Demonite

Spazio dedicato alla Gara stagionale d'inverno 2019/2020.

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Roberto Ballardini
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Demonite

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Demonite, 2019.
Robert Dowd esce dal pub e percorre Jude’s Road fino al punto in cui ha parcheggiato l’auto. Ha in animo di andare a trovare Hester, prima di rientrare a casa, come ha fatto sempre più spesso negli ultimi tempi.
A quell'ora Demonite è spettrale.
Lecito presumere che Robert incontrerà qualche difficoltà a trovare parcheggio: la dimora di Hester si trova nelle vicinanze dello stadio e quella sera si disputa una partita importante. Quindi lascia l’auto prima del ponte, ai piedi di un condominio. Con tutti i posti liberi che ci sono ha l’imbarazzo della scelta, cosa che lo porta a struggersi nell’indecisione. Se fosse presente, Hester lo criticherebbe. Come tutte le donne che Robert ha conosciuto, farebbe della questione un enorme problema di natura psicosomatica, rinfacciandogli per l’ennesima volta il suo atteggiamento di basso profilo.
Non a torto, pensa Robert, consapevole di aver bandito la speranza dalla propria vita: dopo aver guardato per anni al futuro, ora si è arroccato nel presente e opta sempre per la soluzione più sicura, anche se scomoda. Quasi un miglio di cammino, in questo caso.
L’aria è satura di umidità e le lampade dei lampioni generano aloni tremolanti che si sgranano ai bordi. Robert attraversa il ponte, anch’esso deserto, calpestando l’ombra della struttura metallica sotto i piedi. Il fiume è immobile in una compatta lastra opaca. Attutito dalla distanza, il boato dei tifosi si propaga nell’aria, assorbito dalla nebbia. Sull’orizzonte si profila l’oasi luminosa dello stadio dietro i monoliti degli alti palazzi di Crucifix’s Street che, come le dita di una mano, tentano di racchiuderla. Le batterie di fari elettrificano la nebbia, pervadendola di un chiarore diffuso.
Emergono le guglie della cattedrale di St. Peter simili alle propaggini di un fiordo avvistato da una nave. Ben presto la mole della colossale facciata sovrasta Robert e lo avvolge nella propria ombra. Lui alza gli occhi e cerca l’angelo incastonato nell’angolo più alto della cuspide, accovacciato nel suo nido di marmo. Eccolo, il volto di fanciullo pervaso di un’equivoca fissità. Nell’uomo riaffiora il timore infantile che possa gettarsi in picchiata su di lui, e il sospetto che quell’aura sinistra riflessa negli occhi di pietra, sia testimonianza della sua natura demoniaca e non la millantata ribalderia del bulletto di quartiere.
Robert e i suoi amici lo chiamavano Pete, da ragazzini. Il diminutivo era d’obbligo perché a quell’età erano abituati a prendersi confidenza con tutti - insegnanti, sacerdoti, poliziotti, spacciatori, mafiosi. Non che pensassero di essere chissà chi. Erano poveri, ma sapevano anche di non aver fatto nulla per meritarselo. I preti, che ancora per qualche anno potevano vantare su di loro una certa autorità, cantavano le lodi di Dio e questo lo rendeva - ai loro occhi - odioso per associazione, perché non era un mistero ciò che le vecchie lumache bavose facevano in privato.
Si parlava anche del diavolo e dell’inferno. Robert aveva all’epoca una fervida immaginazione, gli piaceva vedere nei paesaggi quotidiani le metafore viventi di quelle favole, e così il diavolo non aveva corna e zoccoli bensì una forma cilindrica e allungata e la sua pelle non era la scorza rossa che dicevano, ma aveva la composizione affumicata dei vecchi stabilimenti industriali. Se il marmoreo Pete passava per il portavoce del paradiso, allora ci stava che la ciminiera della Sullivan & Sons, furiosa e fumigante come se l’indifferenza dell’angelo la facesse imbestialire, fosse l’emissario dell’inferno.
Dal campo di sterpaglie, dove Robert e i suoi amici disputavano abborracciate partite di pallone, si potevano vedere entrambi i contendenti guardarsi in cagnesco ai lati opposti del campo visivo, stagliati contro un cielo plumbeo in cui si apparecchiava uno dei soventi temporali che andavano e venivano da quelle parti. Quando Robert cercò di impressionare il fratello, facendolo partecipe della sua fantasia, quello si limitò a guardare la ciminiera con l’ottusità propria del suo sguardo, e liquidò infine la scena con una breve e concisa osservazione.
«A me sembra solo un grosso cazzo fumante.»
C’è chi sostiene che nel libro stretto fra le mani dell’angelo ci siano le formule per allontanare il diavolo. Secondo altri, invece, ci sono le storie di cui l’angelo è stato testimone. Quest’ultima è una teoria che Robert trova interessante perché pensare che qualcuno lassù tenga conto di tutte le insensate traversie degli esseri umani, è una cosa che lui trova insensatamente di grande conforto.
Sorpassa la cattedrale, e arriva in vista del grande cancello arrugginito. Come previsto, il parcheggio davanti al cimitero è pieno. Robert gira l’angolo e costeggia il lato ovest del complesso. L’unica debole fonte di luce è quel lattiginoso riverbero che sale dal fiume insieme alla nebbia e, onde evitare di cadere nell’acqua, segue con la mano la superfice infestata dalle efflorescenze del muro di cinta, fino al punto in cui i mattoni sono crollati.
Nessuno si è ancora preoccupato di chiudere la breccia. Non ci sono luci nemmeno all’interno dell’enorme e silenziosa confraternita, ciò nonostante Robert avanza con la disinvoltura di chi potrebbe seguire il percorso a occhi chiusi. In fondo all’ultima diramazione del viale ghiaiato, la vede. Hester appare in tutta la sua bellezza sbocciata al cielo da tempo, ora nuda nell’eternità e un poco sfiorita. Be', forse non così poco, ma lui è ancora innamorato di lei.
Pete starà scrivendo? Pensa Robert. Il cimitero rientra certo nell’ampio campo visivo dell’angelo sulla cattedrale. Un altro capitolo del vivere, l’ubiquità della morte.

