Operazione "provviste" al tempo del Coronavirus
Inviato: 17/03/2020, 12:53
Ho deciso.
Dopo quasi dieci giorni chiusa in casa, uscirò per fare la spesa. Ho la sensazione che quello che sto per compiere sia un gesto di valore epocale, qualcosa da cui dipende il benessere del mondo, così mi voglio preparare bene.
Da settimane, ormai, la Rete è diventata la mia consulente/amica/informatrice. Ho imparato a memoria cosa si può e non si può fare, sentendomi molto integerrima mentre leggo sui social gli insulti verso chi fa corse nei parchi o si riversa nelle stazioni ferroviarie per fuggire dalle città blindate.
Ok, è anche vero che io sono in una situazione più fortunata, relegata in una casa mia, con comodità e interessi che fanno di questo periodo una vacanza beata più che una quarantena, ma mi mancano certi contatti. Non è che puoi sbaciucchiare lo schermo del cellulare durante una video chiamata e, anche se la risoluzione è perfetta, ti manca sentire il tepore della pelle di qualcuno mentre le dita ne carezzano il viso, racchiuso al di là del vetro.
Ecco perché, di questi tempi, anche fare la spesa è diventato un avvenimento da pianificare con strategia. Non sono proprio alla fame, in dispensa ho contato scatolette di tonno, due pacchi di pasta, fagioli in barattolo, un vasetto di miele e uno di pesche sciroppate, in freezer c’è della carne e della verdura cotta, preparata con giudizio quest’estate. Però ho finito il pane, il latte, le uova e la frutta fresca.
Non mi azzardo ad andare dove vado di solito, dovrei prendere l’auto, e quindi passare a fare carburante, compiendo un giro di qualche chilometro. Sono sicura che qualche “divisa” mi aspetta all’angolo, per interrogarmi sulla mia uscita, considerando che c’è un negozio di alimentari proprio davanti a casa mia, dall’altro lato della strada.
Da giorni, quindi, esamino dal terrazzo l’afflusso di clienti per scegliere il momento migliore, cioè il più deserto. È un negozietto e non fa orario continuato, va bene per le emergenze, o per gli anziani del paese, quelli che vanno solo a piedi.
Dopo attenti controlli, ho predisposto per oggi il giorno X.
Ho stilato una lista, ripercorrendo a memoria gli scaffali, per essere veloce e incisiva. Cercherò di contenermi, perché non posso riempire un carrello con libertà incosciente, tanto dopo carico tutto nel bagagliaio dell’auto. Sono a piedi, stavolta, e la spesa la devo portare con le braccia.
Infilo due sporte di stoffa nella borsa, controllo i soldi, indosso la mascherina ed esco dall’appartamento. Scendo guardinga le rampe di scale, pronta a spalmarmi sul muro, nel caso incontrassi qualche vicino. Arrivo fino al cancello, senza imbattermi in anima viva, esco e mi trovo in strada. Inutile guardare a destra e a sinistra, posso attraversare, non c’è nessuno.
Vado a prendere un carrello e, mentre infilo la moneta per sganciarlo, scruto con sospetto il punto dove devo afferrarlo con le mani. Quanti l’hanno toccato prima di me? Riesco a immaginarmi mille Coronavirus che saltellano felici in una specie di party tutto loro. Mi concentro, al fine di non toccarmi occhi, naso e bocca finché non arriverò a casa e potrò lavarmi le mani.
Le porte del negozio si spalancano al mio arrivo e mi prende un senso d’ansia. È da un po’ che non ci venivo, in questo posto, ma non lo ricordavo così stretto e piccolo. I corridoi tra la frutta non lasciano passare neanche il carrello. Laggiù ci sono bei sacchetti di mele, calma, le mele pesano quintali se devi portarle a mano, meglio dei mandarini.
C’è un nonnetto alle prese col sacchettino per la frutta che non si apre. Eh, sottili e pressati come sono è sempre un’impresa, fino a qualche tempo fa ti leccavi due dita e il gioco era fatto, ma ora? Non mi azzardo nemmeno ad aiutarlo, è senza mascherina e si schiarisce la gola in modo sospetto.
