L'alba è ogni giorno nel mio cuore
Inviato: 07/01/2020, 17:36
Una leggera brezza marina entrava dalla finestra socchiusa della sua camera. Una stupenda alba estiva, fresca al punto giusto, suggeriva a Regina che era il momento di rimboccarsi il sottile lenzuolo. Ma il suono delle onde che si riversavano sulla spiaggia, il verso dei gabbiani e l’aria profumata e pulita del mare erano la sua sveglia quotidiana. Così si mise la vestaglia, pronta per la consueta colazione. Ora sentiva il profumo del caffè, di un caldo croissant, che si mischiavano con il profumo del bucato, buonissimo, alla lavanda. Erano passate da poco le sei e la casa era già linda, come tutti i giorni dopotutto. Regina prese la sua tazza di caffè e si sedette fuori, su una comodissima sedia a sdraio. Si stava godendo la sua meritata pensione, aveva finalmente realizzato il suo desiderio: potersi godere la vecchiaia in una casa al mare, con un labrador al suo fianco. Regina seguiva come un rituale lo svolgersi della sua mattinata. Puntuale alle dieci si concedeva una passeggiata sulla spiaggia. Prima di uscire avvisava la sua aiutante, Dorotea, colei che rendeva la casa uno splendore, e chiamava il suo migliore amico. Nettuno fedelmente accorreva da lei, scodinzolando, si faceva mettere il guinzaglio e abbaiava eccitato. Il loro rapporto era speciale, si completavano. Senza di lui Regina non poteva vivere, la guidava in ogni suo passo. Grazie a lui poteva toccare la spiaggia, sentire le onde che si abbattevano sui suoi piedi. Sebbene non la potesse più vedere, l’alba sorgeva ogni giorno nel suo cuore. Non vedeva l’ora di rivivere ogni mattina quel momento. E il suo cane, puntuale come un orologio svizzero, si preparava a uscire, si preparava a entrare in simbiosi con la sua padrona, aiutandola con la sua vista; una dolce routine per una donna anziana. All'apparenza delle poche persone che la conoscevano era una donna sola. Ma lei sola non si sentiva affatto, era un tutt'uno con l’universo che la circondava. Viveva di sensazioni, privata del dono più bello della vita, la vista. Di tanto in tanto ironicamente rifletteva sul fatto che non fosse poi una tragedia: alcune cose era meglio non vederle. Era auto ironica, Regina, alle volte persino cinica. Doveva. Non aveva più lacrime negli occhi. L’unico amore autentico e incondizionato era quello di Nettuno, lui non l’aveva rifiutata, come invece avevano fatto gli altri. Aveva avuto un marito, il suo vero amore, da cui si era separata. Poi niente, solo storie occasionali senza importanza. Ora la solitudine le sembrava un lusso da concedersi prima di andarsene. Le mancavano però i colori del tramonto che guardava insieme al suo vecchio amore, prima che la malattia agli occhi arrivasse e prima che lui la lasciasse sola. Ora Regina preferiva l’alba ai tramonti. Una mattina Dorotea, controllando la posta, trovò una lettera. Strano, la signora non ne riceveva mai. Lesse il nome del mittente: Piergiorgio Serafini. La donna si sentì confusa per alcuni istanti. L’ex marito di Regina che dopo anni le scriveva una lettera? “Adesso ti rifai vivo eh? E in tutti questi anni dove sei stato, farabutto?”, borbottò. Dorotea le riferì tutto. Regina l’abbracciò e le disse: “Dorotea cara, è lui? Cosa c’è scritto? Non mi far penare!”
“Non l’ho letta, signora, ci mancherebbe.”
“Ebbene, che aspetti? Leggimela.”
Dorotea esitò, pensò che il comportamento della signora fosse piuttosto strano. Perché era così in pensiero per lui? Cercò di non farsi troppe domande, iniziò:
“Cara Regina del mio cuore,
Mi ritrovo a scriverti nuovamente. Perché hai deciso di far soffrire così il mio cuore? I pensieri mi soffocano la mente, ormai quando cala la sera già so cosa mi aspetta: notti insonni a piangere, con gli occhi sbarrati. Il dolore è troppo, Regina. So che ho sbagliato, ma una cosa è certa: non ti ho mai tradito! E se tu lo credi è perché il tuo amore non era forte quanto il mio. La rabbia ha lasciato posto al dolore, ora possiamo ricominciare. Non ignorarmi, il tempo è poco. Rispondi almeno a questa ultima richiesta. In tal caso non smetterò di scriverti. Con affetto. Tuo Piergiorgio.” Prima di leggere le ultime righe, Dorotea tirò un sospiro e le pronunciò irritata. “Con affetto? Quest’uomo già ha dato prova della sua follia, non c’è da stupirsi!” Gli occhi di Regina iniziarono ad arrossirsi, gonfiarsi. Erano pieni di lacrime, tuttavia le trattenne. Dorotea era sempre più interdetta. Appallottolò la lettera che aveva in mano e la lanciò verso Nettuno che la fece in mille pezzettini. Quella sera Regina cenò a malapena, né tanto meno scambiò una parola con Dorotea. Sembrava affranta. Con il capo chino si diresse verso la sua stanza. C’era qualcosa di indubbiamente anomalo, pensò la domestica, forse era il caso di preoccuparsi. Comunque pensò che fosse solo stanca, che volesse stare sola, decise di non essere troppo invasiva.
