La luce dell'est
Inviato: 23/01/2020, 21:09
Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.
A quell’ora non c’era in giro nessuno e impiegai solo mezz’ora per arrivare alla riserva. Proprio per la sua vicinanza a Milano ne ero diventato socio, affrontando un costo annuale non indifferente. Tuttavia il lavoro non mi concedeva tregua e, da almeno un mese, non riuscivo a trovare il tempo per una sana giornata di pesca.
Ma quel giorno, che mi ero ritagliato con molta applicazione e alcune bugie, era tutto mio e l’avrei sfruttato sino all’ultimo minuto. Dall’alba al tramonto con la canna in mano, a pranzo un panino in barca, a cena in un’osteria con un bel brodo caldo e del bollito. A meno che il destino non avesse deciso diversamente, nel qual caso avrei cambiato in parte il programma. Fra poco l’avrei saputo.
Mi fermai a far colazione nell’unico bar del paese, dove lavorava la cameriera slava con la quale ero uscito alcune volte l’anno prima. Da qualche tempo mi era tornata una gran voglia di tenere ancora fra le braccia il suo corpo tenero e minuto, e gli amici mi avevano assicurato che stava ancora lì.
Invece dietro al banco c’era solo la coppia odiosa sulla sessantina che gestiva il locale. Quando domandai dove fosse Malinka, ebbero ambedue un moto di stizza.
«Ieri mattina sono salito in camera sua perché non si decideva a farsi vedere» disse il marito «ma ho trovato solo i suoi quattro stracci.»
«Proprio una grandissima stronza!» ribadì la moglie «Sparita senza darci neppure un minimo preavviso, così ora siamo nella merda!»
L’accenno alla merda, mentre stavo bevendo il caffè, mi disturbò e uscii lasciandolo a metà. Nulla di grave, tanto faceva schifo. Era autunno e, dopo gli ultimi giorni di pioggia, c’era odore d’erba marcia e di funghi. Le foglie per terra erano bagnate e appiccicate l’una all’altra.
Arrivai in auto al cancello della riserva, lo aprii e percorsi la strada fangosa, lungo i campi di granturco spogli, sino al capanno dove mi cambiai e salii sulla mia barca ormeggiata al pontile.
Andai deciso contro corrente sino alla lanca che avevo in mente, dove buttai l’ancora.
Si tratta dell’unico luogo della riserva ad essere raggiunto da una strada sterrata, che solo i guardiapesca e i dipendenti del Parco sono autorizzati a percorrere in auto. Proprio vicino alla spiaggia c’è un canneto, poi l’acqua diventa subito fonda. Il luogo ideale per i lucci, e infatti l’ultima volta che c’ero stato ne avevo perso uno da record.
Chi non c’è mai stato non può immaginare il fascino e la magia del Ticino in una giornata autunnale. La luce si diffonde morbida, mentre un sole quasi bianco sale lentamente a est. Sembra sparire e ricomparire nel cielo, nascondendosi come in un gioco di prestigio dietro ai veli sottili della foschia mattutina, fra i voli alti degli uccelli migratori. L’acqua morta della lanca guarda con invidia quella veloce della corrente, che senza sosta fugge verso il mare lisciando i ciottoli del fondo come gioielli. Nel cuore scende una gran pace venata di tristezza perché sul fiume, in questo periodo dell’anno, non può essere che così.
Indossate le cuffie, scelsi sul cellulare la musica giusta per quel luogo e quel momento, il blues. Fatto di soli tre accordi, rimane per qualche battuta sul primo, quindi si sposta sul secondo facendo balenare la speranza di un cambiamento, ma poi torna indietro deluso. Cerca ancora di reagire sul terzo, ma infine si arrende al suo destino e ricomincia il giro sino a che non muore.
Pensando che avevo sbagliato a fare il commercialista, quando avevo l’animo e la sensibilità di un poeta, montai del filo molto grosso e la mia esca artificiale preferita, quella che non perdona. Porta anche fortuna, e per nulla al mondo l’avrei mai lasciata impigliata da qualche parte sott’acqua. Tant’è vero che ero riuscito a riprendermela decine e decine di volte, anche quando si era cacciata in guai grossi.
Cominciai a lanciare, recuperando a scatti per dare al predatore l’impressione che si trattasse di un pesciolino ferito. Mi giunse il rumore di un ramo calpestato, di sicuro qualche animale. Guardai verso riva, ricordandomi di quando Malinka mi aveva raggiunto lì, per la prima volta soli insieme.
