Lettera a un padre
Inviato: 12/01/2020, 19:11
Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.
Volgo lo sguardo e ti vedo.
Istintivamente allungo il braccio cercando di raggiungerti ma sei troppo distante.
Dormi, un sonno agitato; sento il tuo respiro profondo e mi viene da sorridere. Solo tu puoi addormentarti in una situazione del genere.
Mi domando da quanto tempo siamo dentro questa stanza.
Guardo l’orologio appeso al muro e mi accorgo che è quasi un nuovo giorno.
Buona notte, papà.
Il sonno per me non arriva e la mente è intasata di pensieri.
Sento rumori lontani mentre guardo assorta i giochi di luci ed ombre che danzano attorno a noi. Sdraiata in questo comodo letto bianco cerco di tirare alcune somme, cerco il più razionalmente possibile di fare un bilancio della mia vita.
Ne ho fatti tanti di errori e sono consapevole di non essere stata la figlia che tu, forse, avresti meritato.
Al solo pensiero le lacrime iniziano a rigarmi il volto. Così mi ritrovo a piangere silenziosamente cercando di soffocare i singhiozzi nella coperta di lana. Piango per te. Per noi.
Come abbiamo fatto ad arrivare a questo punto?
Da troppo tempo non siamo che sconosciuti; con lo stesso sangue, con gli stessi tratti somatici e, nonostante nessuno dei due lo ammetterà mai, con lo stesso schifoso carattere.
Alcune volte ti ho odiato e di questo, solo ora, mi vergogno immensamente.
Odiavo la tua assenza quando per giorni interi eri lontano da casa, odiavo la tua presenza quando tornavi.
In alcune occasioni ti avrei voluto accanto, speravo ti sedessi accanto a me e mi chiedessi come stessi, che cosa mi passasse per la testa. Ma non facevo altro che risponderti stizzita non ho niente le poche volte che lo facevi.
Credevo, insomma, di essermi abituata alla tua assenza, a non vederti quasi fossi un fantasma. Ero proprio una stupida.
Il tempo non passa mai. Mi rimbomba nella testa l’odioso ticchettio dei secondi che trascorrono. Mi manca l’aria e così guardo la finestra come se potessi aprirla con la forza della mente.
Nonostante la stagione il cielo è limpido; riesco a vedere alcune stelle luminose, la scia di un aereo diretto chissà dove e una bianca luna. Il suo chiarore illumina la stanza evidenziando tutte le imperfezioni e le rughe che ormai segnano il tuo volto.
Per la prima volta mi soffermo ad osservarti con attenzione e mi stupisco nel vederti così invecchiato. Quanto tempo che abbiamo sprecato a litigare per piccole, stupide inezie.
Anche se nonostante i miei malumori e i miei silenzi mi hai sempre guardata da lontano e protetta. Come una roccia che non vedi, sommersa dall’ acqua, ma alla quale sai che puoi aggrapparti per trarti in salvo laddove il mare si increspi improvvisamente.
Tu un osservatore lontano, discreto. Tu che chiedevi agli altri cosa facessi. Ed io che scioccamente mi disinteressavo di come il mio atteggiamento potesse farti stare.
Ma ora il destino mi ha dato un’opportunità.
Quando il medico annunciò che c’era compatibilità e che il trapianto poteva essere eseguito capii che era giunta la mia occasione per dimostrarti il mio amore. È l’ora di mettere da parte l’orgoglio, senza scuse. Perché la vita è una e noi meritiamo una seconda possibilità. Non ti lascerò andare senza averci provato. Perché, di fatto, non sono pronta a stare senza di te.
E chissà; usciti da qui noi due soli potremmo sederci ad un tavolo qualunque di un anonimo bar a raccontarci. Per cercare di ricominciare. Perché non è mai troppo tardi, non ci sono tempi giusti o luoghi perfetti per dare un abbraccio.
Li sento arrivare. I loro passi rimbombano nel corridoio silenzioso. È arrivato il momento mi dico.
Tu mi guardi e mi sussurri a dopo tesoro. Una lacrima ti riga la guancia e imbarazzato come un ragazzino colto con le mani nella marmellata la scacci velocemente come se ci fosse vergogna nel manifestare emozioni.
Mentre ci portano via riesco a sfiorarti la mano.
Neanche in questo momento riusciamo a dircelo ma, forse, per la prima volta, non occorre. Ci guardiamo e tutti gli errori di questi anni magicamente svaniscono.
A dopo, papà.