«Papà!»
«Che c’è, tesoro?»
Malgrado sia l’una del pomeriggio, Robert esce dalla camera da letto con addosso soltanto la vestaglia scozzese. Mentre sua figlia lo guarda disgustata dall’altro lato della penisola, lui apre il frigorifero per prendere il latte di soia.
«Puzzi in un modo disgustoso.»
«Lo so, tesoro, abbi pazienza.»
Grace è appena tornata da scuola. Lo zaino pieno di libri l’ha buttato sul pavimento, accanto allo sgabello su cui è appollaiata. Si è preparata un’insalata con tofu, pomodori e olive nere, ma ora le è passato l’appetito e il tanfo terribile emanato dal corpo di suo padre rischia di farla vomitare. Lo aveva già sentito quando è arrivata, ma non era così intenso e pensava venisse da fuori. Tipo il camion degli spurghi, o qualcosa di analogo e comunque di esterno. Ora che ne ha individuato la provenienza all’interno della casa, la cosa non è più tollerabile. Si alza e indietreggia fino al divano, stringendo al petto l’insalata.
«Pazienza? Ma che stai dicendo? Lo senti o no quanto puzzi?»
«Poi ci fai l’abitudine, vedrai.»
«Col cazzo. Non voglio farci l’abitudine. Devi farti una doccia, subito.»
«Tesoro, temo che non farà una gran differenza.»
«Papà, ti sei rimbecillito? Vatti a fare la doccia, subito! Io apro tutte le finestre. ‘Sto tanfo mi impregna i vestiti e anche la casa. Ci vorrà più di una settimana per farlo andare via.»
«Ma il fatto è…»
«Vatti subito a fare la doccia!»
Robert rimane impalato al centro della cucina, col cartone del latte in mano. La vestaglia un po’ corta e le ciabatte rosse a zampa di drago – l’ultimo regalo di Hester, a Natale, prima del suicidio - gli danno un’aria ridicola. La furia di Grace cresce in proporzione all’inerzia di suo padre. Poi, dal disimpegno, emerge la figura livida e butterata di sua madre. Grace rimane a bocca aperta.
«Quello che tuo padre sta cercando di spiegarti» dice Hester, con un tono di voce piatto e incolore, senza la minima traccia di affetto o di entusiasmo alla vista della figlia, «è che il problema non è lui, sono io».
La sottoveste blu è macchiata in diversi punti, dalle secrezioni post mortem. I capelli sono un disastro. I piedi lasciano una serie di impronte umide. Il tono della sua voce è freddo e strascicato. A Grace fa venire in mente quello del suo amico Brendon, che è sempre stordito dagli oppiacei.
La ragazza rimane impietrita, poi stramazza a terra, svenuta, e Robert abbandona il cartone del latte per soccorrerla. Hester si avvicina lentamente, con cautela. Ha perso due dita cercando di aprire il mobiletto dei cosmetici, poco prima, in bagno. L’anta è sempre stata un po’ dura, lo ricordava, e lei ha tirato un po’ troppo, lasciando l’indice e il medio infilati nella maniglia di ottone. La sua carne è frolla, meglio evitare i movimenti bruschi.
Guarda la figlia distesa, con aria ottusa, e poi suo marito inginocchiato al suo fianco. «Portala in giardino, Robert. Un po’ d’aria fresca le farà bene.»

