La montagna di Odeena
Inviato: 12/11/2019, 22:51
Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.
Zayn guida con fare sicuro per le strade della città con il pensiero ancora un po’ lento e denso dei sogni della notte passata. Si deve incontrare con Falco nei posteggi del “Progress”, bar conosciuto per gli “apero” tanto cari ai ragazzi della sua età, e, mentre passa per le vie già trafficate di automobili, le idee emergono e si mescolano alle ombre oniriche che l’hanno tenuto sveglio. Probabilmente ha dormito poco anche per l’ansia di dover parlare con il Monga che, quando è stato contattato da Falco per chiedere un’intervista, non è sembrato particolarmente interessato o disponibile; eppure sarebbe un sogno pubblicare sul blog la storia e magari anche la fotografia del quadro del Rossi.
Questi pensieri vengono disturbati dall’immagine di un grosso SUV che si dilata nello specchietto retrovisore dell’automobilina di Zayn, una biglia che rotola lungo il viale alberato fiancheggiante il lido comunale. Il ragazzo vede arrivare sulla sinistra dei pedoni che vogliono attraversare la strada, dunque rallenta e si ferma; dietro di lui la grossa automobile nera si sposta sulla sinistra con fare nervoso e pressante, messaggio evidente che chi la guida vorrebbe tanto ridurre ad una foglia sottile il piccolo mezzo che lo precede, incurante di qualsiasi regola stradale. Zayn comincia a tamburellare sul volante e, una volta passata la coppia al passaggio pedonale, procede un po’ spedito, conscio del nervosismo arrogante del nero conducente, caricandosi anch’egli di un po’ di sana aggressività, che cresce a dismisura quando l’altro, con il suo incedere minaccioso, gli fa perdere l’entrata del posteggio dove deve incontrare Falco. Sterza quindi a sinistra per fare il giro del rione, sempre tallonato dal piratesco guidatore, ed in lontananza intravede all’incrocio antistante le scuole comunali un poliziotto che fa passare pacificamente bambini e mamme urlanti. Zayn fa un voto di castità in cambio di un arresto in diretta del pericolo su quattro ruote, che purtroppo, accortosi anch’esso del blocco stradale, svolta in una stradina laterale e si dilegua.
Carico ormai di energia elettrostatica e scaricatosi dai pensieri notturni, Zayn torna al posteggio dove Falco è ad attenderlo con sguardo smarrito.
«Che è successo, ti ho visto svoltare …» chiede Falco dopo aver depositato il suo zaino sul sedile posteriore del mezzo di Zayn, che risponde: «Un maledetto voleva stirarmi, non la smetteva di pressarmi il culo».
«Ah, sì ho notato…» Falco non sembra particolarmente impressionato dalla scena alla quale ha assistito e chiede al collega se è riuscito a mettere giù una bozza di intervista da sottoporre al signor Monga.
«Qualcosa sono riuscito a fare, ma non ero particolarmente ispirato; la conseguenza è stata una notte turbolenta e animata da sogni» risponde Zayn.
Falco sospira e ribatte «È solo un’intervista ad un contadino, non vedo perché devi agitarti tanto».
Mentre porta la sua macchinina lungo la tortuosa strada che segue le rive del lago Zayn cerca di far capire all’amico l’importanza di avere una testimonianza di un parente dell’artista per dare un contesto all’opera d’arte che andranno a presentare sul loro sito di discussione. Falco si toglie gli occhiali, ci alita sopra e li lucida con fare noncurante: «Abbiamo già parecchio materiale sul quale lavorare, considera questa come una ciliegina sulla torta e non come un fattore fondamentale di buona riuscita».
Zayn da qualche minuto è silenzioso, ascolta il tic tic incessante della pioggia sui vetri dell’automobile, gli scrosci sordi dei rigagnoli che si formano sulla strada, guarda l’andirivieni del tergicristalli ipnotico e musicale. L’eco del motore dell’automobile appare e scompare con l’alternarsi di finestre e muri nelle gallerie che incombono sulle acque nere del lago. La musica alla radio – my head is a jungle, jungle – è fastidiosa, monotona, irrita Zayn che schiaccia con veemenza il tasto per far partire il CD. È un po’ di tempo che non sopporta più il martellante ripetersi delle stesse identiche canzoni, tutti e tutti i giorni. Gli ricorda quando da bambino faceva a gara con gli amici a fare le capriole in acqua senza prendere fiato. Il tempo si fermava e la testa, il mondo, giravano e giravano in mille bolle. Al riemergere dall’acqua tutto vacillava per qualche momento, una sensazione di smarrimento e sospensione. Stordimento per mancanza di ossigeno.