Mentre cerco dei cracker o del pane in sacchetto, mi sorpassa una coppia, lei con mascherina, lui no, entrambi dai capelli argentati. Si fermano a poca distanza, davanti ai latticini e discutono, perché non sono d’accordo sui formaggi da prendere.
Mi infilo nel corridoio a fianco, tra i vasetti dei sottaceti e le spezie, aspettando che proseguano, ma mi raggiunge quello della frutta, perciò giro verso il corridoio dei vini e dei liquori. Qui non mi serve niente, quindi, con un'altra giravolta, mi infilo tra pannolini e omogeneizzati e mi rendo conto che la mia strategia di movimento è andata a farsi benedire. Attendo con pazienza e torno dai formaggi, dato che la coppia si è spostata verso gli affettati.
Ecco là una signora che conosco di vista, senza mascherina pure lei, d’altronde non credo che a ottant’anni stia col naso su Internet a informarsi continuamente sulla situazione, inoltre mi dà l’idea di essere quel tipo di donna che non cambia la sua routine per qualcosa che, dopotutto, non si può neanche vedere. È già alla cassa, perché ha comprato solo le uova! Ho il sospetto che tornerà nel pomeriggio, per la farina.
Ripasso la mia lista e misuro a occhio il peso della roba nel carrello, ci starebbe ancora qualcosa. Mi sento molto virtuosa, mantengo rispettosamente le distanze, nessuno mi guarda male e, con la mascherina a coprirmi le rughe, potrei togliermi una decina d’anni.
Avanzo verso la cassa con fierezza, ho comprato saggiamente senza lasciarmi tentare da inutili offerte, rispettando le linee guida che mi ero posta.
Perdo la guerra negli ultimi metri, quando mi giro verso l’ultimo scaffale, quello della cioccolata. Afferro quattro tavolette di fondente con uvetta e nocciole e, prima di pentirmene, la mia mano le posa già sul nastro trasportatore della cassa.
Il ragazzo, in guanti e mascherina, mi guarda, incuriosito.
— Sa, per i bambini… — mento, spudoratamente.
Dopo quasi dieci giorni chiusa in casa, uscirò per fare la spesa. Ho la sensazione che quello che sto per compiere sia un gesto di valore epocale, qualcosa da cui dipende il benessere del mondo, così mi voglio preparare bene.
Da settimane, ormai, la Rete è diventata la mia consulente/amica/informatrice. Ho imparato a memoria cosa si può e non si può fare, sentendomi molto integerrima mentre leggo sui social gli insulti verso chi fa corse nei parchi o si riversa nelle stazioni ferroviarie per fuggire dalle città blindate.
Ok, è anche vero che io sono in una situazione più fortunata, relegata in una casa mia, con comodità e interessi che fanno di questo periodo una vacanza beata più che una quarantena, ma mi mancano certi contatti. Non è che puoi sbaciucchiare lo schermo del cellulare durante una video chiamata e, anche se la risoluzione è perfetta, ti manca sentire il tepore della pelle di qualcuno mentre le dita ne carezzano il viso, racchiuso al di là del vetro.
Ecco perché, di questi tempi, anche fare la spesa è diventato un avvenimento da pianificare con strategia. Non sono proprio alla fame, in dispensa ho contato scatolette di tonno, due pacchi di pasta, fagioli in barattolo, un vasetto di miele e uno di pesche sciroppate, in freezer c’è della carne e della verdura cotta, preparata con giudizio quest’estate. Però ho finito il pane, il latte, le uova e la frutta fresca.
Non mi azzardo ad andare dove vado di solito, dovrei prendere l’auto, e quindi passare a fare carburante, compiendo un giro di qualche chilometro. Sono sicura che qualche “divisa” mi aspetta all’angolo, per interrogarmi sulla mia uscita, considerando che c’è un negozio di alimentari proprio davanti a casa mia, dall’altro lato della strada.
Da giorni, quindi, esamino dal terrazzo l’afflusso di clienti per scegliere il momento migliore, cioè il più deserto. È un negozietto e non fa orario continuato, va bene per le emergenze, o per gli anziani del paese, quelli che vanno solo a piedi.