Grace riprende conoscenza seduta nel gazebo, sotto il grande sicomoro. Suo padre è in piedi a qualche metro di distanza, per non farle sentire il fetore di Hester, che ha addosso. Sua madre è ancora in casa, dietro la vetrata del soggiorno, e la sta guardando con un’espressione un po’ stonata.
«Stai meglio, ora?» Le chiede Robert.
«No, fino a che lei è ancora là. Questo è uno di quegli incubi in cui ti svegli in un altro incubo. Credo che sentirò questa puzza per tutta la vita, anche dopo che mamma se ne sarà andata. Perché se ne andrà, vero? Questo incubo finirà, prima o poi.»
«È solo per un giorno, Grace. A mamma mancava la sua vita. Sai, suo marito, sua figlia» dice indicando prima sé stesso e poi Grace, «e poi le sue abitudini, i cereali al cioccolato, gli sformati di verdura, le zuppe, gli infusi strani, i cosmetici, il forum di scrittura, whatsapp, Netflix, insomma tutte le cose che le piaceva fare prima di… cioè, finché è stata viva.»
«Guarda che lo puoi dire. Prima che si chiudesse nell’auto, in garage, e si facesse una bella inalazione di monossido.»
«Grace…»
«Al diavolo, sempre gli stessi discorsi. Io che la infamo e tu che la difendi.»
«Era tua madre, ti voleva bene.»
«Non abbastanza. Ma non è questo il punto, cazzo. Il punto è: cosa ci fa qui?»
«Te l’ho detto. Voleva tornare a casa, per un giorno.»
«E tu come fai a saperlo? Ti è apparsa in sogno?»
«Qualche volta la vado a trovare, la sera. Quando esco dal pub.»
«E dove? Al cimitero?»
«Sì.»
«Sul serio? Non ci credo, cazzo.»
«C’è ancora quella breccia nel muro, da quando è crollato sei mesi fa. Io andavo sulla sua tomba, e poi lei ha cominciato ad apparire. All’inizio non capiva quello che le dicevo, sembrava smemorata, ma poi si è ricordata ogni cosa ed è tornata come prima.»
«Come prima non mi pare. Non è mai stata troppo sveglia, depressa com’era, ma certo non aveva la faccia da zombie rimbambita che ha adesso. Ma guardala. Ti sembra mia madre, quella?»
Si voltano entrambi, padre e figlia, per guardare Hester di là dal vetro, dentro casa. In effetti non ha un’aria molto presente. Li sta fissando con la bocca aperta e la testa piegata un po’ a sinistra. I capelli color topo, arruffati. Le braccia penzoloni come stracci bagnati. La pelle chiazzata e grigia. Li guarda ma è come se non li vedesse.
«L’hai accompagnata tu, in macchina?» Gli chiede Grace.
«Sì, ieri sera, ma non era ancora pronta a farsi vedere da te, e così ha aspettato in giardino che tu uscissi per andare a scuola.»
«E che ha fatto questa mattina?»
«Te l’ho detto. Le mancavano le sue cose. Ha usato i cosmetici, ha guardato la televisione.»
«Ti conosco, papà. Cos’è che mi stai nascondendo?»
«Niente.»
«Non mi dirai che… No, è impossibile» osserva Grace, scuotendo la testa, ma poi guarda suo padre negli occhi, che cercano di sfuggirle, e le viene il dubbio. «Perché quella cosa stava in sottoveste e tu avevi addosso solo la vestaglia? Non avrete mica…»
«No, macché.»
Gli occhi di suo padre non sono capaci di mentire, Grace lo sa. Lo guarda sbalordita. «No, dai. Non ci credo. Ma, ma… cazzo, che schifo.»
«Tesoro, ti prego…»
La faccia di Grace è una maschera di orrore e disgusto. «Ma come cazzo hai fatto a…» I conati la colgono all’improvviso e questa volta non riesce a trattenersi, si piega di lato e vomita sul pavimento del gazebo.
Robert la guarda e pensa che lei non può capire, anche se c’è stato un momento a letto, quella mattina, in cui ha provato a sua volta un certo disgusto, quando Hester gli stava sopra e lui le ha strizzato un seno. Gli si è rotto in mano come un uovo marcio e un fiotto di liquido maleodorante e vischioso gli è arrivato dritto in faccia. Se non fosse venuto proprio in quel momento, dentro di lei, si sarebbe di certo vomitato addosso e non sarebbe stato molto carino.
Quando Grace si raddrizza, pulendosi la bocca con il dorso della mano, ha una faccia come un cencio.
«Porta via quella cosa prima che puoi. Ok?» Gli dice alzandosi.
«Dove vai?»
«A fare un giro. Chiamami appena se n’è andata.»
«Grace, almeno salutala.»
«Neanche morta.»

Hester passa il resto della giornata ad annusare i suoi profumi, a preparare uno sformato di carote che ovviamente nessuno mangerà mai, a passare in rassegna i suoi vestiti, a guardare qualche episodio di Desperate Housewives. Quando il sole tramonta e cala l’oscurità, lei e Robert escono lungo il vialetto, e salgono nell’auto. Lui le fa fare un giro della città, indicandole a uno a uno tutti i luoghi che hanno condiviso durante la loro relazione. La panchina dove le leggeva le sue poesie preferite, il ristorante in cui le ha chiesto di sposarlo, il bar in cui facevano colazione tutte le mattine. E poi il sentiero lungo il fiume dove andavano a fare lunghe camminate nel fine settimana, il negozio di parrucchiera in cui lavorava lei, la banca di cui lui è stato il direttore per anni.
Poco prima di mezzanotte, Robert ferma la macchina sul limitare del terreno in cui giocava da ragazzino con i suoi amici. Nell’angolo in basso a sinistra del parabrezza, la ciminiera della Sullivan & Sons si staglia scura contro lo sfondo del cielo sulfureo, attraversato dai fumi rossastri che si sollevano verso l’alto a ogni ora del giorno e della notte. La chiesa di St. Peter e l’angelo di marmo, nell’angolo a destra, sono investiti dal doppio fascio di luce bianca sparata dai faretti ai due lati della facciata.
La donna che è stata sua moglie, seduta in silenzio al suo fianco, sembra aver poco da spartire sia con l’inferno che col paradiso. Hester è diventata piuttosto una strana creatura indifferente al concetto di bene e di male, di giusto e sbagliato, di bello e di brutto. Nel suo sguardo fisso e smorzato, sotto le palpebre rilassate, non sembra esservi più interesse per nessuna di quelle distinzioni. E nemmeno - a giudicare dalla reazione a tutto ciò che di quella città avrebbe dovuto ricordare volentieri - a quello che è stato il suo passato. Anzi, il loro passato.
«Mi dispiace, Hester.»
«Di cosa?» Chiede lei, guardando fisso davanti a sé.
«Che sia andata così. Che tu non sia più insieme a noi. Che tu debba tornare in quel cimitero freddo e inospitale.»
Hester non dice nulla. Rimane immobile. Le mani abbandonate in grembo e il profilo del suo volto nascosto in buona parte dai capelli devitalizzati.
«E mi dispiace anche per Grace. Credo le serva ancora un po’ di tempo per accettare il fatto che tu sia…»
«Morta.»
«Esatto. Sono sicuro che la prossima volta in cui organizzeremo una giornata come questa, andrà molto meglio, vedrai.»
Robert si sente a disagio, in primo luogo perché Hester non è nemmeno un po’ compiaciuta di tutte le cose che ha fatto per lei quel giorno; e poi perché non c’è niente in lei che possa ricordargli la donna che aveva sposato, a parte una vaga somiglianza fisica. Vaga e corrotta. Forse ha ragione Grace, e quella cosa non è più la donna che hanno conosciuto come moglie e come madre. Forse le visite al cimitero sono state davvero una follia, ed è il caso di dimenticare Hester una volta per tutte.
Guarda l’orologio e pensa che appena avrà riaccompagnato il cadavere di sua moglie al cimitero, chiamerà la figlia e le dirà che può rientrare a casa, e non dovrà più preoccuparsi di nulla perché mamma non tornerà più a far loro visita.
«Sei pronta, tesoro?»
Lei si volta a guardarlo come se non capisse il senso della domanda.
«Ora ti riaccompagno, e poi ci rivedremo presto» cerca di rassicurarla, interpretando la sua vacuità come una sorta di rammarico.
Ha la stessa espressione di Pete, pensa Robert.
È impaziente di tornare a casa, dentro di sé è consapevole di averle appena mentito e di non provare più alcun desiderio di rivederla. Lei apre la portiera con cautela, cercando di non rimetterci altre due dita, e scende dall’auto.
«Dove vai, cara?» Le chiede Robert, avvertendo una certa apprensione.
«Faccio due passi» dice lei, voltandosi un’ultima volta a guardarlo con quei suoi occhi opachi. «Conosco la strada, ora.»
Prima di chiudere la portiera e allontanarsi nell’oscurità, Hester si piega verso l’interno del veicolo e lo guarda dal suo volto freddo e distante.
«Anche quella di casa.»
Giampiero
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Messaggio da leggere da Giampiero »

