Il sapore del progresso
Inviato: 21/03/2020, 13:33
Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.
Ne vuole un sorso, un sorso-un sor-so-so-so-soh? Quella voce di donna, timbro androgino ma assertivo nelle intenzioni, striò d’oro e carminio le tenebre di Takeshi. Parole di satin gli frusciavano in testa e a sprazzi balenavano dettagli, pochi, giusto il filo d’una tibia tatuata, due labbra, le unghie di lei che sfioravano un flûte macchiato di rossetto alle camelie. Cos’è – le aveva chiesto – mentre vizioso già se la sognava coi polsi legati dietro la schiena, imbragata in un kinbaku perfetto. Haruhana, era stata felice di rivelargli, sfoggiando un sorriso biancatòmico, lo vendemmiano solo a Ōshima. I calici incrociati. Alla sua vittoria, mio caro, e che il Fronte ci traghetti verso il futuro. Kanpai!
Un brindisi. Tanto era bastato perché le chemio-luminescenze nelle iridi Zeiss-Canon della sconosciuta gli sfocassero davanti. Vapore e foschia, lingua torpida, un retrogusto di terriccio e amarene, poi il tonfo. È la fine – aveva pensato allora – e invece no. Paralisi. Lo volevano vivo. Due schiocchi. Tutto vostro. Tre uomini.
Alle spalle della ragazza i passi ovattati di gente senza fretta. Avevano di certo assoldato dei professionisti – tagiki, forse neo-siberiani. I migliori. Decine di occhi sulla scena, intanto, ma nel foyer non un brusio. No, meglio farsi gli affari propri e ciarlare dell’ultima dashboard di Hamlet, ho saputo che avvertirà le risorse umane della tua azienda se non ti presenti al lavoro, ci credi?
Il salone. Storielle da manager. Minuetti di flash e risate. Guilty Opheliac di Tito-M. a intrattenere gli ospiti. Bocche piene di tartine. Briciole sui tappeti, aloni sull’argenteria. Buon viaggio, Namura-san, augurava la donna, e lui le boccheggiava così vicino da sentirne il fiato floreale che gli solleticava le narici. Ormai non serbava alcuna percezione di sé, non della carne né delle ossa, era solo muco e sangue, ma ora – proprio come sangue da una vena recisa – la sua coscienza ruscellava piano fuori dal sopore, e appresso fluivano i detriti d’un corpo ottuso. Takeshi aprì gli occhi. La raccolta fondi non c’era più.
Fra teloni di plastica e ciuffi d’acciaio trovò un mondo sottosopra. Ovunque stalattiti di calcestruzzo. Ectoplasmi al diesel e neon cagliavano l’oblio quasi fosse latte, dall’oceano strillavano le procellarie e al solito, mugghiando sulla monorotaia, il rapido Kabuki-Petrovič spediva i golanera verso i loro cubicoli per un po’ di sonno, prima degli ennesimi turni killer agli stabilimenti Krabro.
Namura riconobbe il posto, un cantiere. L’avevano trascinato allo spurgatore di Minatokuchi, simbolo della sua lotta politica – un’impresa che avrebbe salvato migliaia di disoccupati grazie a nuovi posti di lavoro e a un radicale piano di sovvenzioni pubbliche. Con quel gesto, tuttavia, chi l’aveva rapito gli stava ordinando obbedisci… O nel tuo sogno ti ci seppelliamo. Uno smacco vergognoso. Lui non aveva mai perso in vita sua. Doveva vincere, sempre, che si trattasse di una partita a Rēzoglaz! oppure – con più urgenza – dell’elezione alla Sovrintendenza del Direttorio Unico Metropolitano. A Zarya Prospekt chiunque lo credeva il Messia – la moglie, i parenti, i compagni del Fronte Ashita, ma soprattutto i posledniye dalle unghie sozze di grasso che già lo acclamavano quale nuovo shōgun del proletariato. Straccerà l’Accordo Daiyō, confidavano gli oppressi dei Sub-Nul’, ci salverà dalla miseria. Soffocati dalla cenere dell’Oltre-Ves, dove sfarfallava un olo-Sol semiscarico, i padri vaneggiavano di rivoluzione, certi che – mentre Namura arringava folle di straccioni – il futuro non l’avrebbe succhiati via dalla Storia con la cannuccia.
Alle madri, nel frattempo, non restava che cullarsi al petto quei figli scarniti che avevano svezzato a piorrea e liofilizzati Yojimbo; ormai incapaci di allattare o permettersi un pediatra, erano però abili nel creare miti in cui un leader coraggioso pareva destinato all’eternità come le statue dell’ultimo Kim – colossi che, sulla soglia di una P'yŏngyang ridotta a zerbino radioattivo, ancora aspettavano il Sol dell’Avvenire.
Ma Takeshi Namura, il Timoniere del Domani, oggi penzolava dalle caviglie. Il suo stesso piscio, gocciolando dalla cravatta di vera seta, gli bagnava le labbra e si mescolava al retrogusto dei filetti di narvalo che fino a poco prima avevano deliziato gli ospiti del gala. Sapore di fallimento.