Dopo attenti controlli, ho predisposto per oggi il giorno X.
Ho stilato una lista, ripercorrendo a memoria gli scaffali, per essere veloce e incisiva. Cercherò di contenermi, perché non posso riempire un carrello con libertà incosciente, tanto dopo carico tutto nel bagagliaio dell’auto. Sono a piedi, stavolta, e la spesa la devo portare con le braccia.
Infilo due sporte di stoffa nella borsa, controllo i soldi, indosso la mascherina ed esco dall’appartamento. Scendo guardinga le rampe di scale, pronta a spalmarmi sul muro, nel caso incontrassi qualche vicino. Arrivo fino al cancello, senza imbattermi in anima viva, esco e mi trovo in strada. Inutile guardare a destra e a sinistra, posso attraversare, non c’è nessuno.
Vado a prendere un carrello e, mentre infilo la moneta per sganciarlo, scruto con sospetto il punto dove devo afferrarlo con le mani. Quanti l’hanno toccato prima di me? Riesco a immaginarmi mille Coronavirus che saltellano felici in una specie di party tutto loro. Mi concentro, al fine di non toccarmi occhi, naso e bocca finché non arriverò a casa e potrò lavarmi le mani.
Le porte del negozio si spalancano al mio arrivo e mi prende un senso d’ansia. È da un po’ che non ci venivo, in questo posto, ma non lo ricordavo così stretto e piccolo. I corridoi tra la frutta non lasciano passare neanche il carrello. Laggiù ci sono bei sacchetti di mele, calma, le mele pesano quintali se devi portarle a mano, meglio dei mandarini.
C’è un nonnetto alle prese col sacchettino per la frutta che non si apre. Eh, sottili e pressati come sono è sempre un’impresa, fino a qualche tempo fa ti leccavi due dita e il gioco era fatto, ma ora? Non mi azzardo nemmeno ad aiutarlo, è senza mascherina e si schiarisce la gola in modo sospetto.
Mentre cerco dei cracker o del pane in sacchetto, mi sorpassa una coppia, lei con mascherina, lui no, entrambi dai capelli argentati. Si fermano a poca distanza, davanti ai latticini e discutono, perché non sono d’accordo sui formaggi da prendere.
Mi infilo nel corridoio a fianco, tra i vasetti dei sottaceti e le spezie, aspettando che proseguano, ma mi raggiunge quello della frutta, perciò giro verso il corridoio dei vini e dei liquori. Qui non mi serve niente, quindi, con un'altra giravolta, mi infilo tra pannolini e omogeneizzati e mi rendo conto che la mia strategia di movimento è andata a farsi benedire. Attendo con pazienza e torno dai formaggi, dato che la coppia si è spostata verso gli affettati.
Ecco là una signora che conosco di vista, senza mascherina pure lei, d’altronde non credo che a ottant’anni stia col naso su Internet a informarsi continuamente sulla situazione, inoltre mi dà l’idea di essere quel tipo di donna che non cambia la sua routine per qualcosa che, dopotutto, non si può neanche vedere. È già alla cassa, perché ha comprato solo le uova! Ho il sospetto che tornerà nel pomeriggio, per la farina.
Ripasso la mia lista e misuro a occhio il peso della roba nel carrello, ci starebbe ancora qualcosa. Mi sento molto virtuosa, mantengo rispettosamente le distanze, nessuno mi guarda male e, con la mascherina a coprirmi le rughe, potrei togliermi una decina d’anni.
Avanzo verso la cassa con fierezza, ho comprato saggiamente senza lasciarmi tentare da inutili offerte, rispettando le linee guida che mi ero posta.
Perdo la guerra negli ultimi metri, quando mi giro verso l’ultimo scaffale, quello della cioccolata. Afferro quattro tavolette di fondente con uvetta e nocciole e, prima di pentirmene, la mia mano le posa già sul nastro trasportatore della cassa.
Il ragazzo, in guanti e mascherina, mi guarda, incuriosito.
— Sa, per i bambini… — mento, spudoratamente.