Ma chi è Clelia?
Inviato: 31/12/2019, 0:43
Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.
Osservò con attenzione la vecchia foto trovata nel bauletto di cartone giallo: era scolorita, stropicciata e rattoppata con del nastro adesivo trasparente, ma i volti ad una prima occhiata parevano ancora riconoscibili. Infilò la foto nella tasca del cappotto e si guardò intorno cercando una traccia che potesse ricondurla a Marco. Si alzò lentamente per sgranchirsi le gambe. Era accovacciata a frugare in quel baule da una buona mezz’ora e l’intorpidimento degli arti cominciava a diventare vero e proprio dolore. Si stava sollevando cautamente quando una vocina stridula dal piano di sotto la fece raddrizzare bruscamente e colpire con la testa la trave portante del sottotetto. Il vecchio lampadario cominciò a roteare pericolosamente e una nuvola di polvere scese dalla cappella in ceramica della lumiera. Le particelle del pulviscolo si intrufolarono furtive nelle narici facendola starnutire violentemente.
- Tutto bene cara?- la fastidiosa vocetta della signora Clelia arrivò ridondante dalla cucina.
- Sì, tutto bene… ora scendo!
Decise di non fermarsi oltre, avrebbe potuto insospettire la vecchia Clelia rischiando di non farsi più aprire la porta di casa.
Ripose il bauletto nella mensola di legno, tra una cesta in vimini e un vecchio manuale sulla potatura degli alberi. Si diresse verso la porta dando un’ultima rapida occhiata all’ambiente fatiscente: non aveva nulla di diverso dalle soffitte di una qualsiasi casa di inizio secolo scorso…eppure, in quella soffitta, nulla pareva essere comune. Non sapeva spiegarsi il perché, forse era suggestione, forse le storie raccontate dai ragazzini del paese e prima ancora dai loro padri e dai padri dei loro padri non l’avevano lasciata totalmente neutrale, sebbene si fosse imposta di non credere a certe blasfeme dicerie.
- Cara, ci sei? Il the è pronto!
Chiuse velocemente la porta, si sistemò il cappotto e si assicurò di aver ben nascosto la foto nella tasca. Le si era smagliata la calza e una piccola striscetta rossa si intravedeva attraverso la maglia della microfibra.
Mentre scendeva le scale si detestò per aver indossato il tailleur nero e la scarpa col tacco per una simile visita, ma pensava che sarebbe stata solamente una visita di cortesia. Poi la vecchietta le aveva parlato dei ricordi che conservava in soffitta e non aveva saputo resistere alla tentazione di dare un occhiata. Per un attimo aveva dimenticato Marco e la sua ricerca. Erano giorni che ormai era scomparso e dentro di lei nasceva sempre più la convinzione che l’allontanamento fosse stato volontario. Pensò alla lite furibonda che avevano avuto nel pomeriggio della scomparsa, ricordò il suo viso paonazzo per la rabbia e tutte le peggiori parole che le aveva scagliato addosso e si rivide mentre con un’innaturale tranquillità e fermezza richiudeva la porta della camera alle sue spalle. La loro storia era giunta al capolinea ancora prima che se ne rendessero conto. Forse era meglio così, che se ne fosse andato prima lui, prima che potesse succedere il peggio… o forse il peggio era già successo?
Il volto sorridente della signora Clelia la ridestò dai suoi pensieri. Più che un sorriso pareva un ghigno, ma ancora una volta si obbligò ad allontanare i pregiudizi che poteva avere su quella donna.
- Cara, il thè si fredderà! Coraggio lo beva subito, la riscalderà prima di uscire.
Scese l’ultimo scalino e afferrò la tazza che Clelia le stava porgendo. Si sentiva un po’ a disagio a sorseggiare il thè in piedi con uno sguardo fisso che la scrutava con invadenza. Per un attimo le parve di essere violata nella sua intimità e per la prima volta si chiese perché si trovasse lì, perché avesse suonato quel campanello, cosa potesse centrare quella donna con la scomparsa di Marco.