Il titolo di per sé è tutto un programma, direi anticipatore: e le promesse sono mantenute. Uno scenario surreale per un racconto grottesco, ben narrato e descritto. Ironico, per giunta. Senza contare che il finale dà ancora qualcosa in più a tutta la vicenda, con l’ultima frase che il lettore ormai aspetta come scena del ko ma non immagina certo qual è: una minaccia! Per la serie, incubo a prescindere. Il lettore non sa se ridere o farsi piccolo piccolo. Be’, voto pieno per la tridimensionalità delle scene e un narrante all’altezza.
La paura è un cavallo con le ali: una volta lanciato al galoppo perde il contatto con il suolo e incomincia a volare.
Selene Barblan
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Il racconto riesce a suscitare curiosità, malinconia, divertimento e disgusto (nel senso positivo) ... mi sono piaciuti tanto sia l’ambientazione, che l’umorismo (anche quello sottile che riguarda la dieta dei coniugi... parlo da vegetariana :) ). Alcune trovate sono geniali, un po’ gore forse, ma davvero originali. Voto massimo per me.
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Messaggio da leggere da Laura Traverso »

il racconto è originale, ben articolato e ricco di sorprese oltre che scritto molto bene. Però, la trama mi ha un poco infastidito, certe descrizioni così ad effetto non mi sono piaciute per niente, la scena descritta del "rapporto sessuale con il morto, anzi morta", mi ha fatto venire il voltastomaco. Certe trovate narrative horror non rendono, per me, gradevole un racconto: troppo lontano dai miei gusti...
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Messaggio da leggere da ElianaF »

Bel racconto! Non ho dato il massimo dei voti per questi motivi:
-l’ho trovato un po’ lungo, avrei accorciato la parte iniziale;
- mi attendevo un ruolo nel racconto da parte dell’angelo, vista la minuziosa descrizione;
- qualche termine l’ho trovato obsoleto, non in linea con il ritmo del racconto.
Mi è piaciuto il titolo e la cura dei particolari.
Roberto Ballardini
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Messaggio da leggere da Roberto Ballardini »

Giampiero ha scritto: 28/12/2019, 19:42 Il titolo di per sé è tutto un programma, direi anticipatore: e le promesse sono mantenute. Uno scenario surreale per un racconto grottesco, ben narrato e descritto. Ironico, per giunta. Senza contare che il finale dà ancora qualcosa in più a tutta la vicenda, con l’ultima frase che il lettore ormai aspetta come scena del ko ma non immagina certo qual è: una minaccia! Per la serie, incubo a prescindere. Il lettore non sa se ridere o farsi piccolo piccolo. Be’, voto pieno per la tridimensionalità delle scene e un narrante all’altezza.
Grazie Giampiero. Felice del tuo apprezzamento. Avevo qualche dubbio perché ho ripreso e integrato un vecchio racconto e non ero sicuro che il brusco cambio di passo tra la parte descrittiva iniziale e quella successiva con i dialoghi, potesse funzionare. Cioè, a me piaceva, ma a me piacciono tante cose eh, che poi non è detto convincano anche agli altri, com'è giusto che sia.
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Messaggio da leggere da Roberto Ballardini »

