchiere d'acqua, la bocca è asciutta, è piacevole il freddo del pavimento sotto i pedi nudi.
L'orologio attaccato alla parete sopra il frigorifero segna le sei meno un quarto, decido di fare una doccia calda, per lavarmi di dosso la smania, non ho più il coraggio di rimettermi a letto e chiudere gli occhi.
La mattinata all'università tutto procede come al solito, le stesse noiose ore di lezione da seguire, ma non riesco a togliermi dalla testa quel maledetto sogno.
Poi alle undici mi chiama al telefono mamma, rispondo. «Questa mattina è morta tua zia!» Mi dice.
Rimango senza parole.
Non so cosa dire per darle conforto, ho solo una domanda: «A che ora e morta?»
«Hanno detto alle 10 e 15.»
Non le rispondo, chiudo la chiamata in totale silenzio.
Anche il bacino è ancorato da una forza incorporea.
Sento di conoscere il luogo dove mi trovo, il letto mi sembra quello di un ospedale, anzi ne sono sicura.
E poi c'è quell'odore di disinfettante, inconfondibile, misto alla puzza di merda e piscio, che ti rimane attaccata ai vestiti.
Non vedo bene, mi sembra di guardare attraverso un lente di plastica, ho la nausea.
C'è la faccia di un uomo sopra la mia, credo mi stia esaminando con cura, non riconosco i suoi lineamenti, posso guardare solo davanti, se mi giro di lato vedo oscurità e la luce svanisce.
Ho il presentimento di trovarmi nel corpo di qualcun altro, la mente è confusa.
Come non vedo bene, anche l'udito è pessimo, i rumori sembrano arrivare da lontano, sono ovattati.
Poi quell'uomo mi tocca il viso con le dita, mi dà dei colpetti sulle guance, ma non sento il contatto, vedo solo la sua mano muoversi sul mio volto, con il dito indice mi tira giù la palpebra.
Vorrei dirgli di smetterla, ma niente.
Non ne sono in grado.
Perché mi trovo qui? Gli chiedo.
Nessuna risposta, mi ignora, non mi sente e continua quello che stava facendo.
La mia volontà cosciente non riesce a far muovere i muscoli del corpo, e la voce non esce.
«È morta!» Dice l'uomo a qualcuno che si trova al suo fianco, che io non posso vedere.
Un momento, penso io, non sono morta, sono viva, il cervello ragiona, è solo che non riesco a muovere un fottuto muscolo del mio corpo.
Mi concentro, ci riprovo, devo riuscire a parlare.
Devo dirgli che sono viva.
«Èsicuro dottore?» Dice un'altra voce, è probabile che appartenga alla figura in piedi vicino al mio aguzzino. Ascolto con attenzione.
«Si sono sicuro! Segna, ora del decesso 10 e 15»
No!
Dottore?
Forse non ci siamo capiti.
Io sono viva!
Non credo, che per me sia arrivato il momento di morire. E poi, non sono pronta.
E poi, mi scusi, se glielo faccio notare, ma non credo nemmeno di essere io, la morta.
Non mi faccia incazzare dottore!
Continua a ignorarmi.
Glielo ripeto dottore, guardi che ci deve essere stato un errore.
Poi finalmente la vista diventa normale, l'udito anche, esco dalla bolla di plastica.
La testa non si muove ancora, ma la bocca riesco ad aprirla: «Mi può concedere qualche ora di vita in più dottore?»
Glielo dico con tono educato, umilmente, come se gli chiedessi di farmi un grosso favore.
Lui risponde con prontezza senza neanche pensare alla possibilità di cambiare idea: «Mi dispiace signora, non posso, è arrivata la sua ora.»
Strizzo il lenzuolo tra le dita.
Lo supplico: «La prego dottore!»
«Mi dispiace signora, ma come le ho già spiegato, lei è morta.»
Lo dice in tono pacato.
Vorrei piangere, ma non ci riesco, cazzo.
Non voglio più parlare, capisco che tanto ha già preso la sua decisione.
Sento, che non posso fare nulla, allora la rabbia mi sale da dentro e invece di lasciarmi andare in un pianto isterico e liberatorio, inizio a sudare, in pochi secondi sono fradicia.
Lo stomaco si torce, il dolore è acuto, devo vomitare.
Il cuore pompa più veloce, sento battermi le tempie.
Non riesco a respirare, l'ossigeno non è sufficiente. Allora è vero, sto morendo!
Le ultime forze mi stanno abbandonando e sto perdendo la lucidità mentale.
Il terrore mi paralizza, ma non riesco a rassegnarmi alla paura.
Tutto sparisce, e c'è solo buio e silenzio, e il mio petto ha smesso di contrarsi.
Poi chiudo, e riapro gli occhi di colpo.
La bocca affamata inghiotte l'aria, che arriva prepotente nei polmoni, tossisco spasmodica.
Mi ritrovo distesa nel letto di casa mia al buio, mi passo la mano nell'incavo del collo, sono intrisa di sudore, cazzo era un incubo.
Maledetto boia senza volto.
Mi siedo sulla sponda del letto, ho bisogno di bere un bicchiere d'acqua, la bocca è asciutta, è piacevole il freddo del pavimento sotto i pedi nudi.
L'orologio attaccato alla parete sopra il frigorifero segna le sei meno un quarto, decido di fare una doccia calda, per lavarmi di dosso la smania, non ho più il coraggio di rimettermi a letto e chiudere gli occhi.
La mattinata all'università tutto procede come al solito, le stesse noiose ore di lezione da seguire, ma non riesco a togliermi dalla testa quel maledetto sogno.
Poi alle undici mi chiama al telefono mamma, rispondo. «Questa mattina è morta tua zia!» Mi dice.
Rimango senza parole.
Non so cosa dire per darle conforto, ho solo una domanda: «A che ora e morta?»
«Hanno detto alle 10 e 15.»
Non le rispondo, chiudo la chiamata in totale silenzio.