La mattina dopo Regina fu trovata morta. Si era tolta la vita con dei barbiturici. Dorotea non riuscì a superare lo shock. Ancor meno quando ritrovò nella stanza della sua padrona un’altra lettera ben custodita di Piergiorgio Serafini, datata a qualche anno fa. Venne a sapere che l’uomo aveva scoperto, quando erano ancora sposati, di avere una malattia terribile e con poche possibilità di sopravvivenza. Non aveva mai avuto il coraggio di riferirlo alla sua amata moglie, perché nel frattempo questa lottava con la sua cecità imminente. La donna aveva pensato che in tutti quegli anni l’uomo la lasciò semplicemente perché era stanco di lei. Dunque ipotizzava dei tradimenti anche precedenti alla loro rottura. Ma dopo anni, le aveva riscritto. Aveva passato la sua vita a curarsi, invano. Ormai i medici non gli davano che pochi anni. Poi Dorotea aveva letto l’ultima sua lettera a Regina, dove l’uomo le chiedeva un’altra possibilità, le dichiarava il suo amore. La povera donna non aveva sopportato il senso di colpa. Aveva passato tutti quegli anni ad allontanare il suo unico amore, a essere certa che lui l’avesse lasciata per avere una vita più libera, magari con più donne, e senza la responsabilità di dover badare a un’invalida. Quell'uomo aveva sofferto tanto quanto lei, “ora possiamo ricominciare” aveva scritto, nonostante la veneranda età di entrambi. La vita dell’uomo si spense la mattina seguente la tragica scomparsa dell’amata.
“Non l’ho letta, signora, ci mancherebbe.”
“Ebbene, che aspetti? Leggimela.”
Dorotea esitò, pensò che il comportamento della signora fosse piuttosto strano. Perché era così in pensiero per lui? Cercò di non farsi troppe domande, iniziò:
“Cara Regina del mio cuore,
Mi ritrovo a scriverti nuovamente. Perché hai deciso di far soffrire così il mio cuore? I pensieri mi soffocano la mente, ormai quando cala la sera già so cosa mi aspetta: notti insonni a piangere, con gli occhi sbarrati. Il dolore è troppo, Regina. So che ho sbagliato, ma una cosa è certa: non ti ho mai tradito! E se tu lo credi è perché il tuo amore non era forte quanto il mio. La rabbia ha lasciato posto al dolore, ora possiamo ricominciare. Non ignorarmi, il tempo è poco. Rispondi almeno a questa ultima richiesta. In tal caso non smetterò di scriverti. Con affetto. Tuo Piergiorgio.” Prima di leggere le ultime righe, Dorotea tirò un sospiro e le pronunciò irritata. “Con affetto? Quest’uomo già ha dato prova della sua follia, non c’è da stupirsi!” Gli occhi di Regina iniziarono ad arrossirsi, gonfiarsi. Erano pieni di lacrime, tuttavia le trattenne. Dorotea era sempre più interdetta. Appallottolò la lettera che aveva in mano e la lanciò verso Nettuno che la fece in mille pezzettini. Quella sera Regina cenò a malapena, né tanto meno scambiò una parola con Dorotea. Sembrava affranta. Con il capo chino si diresse verso la sua stanza. C’era qualcosa di indubbiamente anomalo, pensò la domestica, forse era il caso di preoccuparsi. Comunque pensò che fosse solo stanca, che volesse stare sola, decise di non essere troppo invasiva.
La mattina dopo Regina fu trovata morta. Si era tolta la vita con dei barbiturici. Dorotea non riuscì a superare lo shock. Ancor meno quando ritrovò nella stanza della sua padrona un’altra lettera ben custodita di Piergiorgio Serafini, datata a qualche anno fa. Venne a sapere che l’uomo aveva scoperto, quando erano ancora sposati, di avere una malattia terribile e con poche possibilità di sopravvivenza. Non aveva mai avuto il coraggio di riferirlo alla sua amata moglie, perché nel frattempo questa lottava con la sua cecità imminente. La donna aveva pensato che in tutti quegli anni l’uomo la lasciò semplicemente perché era stanco di lei. Dunque ipotizzava dei tradimenti anche precedenti alla loro rottura. Ma dopo anni, le aveva riscritto. Aveva passato la sua vita a curarsi, invano. Ormai i medici non gli davano che pochi anni. Poi Dorotea aveva letto l’ultima sua lettera a Regina, dove l’uomo le chiedeva un’altra possibilità, le dichiarava il suo amore. La povera donna non aveva sopportato il senso di colpa. Aveva passato tutti quegli anni ad allontanare il suo unico amore, a essere certa che lui l’avesse lasciata per avere una vita più libera, magari con più donne, e senza la responsabilità di dover badare a un’invalida. Quell'uomo aveva sofferto tanto quanto lei, “ora possiamo ricominciare” aveva scritto, nonostante la veneranda età di entrambi. La vita dell’uomo si spense la mattina seguente la tragica scomparsa dell’amata.