Selene Barblan ha scritto: 29/12/2019, 13:18 Il racconto riesce a suscitare curiosità, malinconia, divertimento e disgusto (nel senso positivo) …mi sono piaciuti tanto sia l’ambientazione, che l’umorismo (anche quello sottile che riguarda la dieta dei coniugi… parlo da vegetariana: )). Alcune trovate sono geniali, un po’ gore forse, ma davvero originali. Voto massimo per me.
Grazie Selene. Forse ho un po' esagerato, in effetti, però mi ha intrigato proprio il cambio di registro, tra la prima parte più elegante (almeno nelle intenzioni) e la seconda più trash. Per quanto riguarda la dieta dei coniugi, non me ne ero nemmeno reso conto, probabilmente perché sono vegetariano anch'io. Mi fa piacere che tu abbia colto la malinconia, perché in Hester ne sento tanta anch'io.
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Laura Traverso ha scritto: 30/12/2019, 15:50 il racconto è originale, ben articolato e ricco di sorprese oltre che scritto molto bene. Però, la trama mi ha un poco infastidito, certe descrizioni così ad effetto non mi sono piaciute per niente, la scena descritta del "rapporto sessuale con il morto, anzi morta", mi ha fatto venire il voltastomaco. Certe trovate narrative horror non rendono, per me, gradevole un racconto: troppo lontano dai miei gusti…
Ciao Laura. Apprezzo qualsiasi tipo di commento, davvero, e posso capire il disgusto per quella scena. Nelle intenzioni voleva essere un po' una metafora di un rapporto fisicamente in essere ma spiritualmente morto (almeno per uno dei due, ma anche in quel caso il rapporto in sè ha cessato di vivere, credo), con tutte le conseguenze del caso quali possono essere i casi di stolker, la violenza domestica e peggio ancora il femminicidio. Tutte cose da voltastomaco, in effetti. Se consideriamo il ruolo della figlia, credo perlomeno di aver mantenuto un punto di vista anche razionale. A mia parziale discolpa posso dire soltanto che non scrivo unicamente cose di questo genere.
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ElianaF ha scritto: 30/12/2019, 17:57 Bel racconto! Non ho dato il massimo dei voti per questi motivi:
-l’ho trovato un po’ lungo, avrei accorciato la parte iniziale;
- mi attendevo un ruolo nel racconto da parte dell’angelo, vista la minuziosa descrizione;
- qualche termine l’ho trovato obsoleto, non in linea con il ritmo del racconto.
Mi è piaciuto il titolo e la cura dei particolari.
Grazie Eliana. Sì, sull'accorciare hai probabilmente ragione ma la passeggiata nella città immaginata è sufficientemente datata da far nascere in me un legame affettivo. Per quel che può valere, una parte di me concorda con tutte le tue osservazioni, e naturalmente mi fanno piacere gli apprezzamenti.
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Ho letto il tuo racconto solo oggi, nonostante fossero giorni che leggevo il titolo è aumentava la curiosità. Probabilmente il poco tempo e la lunghezza del racconto mi hanno un po' demotivata. Devo dire che in realtà sono arrivata alla conclusione in un lampo. Le descrizioni sono accurate, precise, suggestive. La storia è coinvolgente e rapisce il lettore in ogni sua parte. Mi fa tornare alla mente uno dei primi romanzi che ho letto di Stephen King, Pet Cemetary. Scritto davvero molto bene. Anche per me meriti il voto massimo.
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Carol Bi ha scritto: 31/12/2019, 12:42 Ho letto il tuo racconto solo oggi, nonostante fossero giorni che leggevo il titolo è aumentava la curiosità. Probabilmente il poco tempo e la lunghezza del racconto mi hanno un po' demotivata. Devo dire che in realtà sono arrivata alla conclusione in un lampo. Le descrizioni sono accurate, precise, suggestive. La storia è coinvolgente e rapisce il lettore in ogni sua parte. Mi fa tornare alla mente uno dei primi romanzi che ho letto di Stephen King, Pet Cemetary. Scritto davvero molto bene. Anche per me meriti il voto massimo.
Pet Sematary è uno dei libri di King che prediligo, con il protagonista che dopo tutto il casino con il gatto e il bambino, si ostina a riprovarci con la moglie. Un amore disperato e folle. E cocciuto, a dispetto di tutto ciò che va storto. Bello ritrovarlo in questa tua citazione e credo che in parte il personaggio di Hester, malgrado tutti gli anni passati da quando ho letto il libro, possa essere venuto anche da lì. Grazie del bel commento, Carol.
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Messaggio da leggere da Namio Intile »

