Ataraxia
Inviato: 03/12/2019, 6:57
Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.
«Si accomodi, signore»
Sono nervoso.
È la prima volta che mi trovo al cospetto di un commissario censore dell’ufficio Inquisizione e Controllo Testi, l’ultimo ostacolo da superare per poter pubblicare un libro nel 2229. L’imprimatur del timbro di approvazione che torreggia sulla sua scrivania è una di quelle cose per le quali un letterato baratterebbe persino la propria madre, o l’anima, o l’anima della madre.
Le mie mani si ancorano ai braccioli della poltroncina su cui mi sono appena seduto. Non sono mai stato bravo a bluffare e a fingere calma in momenti di grande ansia, ma mi sforzo di fare in modo che le dita che stringono con forza il rivestimento in ecopelle siano il solo segnale della mia agitazione interiore.
L’uomo di fronte a me è calvo e pallido, freddo e imperturbabile. Sembra uno di quei manichini robotronici dei grandi magazzini, anatomicamente indistinguibili da un essere umano e capaci anche di limitati movimenti. Per un attimo il dubbio che lo sia davvero mi sfiora la mente.
Dev’essere sicuramente arrivato a un alto livello di Atarassia, forse il settimo o l’ottavo, magari addirittura il nono, per essere così apatico. So che l’attuale obiettivo del governo è fare in modo che ogni singolo cittadino arrivi almeno al settimo livello di Atarassia, quindi credo che presto o tardi tutta la Terra sarà popolata soltanto da manichini di carne. E non è una prospettiva allettante per uno come me, che a malapena è al livello tre.
«Come ben sa, signor Parmesan» attacca «dal 2152 è autorizzata la pubblicazione soltanto di quelle opere che rispettano i Cinque Punti. I passati governi si sono impegnati così tanto per bandire il più possibile le dannose emozioni dell’animo umano e sarebbe un vero peccato se una novella o una canzonetta dovessero riaccenderle… concorda con me?»
«Sì, indubbiamente» rispondo.
Del resto, cos'altro dovrei dirgli? Che odio visceralmente quelle maledette cinque regolette che hanno trasformato l'arte, o meglio ciò che ne resta, in qualcosa di freddo e insignificante? Che erano bei tempi quelli in cui si poteva liberamente scrivere un sonetto, un romanzo di fantascienza, un poema epico, una fiaba senza essere arrestati, incarcerati e lobo-rieducati forzatamente? No, grazie, ci tengo alla mia vita, prima ancora che all’imprimatur per la pubblicazione dei miei racconti. Noi persone intelligenti abbiamo imparato che è meglio chinare il capo e ingoiare il boccone amaro per sopravvivere in questo regime di logici e burocrati instaurato quasi ottant'anni fa dagli Stati Uniti della Terra.
Il commissario censore mi squadra per qualche secondo. Forse intuisce che sto avendo pensieri perniciosi o forse è solo sospettoso verso chiunque.
Io mi sforzo di rimanere impassibile e di non lasciar trapelare nulla. Ci riesco, credo, perché lo sguardo del calvo si rilassa.
«Procediamo con l'analisi del suo manoscritto e la sua conformità ai Cinque Punti. Primo punto: è vietato pubblicare opere che condannino esplicitamente o implicitamente il governo e le istituzione o che minino in maniera esplicita o implicita il consenso nei confronti dell'operato degli stessi. Il suo manoscritto rispetta questo punto»
Almeno il primo ostacolo è superato!
«Secondo punto: è vietato pubblicare opere che siano in versi o rimate, perché la poesia è potenzialmente pericolosa e sovversiva, soprattutto nel caso degli animi più deboli e delle menti più facilmente suggestionabili. Il suo manoscritto rispetta questo punto»
Per forza, è una raccolta di racconti!
«Terzo punto: è vietato pubblicare opere di argomento fantastico, intendendo con tale denominazione tutte quelle opere che tratteggiano mondi o epoche differenti da quella attuale o da epoche passate debitamente documentate e ricostruibili. Il suo manoscritto rispetta questo punto»
Siamo a metà, evviva!
«Quarto punto: è vietato pubblicare opere che mettano in scena situazioni incompatibili con la morale pubblica»
Questa volta, il commissario censore non dice se il mio manoscritto rispetta quel punto, ma nemmeno se lo viola. Devo pensare a un lapsus involontario o dietro quest'omissione c'è qualcosa di più? Ma non ho tempo per scervellarmi al riguardo, arriva l'ultimo ostacolo.
«Quinto punto: è vietato pubblicare opere in cui siano descritti sentimenti violenti, illogici o comunque capaci di turbare l'animo umano. Purtroppo, il suo manoscritto non rispetta affatto questo punto...»
Faccio per aprir bocca, per difendermi, ma il pelato mi anticipa.
«Le prime tre storie sono a posto, signore. Il problema è la quarta. Lei ha scritto un breve racconto in cui un uomo veglia amorevolmente la moglie malata terminale, consolandola e parlandole finché non esala l'ultimo respiro... una prosa del genere rischia di risvegliare pericolose passioni nell'animo dei lettori, non trova? Commozione, pietà, tristezza... pianto...»
Pronuncia quell'ultima parola come se fosse la peggiore delle bestemmie o degli insulti, ma la cosa positiva è che per la prima volta lo vedo assumere un'espressione facciale diversa dalla solita maschera d'imperturbabilità, benché siano una smorfia di disgusto.
«E quel che è peggio» conclude «è che questa storia va contro ogni morale e ogni buonsenso, signore. E' profondamente deplorevole che un cittadino perda tempo dietro un individuo ormai condannato naturalmente a morte, sprecando così la propria produttività. Anzi, accetti un consiglio: metta da parte questi sogni puerili da scrittore e trovi un modo per essere più utile alla società. Di scrittori ce ne sono stati a bizzeffe nei secoli passati e guardi quanti danni hanno causato con le loro strampalate idee!»
Taccio, incapace di trovare un’argomentazione da opporre alle sue. O meglio, di argomentazioni ne avrei a bizzeffe, è solo che mi farebbero apparire come un sovversivo.
Mi limito a domandare una conferma: «Allora non ho l’approvazione dell’ufficio Inquisizione e Controllo Testi, dico bene?»
«Sì, dice bene. Mi dispiace» Quanto suonano fredde, false, insignificanti quelle due paroline pronunciate da un robot umano!
Faccio per alzarmi, ma l’uomo mi pone ancora una domanda: «Il suo livello di Atarassia, signor Parmesan?»
«Tre» rispondo, lì lì senza pensarci.
Per la prima volta, vedo sul volto del commissario censore qualcosa di vagamente simile a un sentimento umano: disprezzo, forse, o disgusto, o semplicemente compassione. Agli occhi di uno che ha quasi raggiunto il Moksa non posso che apparire un essere miserrimo, ancora schiavo delle ataviche debolezze dell’Homo sapiens.
«Può andare, signor Parmesan» è l’ultima cosa che mi dice.
Mi alzo. Improvvisamente mi sento la bocca impastata. Biascico un saluto e mi dirigo verso la porta, ma faccio in tempo a notare con la coda dell’occhio la mano del commissario che preme un pulsante sotto la scrivania. Capisco al volo ciò che sta per accadere.
Duecentocinquantaquattro piani dopo, nel parcheggio sotterraneo, mi attendono due uomini in nero del Centro di Lobo-Rieducazione.