Non le piaceva affatto quello che stava provando. Bevve velocemente l’ultimo sorso con l’intenzione di congedarsi frettolosamente, quando vide che l’anziana donna stava osservando la piccola ferita alla gamba.
Si affrettò a levarle la tazza dalle mani e, poggiandola sul comodino impolverato, gracchiò: - Tesoro… ma ti sei ferita, lascia che ti medichi.
Ester si affrettò a dissuaderla, non voleva farsi toccare da quelle mani rugose ed infime, ma non fece in tempo a protestare che Clelia aveva già agguantato un fazzolettino dalla tasca del grembiule e le stava tamponando la ferita.
Non riusciva più a sopportare quell’inspiegabile malessere. La testa le girava e le mancava l’aria. Sgusciò via dalla presa della vecchia che rimase ammutolita con il fazzolettino in mano. Si precipitò verso l’ingresso ed afferrò la maniglia della porta convinta che non si sarebbe aperta, come nei più spaventosi film horror. Ovviamente non fu così, la porta si aprì senza alcuno sforzo e in un attimo si trovò nel cortiIe. Inspirò voracemente l’aria, come se fosse rimasta in apnea fino a quel momento. La temperatura era glaciale. L’imbrunire stava avanzando e i lampioni della strada cominciavano ad accendersi rischiarandosi con una flebile luce. Il cielo era incredibilmente stellato e lasciava intravedere una luminosa luna rotonda. Sollevò il bavero del cappotto e volò fino al cancello di ferro battuto, lo oltrepassò e si trovò in strada.
Arrivò a casa in una manciata di minuti e mai come in quel momento apprezzò il suo covo, piccolo ma confortevole. Fece una doccia calda godendo di ogni singola goccia e, mentre faceva scorrere l’acqua lungo il collo, si ritrovò nuovamente a chiedersi perché diamine avesse suonato al campanello di quella casa…proprio non riusciva a ricordare. Si asciugò in fretta e, ancora umida, si infilò il pigiama e si fiondò sotto le coperte. Fu quando allungò un braccio per spegnere la luce che si ricordò della foto. Scese dal letto e aprì l’armadio, infilò una mano nella tasca del cappotto. Si lanciò sul letto e si rimise sotto le coperte. La foto era un po’ ingiallita dal tempo ma i volti erano abbastanza nitidi. A giudicare dagli elementi doveva essere stata scattata nei primi anni del novecento: un gruppo di baldi giovani guardavano sorridenti e spensierati il fotografo sotto una pianta di vite, probabilmente era settembre,durante la vendemmia. Alla destra un trattore e un carro incorniciavano il quadretto. Uno dei giovani accarezzava un cane da caccia, un altro stringeva la spalla dell’amico che posava al suo fianco, un altro ancora pareva tenere una sigaretta tra le mani, ma non ne era sicura. Fu mentre osservava il giovane sulla destra, quello che sollevava un grappolo di uva che rimase pietrificata. Prese gli occhiali che teneva sul comodino e li indossò, sgranò gli occhi e guardò meglio. Ancora una volta le mancò l’aria e un senso di stordimento la pervase. L’acconciatura era quella che andava in voga nei primi anni del novecento, così come i folti baffi, ma quel giovane, quello col grappolo d’uva, era proprio lui… quel ragazzo che sorrideva all’obiettivo era sicuramente il suo Marco.
***
Clelia armeggiava in cucina con una foga quasi animale, sapeva che non aveva molto tempo. Afferrò la scatola di latta e la aprì, prese un pizzico di nepeta cataria e muschio. Aprì un vasetto di miele e ne versò tre cucchiai su un pentolino, infine infilò una mano nella tasca del grembiule, afferrò il fazzoletto con il sangue ormai rappreso e lo spezzettò nel tegame. Sapeva esattamente cosa fare, oramai erano secoli che ripeteva sempre lo stesso rituale. Quando ebbe finito il sole stava sorgendo. Si strinse lo scialle sulle spalle e, sorseggiando una tazza di thè, si lasciò cadere sulla poltrona della sala da pranzo. Sorridendo chiuse gli occhi ed aspettò.