Scritto molto bene, con una tecnica quasi professionale, e perciò facilmente leggibile nonostante il racconto non mi abbia detto nulla. Un po' horror, un po' splatter, molto giovanile, strizzi l'occhio al genere zombie oggi molto in voga in modo dolce e amaro. Anche questo troppo visitato. Non capisco il perché di tutti quei nomi inglesi e riferimenti alla religione, ne avrei fatto a meno, non aggiungono nulla. Nel finale cerchi l'effetto, l'exploit, e ci arrivi, per strappare anche un sorriso, con quell'ultima battuta, che però sembra proprio una battuta da barzelletta. E corri il rischio di trasformare tutto il tuo lavoro in farsa. Io l'avrei proprio evitata.
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Namio Intile ha scritto: 02/01/2020, 18:34 Scritto molto bene, con una tecnica quasi professionale, e perciò facilmente leggibile nonostante il racconto non mi abbia detto nulla. Un po' horror, un po' splatter, molto giovanile, strizzi l'occhio al genere zombie oggi molto in voga in modo dolce e amaro. Anche questo troppo visitato. Non capisco il perché di tutti quei nomi inglesi e riferimenti alla religione, ne avrei fatto a meno, non aggiungono nulla. Nel finale cerchi l'effetto, l'exploit, e ci arrivi, per strappare anche un sorriso, con quell'ultima battuta, che però sembra proprio una battuta da barzelletta. E corri il rischio di trasformare tutto il tuo lavoro in farsa. Io l'avrei proprio evitata.
A rileggerti
Ovviamente ognuno di noi vede soltanto ciò che vuole vedere, è normale, ma ti posso assicurare che quando scrivo lo faccio per il gusto di farlo, senza intrappolarmi nelle distinzioni di genere (che mi annoiano mortalmente, lo ammetto, tanto quanto i pregiudizi letterari) e soprattutto non strizzo l’occhio proprio a nessuno. Tutta la seconda parte del racconto l’ho immaginato in chiave metaforica di quanto le idee che coltiviamo nella nostra mente poi, nel momento in cui le mettiamo in pratica, abbiano sempre delle ripercussioni, pesanti o meno, sulla realtà altrui. La battuta finale è importante (per me) perché una volta che l’illusione romantica di Robert decade, poi fa capire che non è così facile sbarazzarsi di quelle che possono essere le conseguenze. E per questo diventa la spia di una certa ipocrisia sentimentale, chiamiamola così. Detto questo, aggiungo soltanto che può capitare di non trovare in un racconto o in un romanzo ciò che cerchiamo, o nella forma in cui lo cerchiamo, ma di lì a vederci soltanto il nulla mi sembra un po' riduttivo e pregiudizievole. Ma è solo la mia opinione, chiaramente. Mi viene da dire che proprio perché il racconto non ti è piaciuto, posso ritenermi a maggior ragione soddisfatto degli apprezzamenti sulla forma. Grazie.
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Parto dai complimenti per il linguaggio e lo stile, impeccabili e molto curati. Il racconto è bello, forse l'idea non è inedita (oltre al già citato Pet Sematary penso a una sottotrama di American Gods di Neil Gaiman) però è ben sviluppata, con il giusto equilibrio fra splatter e ironia. Mi pare di aver capito che lo hai scritto in tempi diversi, forse è anche per questo che la figura dell'angelo, che carichi di aspettative e simbolismo all'inizio, non ritorna con lo stesso peso nel finale dov'è relegata a un paio di brevi accenni; più in generale tutta la prima parte ha un tono un po' diverso dal resto, ma in fondo è propedeutica allo sviluppo della storia.
Centrata, invece, l'allegoria su come certi rapporti di coppia sopravvivano più del dovuto, anche fra vivi.
Che ci vuole a scrivere un libro? Leggerlo è la fatica. (Gesualdo Bufalino)
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Fausto Scatoli
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horror surreale che mi ha riportato alle scene di Pet Sematary, di King.
descrizioni visive fantastiche, emozionali molto buone.
scritto davvero bene, praticamente senza refusi.
geniale la chiusura, con quella frase di Hester che da un seguito alla storia.
seguito che non sarà molto apprezzato dalla figlia, ma tant'è.
l'unico modo per non rimpiangere il passato e non pensare al futuro è vivere il presente
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Roberto Bonfanti ha scritto: 03/01/2020, 15:44 Parto dai complimenti per il linguaggio e lo stile, impeccabili e molto curati. Il racconto è bello, forse l'idea non è inedita (oltre al già citato Pet Sematary penso a una sottotrama di American Gods di Neil Gaiman) però è ben sviluppata, con il giusto equilibrio fra splatter e ironia. Mi pare di aver capito che lo hai scritto in tempi diversi, forse è anche per questo che la figura dell'angelo, che carichi di aspettative e simbolismo all'inizio, non ritorna con lo stesso peso nel finale dov'è relegata a un paio di brevi accenni; più in generale tutta la prima parte ha un tono un po' diverso dal resto, ma in fondo è propedeutica allo sviluppo della storia.
Centrata, invece, l'allegoria su come certi rapporti di coppia sopravvivano più del dovuto, anche fra vivi.
Giusto! La moglie di Shadow. Be' sono tutti accostamenti onorevoli. American Gods è stato il primo libro di Gaiman che ho letto e mi è piaciuto molto. Sì, la sovraesposizione dell'angelo dipende senz'altro da quello, dal riprendere un racconto precedente del quale poi si fatica ad avere una visione obiettiva, essendosi già stampato nella mente. E magari anche un po' dal fatto che a volte si dovrebbe avere un po' più di coraggio nel tagliare e affezionarsi un po' meno a ciò che si è scritto. Cercherò di tenerlo presente per la prossima volta. Grazie degli apprezzamenti.
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Fausto Scatoli ha scritto: 03/01/2020, 21:16 horror surreale che mi ha riportato alle scene di Pet Sematary, di King.
Descrizioni visive fantastiche, emozionali molto buone.
Scritto davvero bene, praticamente senza refusi.
Geniale la chiusura, con quella frase di Hester che da un seguito alla storia.
Seguito che non sarà molto apprezzato dalla figlia, ma tant'è.
A quel punto, neanche dal marito, poveraccio. Pet Sematary è spuntato un po' ovunque, nei commenti, e non posso che esserne contento, ovviamente. Grazie per gli apprezzamenti.
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Eliseo Palumbo
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Il giorno stesso della pubblicazione del post lessi il titolo e mi affascinò molto, purtroppo non potevo leggerlo subito, ma quel titolo mi rimase impresso.

Dopo qualche giorno riuscii a leggerlo e devo dire che il racconto mi è piaciuto moltissimo.