«A me non dispiaceva quella canzone» a mala pena comprensibile mugugna Falco.
«Io invece mi sono proprio rotto di dovermi sorbire la solita pappina tutti i giorni…» risponde Zayn senza diritto di replica. «Sarebbe bello mettere su una stazione radio indipendente come “Radio Brera”, con musica sempre diversa, approfondimenti seri sia su temi d’attualità che di natura artistica» aggiunge il guidatore.
«Abbiamo già abbastanza da fare con il nostro blog, non credi?» ribatte Falco con velata ironia.
Zayn direziona nuovamente tutta la sua attenzione alla strada, che si sta facendo tortuosa e ripida, le case sono sempre più distanziate tra loro e sempre più nascoste dalla boscaglia. Zayn è in parte ammirato dalla bellezza del luogo ed in parte intimorito dall’avvicinarsi dei fianchi delle montagne in una valle sempre più stretta. Dinanzi a loro una cascata di luce inonda foglie verdi rosse gialle brune, che si amalgamano in un mosaico indefinito ed infinito. Zayn strabuzza gli occhi, l’effetto della luce lo confonde un poco.
«Che posto selvaggio, potrebbero abitarci dei lupi» esterna così le sue impressioni il ragazzo al volante.
«Già, ma anche se ce ne fossero non avrebbero vita facile; da queste parti finirebbero con un proiettile nelle chiappe, altro che vivi e lascia vivere…».
La valle in quel momento si apre momentaneamente in un altopiano prima di riarrotolare le proprie spire come un serpente pronto all’attacco. Ed è allora che Zayn e Falco si trovano di fronte all’ingresso del villaggio: case dall’aspetto decadente, vialetti sterrati, automobili di grosse dimensioni e con le ruote coperte di fango.
La casa del Monga è piccola e scura. I muri, coperti d’edera e spaccati in più punti come denti di un vecchio, sembrano aprirsi verso l’interno in un ghigno poco invitante. Le ruote dell’automobile di Zayn slittano leggermente sulla ghiaia del vialetto d’accesso e si fermano davanti alla staccionata dei maiali. Letizia e Giunone guardano fuori dal loro lurido recinto e lanciano grida di giubilo all’avvicinarsi dei due ragazzi, il loro odore man mano più insistente e penetrante. Zayn e Falco camminano lungo il ballatoio che circonda la casa e bussano con il maniglione a forma di ferro di cavallo che pende dalla porta. Ad aprire giunge una signora con lo sguardo sfuggente che ansima: «Mio fratello arriva subito, venite venite venite» e li introduce in salotto dove si distinguono poco i contorni dei mobili, la luce non riesce a filtrare dai vetri dell’unica finestra che dà sul cortile. Il Monga appare dopo qualche minuto sulla porta, figura nera su fondo scuro, le spalle incurvate e il testone incassato. Con andatura sbilenca si avvicina ai due ragazzi, rimasti in piedi ad aspettarlo; li guarda con occhi opachi ed una domanda inespressa sulle labbra.
«Salve, sig. Monga, ci siamo sentiti al telefono giorni fa; siamo due blogger interessati all’opera del Rossi in suo possesso. Ricorda che abbiamo concordato di trovarci oggi in modo da discuterne di persona?».
Il vecchio non risponde e non dà cenno di aver capito. Si siede sulla poltrona facendo tendere sulla pancia la canotta macchiata di unto e d’altro ancora. Zayn e Falco si siedono a loro volta sul divano, sebbene non invitati a farlo. Si ritrovano così fin troppo vicini all’uomo e allo sgradevole olezzo di letto non rifatto da tempo che emana.
«Con l’intervista vorremmo avere maggiori informazioni riguardo al quadro e alla sua storia, per poterne dare un contesto ai lettori del nostro blog» cerca di spiegarsi meglio Zayn, che nutre seri dubbi sul grado di comprensione del loro ospite.
Il Monga ha l’aspetto di un bevitore di birra che si è addormentato sulla sua sedia preferita e che si risveglia improvvisamente, la testa un po’ cotta dal sole. Finalmente egli apre bocca e si rivolge ai due con un «Mmmh» sospirato attraverso i denti marci. Zayn fa fatica a non ritrarsi a causa dell’alito pesante dell’interlocutore.