Ecce homo – avrebbero detto un tempo – quando gli déi camminavano tra gli uomini.
«Konbanwa, Namura-san» esordì all’improvviso una voce alle sue spalle «La trovo peggio del previsto» il tizio aveva lo stesso passo calmo dei sicari che l’avevano portato laggiù, nei bassifondi dalle notti artificiali e l’aria morta «Riesce a parlare?»
«Ho-» Takeshi annaspò «Ho sete.»
«Secchezza delle fauci. Effetto collaterale della Noxovalgina, temo. Forse la dose che le abbiamo somministrato aveva una concentrazione troppo alta. In tal caso, le mie scuse più sincere.»
«P-perché sono qui?»
«Diverse ragioni» asserì l’estraneo senza scomporsi «E la prima è che lei ha decisamente sbagliato mestiere» il figuro era sui trent’anni, aveva un lieve accento sàrmat e vestiva alla moda dei giovani rapaci del Metacentro – eyeliner nero e doppiopetto gessato Riefen-style «Eppure dovrebbe saperlo che in politica le promesse basta farle, non serve anche mantenerle.»
«Io non vendo fumo. Avevo detto che l’avrei costruito e-»
«E hanno subito alzato i ponteggi, certo. Certo» lo anticipò l’altro «Il che ci porta dritti al secondo problema. Sa, ai miei superiori non vanno affatto a genio i suoi metodi, Namura-san. Presagiscono a loro e a tutta la nostra manodopera, e a torto, che qui, dopo un secolo, possa tornare il Socialismo.»
«Il Direttorio e i cittadini d-devono» stentò Namura «Devono s-servire la società, non voi.»
«Noi?»
«Sì, voi… » insisté Takeshi «Il Capitale.»
«Il Capitale» l’altro gli rise in faccia «Namura-san, magari finora è stato troppo impegnato a giocare al signor Il’ič per accorgersene, ma l’aggiorno: è Zarya che serve il Capitale, non il contrario.»
«Il vostro… Tempo è scaduto» Takeshi tossì sangue «Non fermerete mai il progresso.»
«Assennata considerazione, sì, e proprio per questo abbiamo pensato di subentrare nel suo audace progetto urbanistico. La Sovrintendenza è già d’accordo» rivelò il giovane «Tuttavia, necessità ci ha imposto di apportare delle modifiche. Sono certo capirà, è per il nostro bene.»
«Come, c-come sarebbe?»
«Lo spurgatore verrà riconvertito a centrale limo-elettrica. La compagnia pagherà le spese.»
«Non potete. Non p-potete farlo.»
«E perché mai? A lei cosa toglie? I poveri dei Sub-Nul’ otterranno comunque i loro posti di lavoro.»
A quel punto, Namura s’urlò via i polmoni, nonostante fosse stremato e assetato, con la gola foderata di carta-vetro «Perché è il mio progetto, mio!» e gridando provò senza successo a divincolarsi dal gancio che lo teneva appeso «Questa è la mia eredità! Non avete alcun diritto di-»
«Siamo spiacenti, mi creda. Qualcuno morirà per le esalazioni dei liquami, lo sappiamo, ma a noi le fogne di Zarya Prospekt piacciono così» asserì il ragazzo «Non ci servono depuratori.»
«S-servono alla comunità, yatsu.»
«Da, compagno, ma se da ottant’anni siamo i leader del mercato c’è un motivo, e quel motivo è il nostro ingrediente segreto. Alla Ricerca & Sviluppo lo chiamano Stachybotrys Cloacale. Sa cos’è?»
«No, e non mi-»
«Un micro-organismo. Una muffa, meglio. Attecchisce sulle pareti degli scarichi a mare, e soltanto quando il livello dei bio-residuati – o melme, se preferisce – rimane costante. Dovesse calare il livello di limo, le spore che usiamo perderebbero nutrimento e noi miliardi di fatturato. Capisce?»
«È una… Una follia. Quanti n-ne moriranno così?»
«Dio, che melodrammatico» lo punzecchiò il damerino «Manipoliamo le mico-tossine da tempo, sono stabili. Non uccideranno nessuno. Lo Stachybotrys sviluppa solo una conveniente e sostenuta dipendenza nel consumatore» precisò «Tanto quanto Shibari e nicotina… Ma lei questo lo sa già.»
Namura iniziò a gridare. Strillò ai quattro venti chi fosse, cercava aiuto, soccorso, o più semplicemente un’anima che avvertisse subito la polizia. Non una luce s’accese nei cubicoli. Da Est a Ovest una routine caina asfissiava gli istinti dei Sub Nul’ – e con essi la spinta alla vera umanità.
«Su, su, abbia un briciolo di dignità o mi verrà fuori sgasato. Così rovina il sapore.»
«Q-quale sapore?» boccheggiò Takeshi.
«Il suo, Namura-san. Il suo. Abbiamo già segmentato i target di riferimento. I Millennials ostalgici e gli Zoomer anti-sistema sono perfetti. S’immagini le pubblicità, ora. Li vede? Li vede gli spot? Io sì. Koka-Kholat Akaslava, trenta deng’yen di rivoluzione. Sì, eccolo. Ecco il sapore del progresso.»