Scritto a dovere, nessuna sbavatura, la trama è coerente e ben progettata, lo stile grottesco poi mi ha fatto impazzire di piacere, l'ho letto volentieri e mi è piaciuta anche la caratterizzazione dei protagonisti: un marito/padre distrutto, affranto e che non riesce ancora ad accettare la dipartita della sua amata, egoista al punto giusto, crede di fare un favore alla figlia, anche se in cuor suo sa che non avrebbe mai capito e che sta mentendo solo a sé stesso; una figlia che reagisce per come ci si aspetta e per come è giusto che sia, parte forte e razionale del racconto; la moglie/cadavere che si presta a quei macabri giorni, sena emozioni particolari perhé non è più in grado di provarne.

Il finale top, ho detto tra me e me: " e mo'?"
Mostrare ad altri le proprie debolezze lo sconvolgeva assai più della morte

POSARE LA MIA PENNA E' TROPPO PERICOLOSO IO VIVO IO SCRIVO E QUANDO MUOIO MI RIPOSO


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Eliseo Palumbo ha scritto: 05/01/2020, 18:17 Il giorno stesso della pubblicazione del post lessi il titolo e mi affascinò molto, purtroppo non potevo leggerlo subito, ma quel titolo mi rimase impresso.

Dopo qualche giorno riuscii a leggerlo e devo dire che il racconto mi è piaciuto moltissimo.

Scritto a dovere, nessuna sbavatura, la trama è coerente e ben progettata, lo stile grottesco poi mi ha fatto impazzire di piacere, l'ho letto volentieri e mi è piaciuta anche la caratterizzazione dei protagonisti: un marito/padre distrutto, affranto e che non riesce ancora ad accettare la dipartita della sua amata, egoista al punto giusto, crede di fare un favore alla figlia, anche se in cuor suo sa che non avrebbe mai capito e che sta mentendo solo a sé stesso; una figlia che reagisce per come ci si aspetta e per come è giusto che sia, parte forte e razionale del racconto; la moglie/cadavere che si presta a quei macabri giorni, sena emozioni particolari perhé non è più in grado di provarne.

Il finale top, ho detto tra me e me: " e mo'?"
Felice che ti sia piaciuto, Eliseo. Grazie mille.
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Roberto, mi è piaciuto.
A dire il vero mi sto ancora scompisciando dalle risate.
Ti dico subito che metto come voto 4 solo per la parte "I preti ... non era un mistero ciò che le vecchie lumache bavose facevano in privato". Quella non mi è piaciuta per nulla.

Detto questo devo dire che la puzza di cadavere marcio la conosco assai bene.
Purtroppo ho avuto molteplici occasioni di annusare quel fetore.
Ha ragione la ragazza, effettivamente è la più razionale: vegetali a parte. :roll:

L'idea della moglie scappata alla vita che torna a far visita al marito, mi fa sbellicare dal ridere. :-D

Bravo.
Le stelle brillano soltanto in notte oscura.
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Teseo Tesei ha scritto: 06/01/2020, 0:40 Roberto, mi è piaciuto.
A dire il vero mi sto ancora scompisciando dalle risate.
Ti dico subito che metto come voto 4 solo per la parte "I preti… non era un mistero ciò che le vecchie lumache bavose facevano in privato". Quella non mi è piaciuta per nulla.

Detto questo devo dire che la puzza di cadavere marcio la conosco assai bene.
Purtroppo ho avuto molteplici occasioni di annusare quel fetore.
Ha ragione la ragazza, effettivamente è la più razionale: vegetali a parte.: roll:

L'idea della moglie scappata alla vita che torna a far visita al marito, mi fa sbellicare dal ridere.: - D

Bravo.
Concordo con la detrazione, in quanto l'argomento è ormai abusato e la nota al riguardo ormai suona un po' scontata e banale. Magari quella dissertazione ci stava quando il racconto consisteva soltanto della prima parte - per dare alla città immaginaria un retroterra più materiale - ma ora non ha più molto senso dato che la seconda parte ottempera da sola all'esigenza. Molto contento che ti sia piaciuto il resto. La puzza di cadavere, fortunatamente, io per ora la conosco soltanto in forma virtuale. Grazie, Teseo!
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Ci tengo a precisare che ogni mio commento è semplicemente un parere personale è per questo, ciò che più lontano c'è da un giudizio. Mi sento di andare un attimo controcorrente, questo lavoro mi ha ricordato le ambientazioni ed i climi di Tim Burton, per questo motivo non mi ha colpito in modo particolare. Detto questo penso sia oggettivamente impossibile andare sotto una valutazione di 3/4, perché l'opera è scritta molto bene e regala più sfaccettature ed emozioni, che possono arrivare o meno. Sinceramente mi auguro, al momento, che questo lavoro vinca perché l'idea che "Demonite" sia il titolo di una raccolta mi diverte e affascina.
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Simone_Non_é ha scritto: 09/01/2020, 15:18 Ci tengo a precisare che ogni mio commento è semplicemente un parere personale è per questo, ciò che più lontano c'è da un giudizio. Mi sento di andare un attimo controcorrente, questo lavoro mi ha ricordato le ambientazioni e i climi di Tim Burton, per questo motivo non mi ha colpito in modo particolare. Detto questo penso sia oggettivamente impossibile andare sotto una valutazione di 3/4, perché l'opera è scritta molto bene e regala più sfaccettature ed emozioni, che possono arrivare o meno. Sinceramente mi auguro, al momento, che questo lavoro vinca perché l'idea che "Demonite" sia il titolo di una raccolta mi diverte e affascina.
Tranquillo. Credo che ben pochi di noi qui possano dirsi critici letterari (e comunque anche i critici hanno i loro gusti eh, anche se non lo ammettono). E' normale che si esprima un parere in base alle proprie preferenze personali e in fondo per chi scrive credo sia una cosa molto utile sondare i vari gusti. Per me lo è stata con questo racconto. A me Tim Burton piace e quindi non posso che sentirmi lusingato dall'accostamento. Grazie per il passaggio.
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Messaggio da leggere da Stefyp »