«Ahaahhahahaaaa… Blog? Ahahahahahaaaah»
«Si, si tratta di una pagina web dove postiamo regolarmente articoli e interviste; i followers possono commentare e condividere…» Zayn si perde tra pensieri e termini che in ogni modo non sembrano parlare molto all’essere al quale sono indirizzati. Falco con fare pragmatico interloquisce «Se lei è d’accordo ci piacerebbe vedere il quadro».
Il Monga pronuncia finalmente una frase compiuta: «Teresa, il quadro». La voce non è forte, somiglia ad un brontolio, ma la sorella deve avere ancora un buon udito perché si sentono dei passetti rapidi lungo il corridoio e su per le scale.
Il clima in salotto intanto è leggermente imbarazzante. Zayn parla un po’ troppo e troppo velocemente, senza davvero sapere cosa dire. Falco aggiunge dettagli a suo avviso più comprensibili all’uomo che, forse, li sta ascoltando, mentre gli viene descritta la storia di come è stato creato il loro sito di scambio su internet che tratta di artisti del Ticino e del Nord Italia.
«Sappiamo che il Rossi era un suo lontano parente» afferma Falco.
«Era un lontano parente di mia madre… » i capelli schiacciati sulla fronte fanno risaltare ancor più lo sguardo del Monga, ora un po’ rapace; i pensieri gli passano dietro gli occhi come nuvole che ora coprono ora riflettono la luce del sole. Forse non è così assente come ha inizialmente dato a vedere. In ogni caso è di poche, rare parole e la sorella, Teresa, fa in tempo a tornare con in mano il quadro tremante prima che si riesca ad instaurare un vero e proprio dialogo.
Teresa fa per porgere al fratello la tela coperta da un panno polveroso, ma lo sguardo di lui le fa cambiare idea, quindi lo appoggia con una certa apprensione sull’altra poltrona ed esce di scena senza proferire parola.
«Volete sapere del quadro; l’ha ricevuto mia madre in regalo, non so quando, non so altro. Se volete guardatelo».
Zayn si sporge ed afferra il quadro, lo scopre e lo ammira rapito. Anche Falco si sporge e lo osserva da dietro le spalle dell’amico. Una donna, vestita di un bianco trasparente, sembra abbracciare, corrisposta, un albero di fichi dall’aspetto antico, saggio, messaggero di serenità. L’albero regala alla dama i suoi dolci frutti, che vengono raccolti in una cesta di vimini. La luce che illumina il luogo è timida, fa capolino tra le foglie, fuori campo, e va ad illuminare un parte del prato e parte della veste candida, che sembra amalgamarsi con l’erba fiorita del campo.
Zayn e Falco si dirigono all’automobile; hanno potuto fotografare l’opera, che ha risvegliato in loro sentimenti, seppur diversi, complementari. Zayn entusiasta per la scelta dei colori, così delicata, per il significato intrinseco dell’immagine, per il riferimento al legame con la natura. Falco per le belle proporzioni, la musicalità, i tratti eleganti. Dal Monga non hanno ottenuto altro; concordavano nel pensare che non sembrava avere idea del valore dell’oggetto in suo possesso. Probabilmente non si era mai posto prima alcuna domanda in proposito.
Appena prima di uscire però la sua voce li aveva fermati «Siete arrivati da una strada pericolosa. Per tornare farete meglio a proseguire lungo la via principale, la strada è più lunga ma riserva meno sorprese… Ahahahahahaaaa…».
Il ghigno col quale accompagna questa frase inquieta Zayn. Falco salendo sul mezzo sostiene che sarebbe meglio seguire il suo consiglio. L’altro, seppur poco convinto, acconsente, più che altro perché la pioggia ha ricominciato a cadere e la via intrapresa all’andata, così ripida e stretta, potrebbe effettivamente essere pericolosa.
La strada sale sale sale, punta al cielo e alla nebbia che avvolge le cime della montagna. Zayn non capisce perché invece non vada verso il basso, verso la valle e la strada principale. Non è seriamente preoccupato, piuttosto leggermente inquieto, ci sono dei particolari che non quadrano.
«Guarda, Falco, c’è scritto “Margini Indifesi” quasi che ci debba essere una qualche belva pronta ad attaccarli da un momento all’altro» dice al collega, che gli risponde con sguardo assonnato: «Certo che ne hai di fantasia… da vendere …».