Era fine estate e l'avevo vista arrivare in bicicletta affannata e accaldata, con i capelli sciolti biondissimi. Avevamo fatto un giro a tutto gas, come mi aveva chiesto. Indossava un paio di stivali col tacco, non proprio da barca, e il vento della corsa aveva colorato il suo volto di rosso acceso, come fosse divorata dalla febbre.
Ci fermammo su un’isola dove baciai a lungo le sue labbra rosa, sussurrandole parole tenere, e facemmo l’amore su una coperta, nascosti dietro una macchia di arbusti. Notai dei segni sul suo corpo e gliene domandai il motivo.
«Quel maiale di padrone!» rispose col suo accento straniero «Quando moglie va qualche giorno da sorella, viene in camera mia a fare suoi porci comodi. È violento, a lui piace così!»
La guardai con aria comprensiva e lei proseguì.
«Però non fare niente, prego. Può essere peggio per me!»
Non c’era però bisogno di dirmelo. Per principio evito di mettermi contro certa gentaglia, non è mai salutare.
La riportai a terra, sicuro che nessuno ci avesse visto. Le volte successive andammo in qualche motel, dato in zona c’è solo l’imbarazzo della scelta. L’ultima volta, invece, mi venne voglia di portarla a cena in un ristorante nei dintorni di Pavia, lontano dai miei soliti giri, dove nessuno poteva conoscermi. Fu un grosso errore, perché fraintese il gesto pensando che la nostra relazione stesse prendendo una piega invece impossibile. Forse si stava addirittura innamorando, così dovetti spiegarle che per me non rappresentava altro che un piacevole passatempo. Anche se spesso non portavo la fede, ero felicemente sposato con un figlio piccolo.
Non la prese bene e in macchina pianse a lungo silenziosamente, cosa che mi fece incazzare di brutto e la maltrattai forse un po’ troppo. Mentre l'auto partiva, la vidi nello specchietto retrovisore e mi restò in mente il suo sguardo ferito e incredulo. Mi ero sentito quasi malvagio, ma che altro avrei potuto fare?
Mi riscossi dai miei pensieri perché avevo agganciato qualcosa di molto pesante. Per l’assenza di strattoni, capii subito che non era un pesce, e tirai con tutta la forza che avevo per recuperare la mia preziosa esca. Rimasi attonito, e mi mancò il respiro, quando vidi appena sotto il pelo dell’acqua il volto di Malinka che mi fissava. Era semicoperto dai capelli che ondeggiavano e i pesci avevano già cominciato a darsi da fare, ma si trattava proprio di lei, o meglio del suo cadavere. Ecco perché aveva lasciato le sue cose nella stanza, pensava di tornarci. Ma non aveva potuto, come testimoniava lo squarcio sulla sommità del capo. Quindi l’assassino l’aveva buttata nella lanca, il posto ideale per sbarazzarsi in fretta di un corpo.
Stavo per chiamare col cellulare i Carabinieri, che in mezz’ora o poco più sarebbero arrivati, ma poi pensai che avrei dovuto andare in caserma per il verbale, perdendo tutto il giorno, e mi avrebbero sicuramente chiesto se la conoscevo. Negare sarebbe stato stupido, anche perché mi ero vantato con alcuni amici fidati della conquista, e mi avrebbero guardato con sospetto. Prima o poi sarei riuscito a dimostrare la mia estraneità, ma nel frattempo qualcosa sarebbe trapelato, e nella mia posizione non me lo potevo permettere. Così presi l’unica decisione possibile. Recuperai il mio artificiale, tagliando con le forbici da pesca la stoffa dov’era impigliato, e la lasciai andare.
La luce e le onde leggere provocate dello scafo sembrarono giocare con il suo volto diafano, allargandolo e rimpicciolendolo, mentre si inabissava e scompariva lentamente nel buio. Qualcun altro, prima o poi, l’avrebbe trovata, o magari sarebbe venuta a galla da sola, e la giustizia avrebbe seguito il suo corso senza disturbarmi.
Proprio in quel momento la campana di una chiesa lontana iniziò a suonare e i rintocchi rotolarono pigri sul fiume sino a me. Sembrava proprio una sepoltura e recitai a bassa voce la preghiera dei morti, perché sono un buon cattolico e vado a Messa quasi tutte le domeniche.
Poi salpai l’ancora e andai a pescare molto lontano, nella parte opposta della riserva.