La combinazione del Peyote
Inviato: 05/02/2020, 22:30
Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.
Corre voce che “la combinazione del Peyote” sia un miscuglio fatto di colla di calzolaio, semi di Gorilla Glue e qualche altro mistero chimico dagli effetti apocalittici. Un intruglio esplosivo, commisurato al prezzo: il 20% dell’incasso del turno di notte.
Sono le ore 3 e 15 minuti esatti quando il display s’illumina e il cicalino segnala la corsa. La città è deserta e in due minuti sono all’indirizzo. Sale un tizio qualsiasi, che si siede davanti, di fianco a me. Almeno così ho creduto, perché cento metri più avanti m’accorgo che invece è seduto dietro e che è un nano. Sono confuso. Comincio a guardarlo dal retrovisore e lui se ne accorge. Allora anche lui comincia a fissarmi.
Sto per domandargli cosa ci faccia lì dietro, visto che si era seduto davanti, invece è lui a parlare per primo: - Non lo accende il tassametro?
- Cazzo… Mi scusi!
Eppure ero sicuro di averlo acceso.
Le sostanze che a volte assumo trasformano le percezioni, questo sì, ne alterano l’intensità, d’accordo. Ma non mi rendono un visionario o uno sciroccato. Non è LSD. Quindi non riesco a spiegarmi cosa stia accadendo. Quando quest’uomo è salito a bordo era salito davanti e non era un nano. Ne sono certo. Vorrei dirglielo senza sembrare allucinato, ma di nuovo lui mi anticipa: - Non sarà mica uno di quei tassisti musoni? Il percorso è abbastanza lungo, parliamo di qualcosa, vuole?
- Certo, perché no?
Adesso ho l’impressione di viaggiare alla velocità di un razzo. Il mondo si distorce al mio passaggio. Mi volto indietro a guardare il cliente, voglio leggere il terrore nei suoi occhi e vedere la sua espressione mentre ci schiantiamo in tangenziale e diventiamo poltiglie al sugo, spappolate sul cruscotto. Invece quello ha un’espressione così serafica da convincermi che la velocità è solo un’illusione. Infatti sto guardando dietro, eppure non ci schiantiamo. Rimango a guardarlo aspettando che urli “guardi avanti!” Ma non lo fa. Sorride invece.
- Parliamo del senso della vita. Qual è il senso della nostra esistenza, secondo lei?
Parlare del senso della vita in una notte di ferragosto, imbottito di droga dentro un abitacolo con un nano del cazzo. Riesce difficile immaginare qualcosa di più onirico.
- Non è proprio semplice, dico.
- Provi.
- Trovare delle risposte?
- Interessante. Ma a quali domande?
- Non saprei…
- Provi.
- Forse è proprio trovare delle risposte a domande come la sua, domande come: “qual è il senso della vita?”
- Forse.
- E lei ne ha trovate?
- Cosa?
- Di risposte alla domanda dico, ne ha trovate?
- No.
- Ne è certo?
- Una, forse.
- Sarebbe?
- Il senso della vita è qualcosa di così immenso e profondo, che sarebbe davvero da sciocchi pensare di coglierlo. Non crede?
Non rispondo, forse ha perfino ragione. Ai miei lati la città sfreccia in mille colori stonati, luci allungate dall’eccesso di velocità. Sembra la mostra sul futurismo che ho visto la settimana scorsa. Mi dico che non è grave, che siamo ancora nell’ambito delle sensazioni. La velocità, non è forse una percezione? Poi però guardo di nuovo nel retrovisore e quel che vedo non è più soltanto un’impressione: quell’uomo ha indossato una strana maschera bianca, da clown. No, non proprio da clown, ma da marionetta. Meglio ancora, non è una maschera… quell’uomo non è più un uomo, è diventato una marionetta. Trasfigurato. È di legno. E – insisto - lo è davvero, non soltanto nel mio mondo tossico di percezioni alterate dalla chimica. Questo deve essere chiaro.
Mi dice: - non è forse per questa ragione che lei si droga?
Fa caldo, non ho dubbi neanche su questo. Ma quando la marionetta parla, dalla sua bocca esce del fumo della stessa consistenza del vapore generato dall’alito caldo a contatto con l’aria fredda.
Cosa diavolo sta succedendo? Decido di mischiare le carte. Concentro tutta la pressione che posso sul piede destro e pigio sul freno come un ossesso. Tutto quel che ottengo è rendermi conto di un’altra stranezza. La marionetta non è più da sola, ma con la sua famiglia. Sul sedile posteriore adesso ho quattro marionette. Padre, madre e due figli. Mi fissano.
Sbotto a ridere. Quale avveniristico allucinogeno mi ha rifilato il Peyote?
- Cazzo! siete in quattro adesso!
- Siamo sempre stati in quattro, signore.
- E se ora freno bruscamente?
- Cosa?
- Diventerete otto?
Si guardano come se avessi detto una cazzata e cominciano a parlottare tra loro. Sembra parlino una strana lingua. Forse Amish, uno strano dialetto tedesco. Mentre parlano mi accorgo che in effetti non sono quattro, perché ci sono anche altre piccolissime marionette che camminano sul sedile posteriore. Non le avevo notate prima, forse per le loro dimensioni molto ridotte, più piccole di un playmobil.
- Ma quanti siete là dietro?
- Non c’è nessuno qui dietro signore. Siamo tutti nella sua mente.
Giorni fa ho letto un libro sul Biocentrismo. Non ci ho capito molto, però cercava di convincermi che nulla esiste davvero, al di fuori del mio pensiero. Forse il nano (è un nano, una marionetta di nano) mi sta dicendo proprio questo? Ma se così fosse, anche lui, il nano – la marionetta, il clown, quel coso insomma – esisterebbe solo nella mia testa.
A questo punto comincio a vedere marionette ancora più piccole camminare anche sul cruscotto. Qualche impulso proveniente da qualche parte nel mio cervello mi ordina di strizzare forte le palpebre, fino a farmi male.
Poi riapro gli occhi. Sono ancora lì. Sempre più numerosi.
- Ma quanti cazzo siete?
- Prima che tutto questo divenga il manifesto di un nuovo esistenzialismo, o forse una specie di teatro dell’assurdo, si fermi che siamo arrivati.
Fermo la macchina e ho la sensazione di non essermi mai mosso, di essere già fermo da chissà quanto tempo. Mi volto un’ultima volta e di nuovo la marionetta è sola. Dove sono finiti sua moglie e i suoi figli? E tutte le altre marionette più piccole?
- Allora quanto le devo?
- Mi deve una spiegazione. E che sia convincente.
- Bene. Tenga pure il resto.
Mi porge qualcosa. Mi caccia qualcosa in mano. Qualcosa di reale che non sono soldi. Non riesco ad aprire la mano finché non è sceso dall’auto e la portiera si è richiusa. Allora l’apro di scatto. È una marionetta. Nella mia mano c’è una piccola marionetta di legno bianco. Una cazzo di nano-clown-marionetta. Uguale a tutti gli altri, ma diversa: ha le mie sembianze, la mia faccia. Sono io.