Dopo diversi tornanti raggiungono ed attraversano un villaggio, con la luce del giorno che comincia ad affievolirsi. Il nome dell’agglomerato di case non li aiuta a capire se si trovano sulla strada giusta e Zayn vorrebbe tanto avere un navigatore in quel momento.
«Se il vecchio ci ha detto di venire da questa parte avrà avuto le sue ragioni… credo che conosca la valle come le sue tasche; che ragione avrebbe avuto per dirottarci?» argomenta Falco.
È proprio quello che si sta chiedendo Zayn, che comincia ad essere stufo di boschi umidi e scuri. Dopo un altro quarto d’ora di viaggio, con Falco addormentato e la testa piegata ed appoggiata al finestrino appannato, il guidatore vede su un grande muro la scritta “Odeena ti amo” e il nome gli risuona nelle orecchie esotico ma non sconosciuto. Il pensiero della strada lo riassorbe però quasi subito. È ora veramente molto dubbioso, pensa che il Monga abbia voluto prenderli in giro e si sta chiedendo se non sia il caso di girare alla prima occasione per tornare in dietro. Anche perché non c’è un’anima viva a cui chiedere informazioni. In quel mentre passano davanti ad una vecchia stalla semidiroccata; sul portone di legno risalta la scritta, rossa, “Ode a En” che, senza apparente motivo, gli provoca dei brividi lungo la schiena.
«Falco, accidenti, come fai a dormire in questa situazione? Siamo dispersi in una valle dimenticata da Dio, non sappiamo dove siamo né dove stiamo andando, si fa buio, siamo in ritardo, sembra che ci vivano solo dei pazzi qui e tu ronfi pacifico?» il tono stridulo di Zayn fa svegliare Falco, che trova particolarmente poco gradevole sia il risveglio dal suo piacevole torpore, sia il tono accusatorio dell’altro.
«Oh, ma qual è il problema, insomma? A parte che Dio non lo conosco, e non so se abita queste valli, a parte che i pazzi di cui parli per ora non ci hanno attaccato di sorpresa, è mio modesto parere che bisogna prima andar su prima di scendere. Forse per evitare qualche valle o fiume o che so io d’altro. E chiedi a qualcuno se proprio non riesci a contenere le tue ansie, no? Sono un po’ stufo delle tue uscite fantasiose, comincio a pensare che sia tu il paranoico e non i poveracci che abitano questa valle».
Zayn, rosso in viso, ribatte che, se non fosse per la sua fantasia, probabilmente il loro progetto non sarebbe neanche partito, data la resistenza iniziale di Falco.
«La mia non è mancanza di volontà, pensavo ti fosse chiaro, ho solo voluto avere delle certezze sulla buona riuscita del progetto prima di imbarcarmici…».
Zayn fa fatica a continuare la conversazione. Sbuffando mette su un altro CD e alza il volume. Falco si appoggia nuovamente al vetro freddo del finestrino. Passano lunghi momenti di pensieri inespressi, dubbi, recriminazioni mentali, sensi di colpa e tentativi, soprattutto da parte di Zayn, di trovare delle parole adeguate alla situazione. Per chiarirsi e togliere l’astio creatosi, senza però lasciar perdere la propria opinione, senza soccombere a frasi di circostanza. Ad un tratto un ronzio ed un gracchiare provenienti dall’apparecchio radio fanno rizzare i peli sulle braccia di entrambi “frrrr kshhhhh prriiiiii - ed è importante pensare al significato della parola Ode se si pensa - gr frrrr pshhhh - è come scalare una montagna – sfriiiiiiii - in fin dei conti non ci sono percorsi prestabiliti - sgniii frii pshhh”.
«Ma che diavolo succede? Vedi che siamo in un posto stregato? Com’è possibile ricevere un segnale radio se stiamo ascoltando un CD?» domanda con un grido Zayn, gli occhi sbarrati come un cervo abbagliato dai fari di un automobile.
«E rieccoci con le tue congetture mitologiche; sarà un qualche errore di trasmissione, un difetto elettronico…».
Zayn non fa a tempo a ribattere. Dietro la curva seguente ad attenderli c’è una nebbia densa che ingoia in un baleno il piccolo mezzo e i suoi passeggeri. L’ultimo pensiero di Zayn è l’immagine della ragazza del quadro, appesa per le vesti ai rami famelici dell’albero. Sullo sfondo un enorme massiccio nero, incombente. La montagna di Odeena gli si riversa addosso, poi solo un ghigno straziante e nulla più.