Stile e linguaggio impeccabili anche per me. Buona l'idea, avrei tagliato alcune parti, belle ma poco coerenti con il resto (la descrizione dell'ambiente e dell'angelo le avrei tenute da parte per un altro racconto). Non riesco a dare il massimo dei voti perchè io non sopporto questo genere di horror. Non leggo mai storie di zombie e simili perchè mi disgustano e quindi non mi diverto. E se non mi diverto...
Leggerò volentieri altri tuoi scritti.
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Stefyp ha scritto: 11/01/2020, 16:38 Stile e linguaggio impeccabili anche per me. Buona l'idea, avrei tagliato alcune parti, belle ma poco coerenti con il resto (la descrizione dell'ambiente e dell'angelo le avrei tenute da parte per un altro racconto). Non riesco a dare il massimo dei voti perchè io non sopporto questo genere di horror. Non leggo mai storie di zombie e simili perchè mi disgustano e quindi non mi diverto. E se non mi diverto...
Leggerò volentieri altri tuoi scritti.
Giusto! Anche per me è sempre e comunque questione di divertimento, e ovviamente mi sono divertito molto a scrivere questo. Capisco la logica dei tagli a cui accenni e una parte di me concorda, mentre l'altra si affeziona probabilmente un po' troppo a ciò che scrive. Vedremo chi la spunta. Grazie per il commento. Ciao.
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Confesso che ho iniziato a leggerlo con titubanza, quando ho capito che trattava di zombie, argomento iperinflazionato e che detesto. Invece l'argomento è trattato con la giusta dose di ironia e un tocco di horror grottesco (il pus maleodorante che sprizza dal capezzolo è indimenticabile). Racconto scritto benissimo, do il voto massimo.
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Andr60 ha scritto: 13/01/2020, 12:00 Confesso che ho iniziato a leggerlo con titubanza, quando ho capito che trattava di zombie, argomento iperinflazionato e che detesto. Invece l'argomento è trattato con la giusta dose di ironia e un tocco di horror grottesco (il pus maleodorante che sprizza dal capezzolo è indimenticabile). Racconto scritto benissimo, do il voto massimo.
Ti ringrazio. Per quello che può valere, quando l'ho scritto ero assolutamente inconsapevole del rischio. Di certo non pensavo di seguire una tendenza. Le mie letture sono decisamente poco aggiornate in questo senso e che gli zombie fossero un argomento letterario inflazionato l'ho appreso dai commenti a questo racconto. Diciamo che in quanto a gusti letterari sono piuttosto onnivoro e riprendendo in mano il pezzo sulla città immaginaria, la soluzione della donna morta mi è sembrata la più appetibile, in primis per la bizzarra combinazione stilistica che mi intrigava, e poi anche per dare uno sprint in più a un pezzo puramente descrittivo. Comunque non l'ho mai immaginato come una storia horror, ma piuttosto come una sit-com. Mi fa piacere che in prevalenza, finora, il racconto sia stato apprezzato per quello che è, senza pretese.
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Il racconto è molto scorrevole nonostante abbia prediletto la lettura a partire da quelli più brevi in questo concorso delle gare stagionali. Le descrizioni sono accurate e l'ambientazione accattivante. La storia è coinvolgente e anche a me come altri hanno scritto ricorda lo stile di King.
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Grazie, Gabriele. Giuro con le dita incrociate dietro la schiena che non scriverò altri racconti sui morti viventi (in realtà ne ho già in mente uno ma ho fortunatamente altro da fare, al momento), anche se come ho già detto l'accostamento non può che farmi piacere.
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Giorgio Leone
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Roberto, un titolo ecntrato e un bel racconto con alcune pecche facilmente eliminabili. Ogni tanto qualche frase un po’ aggrovigliata, ma soprattutto troppi particolari e alcune insistenze e ripetizioni che non aggiungono molto alla narrazione, ma la rendono un po’ pesante e difficile da seguire in parecchi punti. Per capirci, la storia di portare a casa la moglie morta che poi ci trova gusto e ripeterà la visita, personalmente non la conoscevo – a differenza di altri – e avrei gradito che fosse un po’ più in rilievo, senza essere annegata nel testo, anche se in molti punti interessante e introspettivo. Inoltre, sempre personalmente, ho trovato il personaggio della figlia poco credibile – pur nell’assurdità della trama – e la sua psicologia e il modo di reagire non mi hanno convinto affatto. Come dire che se trovassi mia madre in decomposizione a casa, parlerei meno con mio padre e direi altre cose. Ma ognuno ha le sue reazioni davanti ai morti viventi, specie se parenti stretti. Per essere ancora più chiaro con un esempio, il punto che più mi è piaciuto è il finale tranchant: “«Conosco la strada, ora.» Prima di chiudere la portiera e allontanarsi nell’oscurità, Hester si piega verso l’interno del veicolo e lo guarda dal suo volto freddo e distante. «Anche quella di casa.».
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