La parte degli angeli
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La parte degli angeli
E quel titolo, che è pura poesia, è una gigantesca metafora che riassume tutta l'opera.
Che è ambientata nella Scozia proletaria tanto cara a Loach, dove un manipolo variegato di morti di fame, monadi nomadi che si oppongono al globalismo quasi d'istinto, senza arte né parte, né speranza, inseguiti da una giustizia ingiusta incontra il whisky. Che non serve solo ad ubriacarsi, come prima avevano creduto. Uomini e donne scoprono la materia, ossia il lavoro che serve a trasformare elementi naturali in materia costruita ma viva. E si appassionano, e cambiano dentro, mutano il loro rapporto con il mondo attraverso la scoperta del lavoro e la possibilità di trasformare le cose. Cessano di essere dei consumatori ciechi.
Ma siccome il nostro Loach è un grande e sa bene come stanno le cose a questo mondo, non si limita a fare il solito film all'americana tipo Alla ricerca della felicità: dove basta impegnarsi, lavorare duro, per farcela. Dove la volontà batte sempre la necessità.
Ma Loach lo sa, per i poveri, per i derelitti, per i senza mestiere, il whisky, il lavoro, la passione, non offrono redenzione, ma sconfitte e sconforto. Nel mondo reale il whisky è solo un prodotto industriale fabbricato da multinazionali.
E quindi a questa banda allegra e importuna non rimane che la parte degli angeli, che grazie a Ken Loach ho scoperto cosa sia.
Re: La parte degli angeli
A parte gli scherzi, secondo me Loach dà il meglio di sé quando (in "Terra e libertà") parla della guerra civile spagnola e del tradimento dell'URSS ai danni delle classi subalterne spagnole del Fronte Repubblicano, o quando parla dei crimini dei fascisti sudamericani foraggiati dalla CIA ("La canzone di Carla"), fino ad arrivare al suo capolavoro "Il vento che accarezza l'erba" di cui ho già parlato.
Il maggior numero di film di Loach sono ovviamente dedicati alla situazione sociale in patria, in particolare del proletariato e sottoproletariato, le cui condizioni di vita sono precipitate dalla Thatcher in poi.
In "Riff-Raff", "Piovono pietre" e "Il mio nome è Joe" mi pare che il regista riesca di più a fornire un quadro d'insieme della vita delle persone, così lontano dai film plastificati di Hollywood o dai filmetti nostrani girati grazie agli amici degli amici.
Un saluto a alla prossima
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Re: La parte degli angeli
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Re: La parte degli angeli
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Re: La parte degli angeli
Un film delizioso, dicevo, a partire dal bel titolo e dalla bella similitudine che lo sottende (quel 2% di essenza che il whiskey perde nella botte nel corso del processo di invecchiamento), e tuttavia, proprio perché trattasi dell’opera di un regista come Loach, a me ha lasciato un retrogusto amaro, di rassegnazione, di resa, di sconfitta, laddove a tutti gli effetti sembra che il lieto fine oramai consista nella semplice acquisizione di un lavoro, nell’anche sofferta ottemperanza ai doveri che implica il proposito di crearsi una famiglia, e la nuova condizione di paternità.
Ebbene, mi dispiace per Loach (tanto manco mi conosce) ma questa volta non stiamo dalla stessa parte. Non voglio dire che avverso la retorica familiare e tutto il corollario di speranza che la sottende, ma certo non spenderò mai una parola (vabbè, si fa per dire, mai dire mai) per sponsorizzare una nuova nascita, principalmente perché mi sono sempre riproposto di non sollecitare negli altri azioni che io non sono disposto a compiere, e di questi tempi (parlo di quelli precedenti all’esplosione del covid, quindi figuriamoci adesso), non vorrei mai generare altra sofferenza, a costo di sacrificare la speranza. Dico questo pur essendo tutt’altro che insensibile al potenziale emotivo di una convivenza familiare, ma a questo proposito confesso di aver apprezzato molto di più il modo in cui lo stesso soggetto viene proposto nel film che ho visto e commentato in precedenza, Manbiki Kazoku – Un affare di famiglia, dove vengono posti tutti i dubbi e le contraddizioni del caso, senza offrire illusori finali lieti e soprattutto circoscritti a pochi individui fortunati e avveduti (uno su quattro, in questo caso, ma pensavo proprio, guarda caso, al da me odiatissimo e citato da Namio “La ricerca della felicità” di Muccino).
Vabbè, non è che mi scandalizzi poi più di tanto questa vena buonista di Loach. Con l’età che avanza, si sa, ci si ammorbidisce e si diventa sentimentalisti. Fra qualche anno, se sarò ancora vivo, mi riprometto di scrivere qualcosa tipo “Una casa nella prateria”, daje.
Comunque, lo ripeto, il film è ben fatto e molto piacevole da vedere, e la recensione di Namio mi offre un punto di vista che stempera in me la vena polemica di questa mia. Vabbè, metabolizzo e magari cambio idea, chissà. Non sarebbe né la prima né l’ultima volta.
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Re: La parte degli angeli
Secondo me centrale in Loach rimane il tema del lavoro. Quel che ho visto, o ricordo di aver visto, è l'indicazione della strada maestra: la realizzazione delle proprie aspettative attraverso il lavoro; e non un lavoro qualsiasi, ma un lavoro che è "poiesis", cioè trasformazione della materialità naturale attraverso l'opera della propria conoscenza e delle proprie mani. Questo secondo me il nocciolo duro della poetica di Loach. Il tema della famiglia francamente mi è sembrato marginale, un espediente narrativo per dare il via al flusso degli eventi e per indirizzare la narrazione verso un punto in cui possa risorgere speranza in maniera, forse hai ragione, un po' buonista. Ma, a differenza delle altre sue opere, non bisogna dimenticare che questa rimane una commedia.
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Re: La parte degli angeli
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In una tranquilla cittadina del Nord Italia, gli abitanti rivedono se stessi da giovani. Il CICAP vuole vederci chiaro e ingaggia un reporter specializzato in miti e misteri. Però anch'egli viene suo malgrado coinvolto in qualcosa di altrettanto assurdo, infatti appare dal nulla una misteriosa fotografia Polaroid che lo ritrae in una circostanza mai esistita.
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