Granelli bianchi
Inviato: 24/03/2020, 16:34
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[attachment=0]granelli bianchi.jpg[/attachment]Eleganti auto nere ben lucidate, dai vetri oscurati, non sono mai ambasciatrici di buone notizie. Il maresciallo Primo Maroni ne ebbe conferma pochi istanti dopo aver visto, attraverso la finestra del suo ufficio, un uomo in alta uniforme intento a richiudere lo sportello posteriore dell'auto. Il maresciallo aguzzò la vista. L'aquila dorata, ricamata sullo sfondo rosso del fregio posto al centro del berretto, lasciava intuire la presenza di un generale.
Il maresciallo decise di non farsi prendere dal panico, tornò alle sue cose, sedendosi ritto sulla propria poltrona.
Poco dopo, qualcuno bussò alla porta.
«Avanti.»
Sull'uscio spuntò la faccia dell'appuntato Nardò, un sorriso imbarazzato, balbettando disse: «Signor maresciallo, scusi il disturbo. È appena arrivato, direttamente da Roma, il generale Pietrasanta, comandante del Ros.»
«Fallo entrare, che aspetti.»
Nardò aprì completamente la porta; il generale fece il suo ingresso, mentre Maroni, alzatosi in piedi, eseguì alla perfezione il “saluto ai superiori”.
«Riposo.» Disse automaticamente il generale Pietrasanta.
«A cosa devo la sua visita, generale?» Chiese il maresciallo Maroni cercando di darsi una parvenza serena.
«Maresciallo Maroni, ormai sono tre anni che ricopro la mia carica. Quello che più mi sta a cuore è l'onestà, la giustizia e la lotta contro la criminalità organizzata.»
«Sono tutti ottimi propositi, alla base del nostro mestiere, oserei dire.»
«Appunto. Conosceva il signor Mounier?»
La domanda spiazzò momentaneamente Maroni; dopo qualche istante di esitazione rispose: «Certamente. Tutti conoscevano Mounier in Borgobello.» Quella affermazione gli fece tornare alla mente il fattorino, Cristoforo. Per un attimo si sentì sotto interrogatorio.
«Potrebbe mettere la mano sul fuoco per lui, sulla sua onestà, sulla sua filantropia?» Scandì bene le parole.
«Be', non capisco dove voglia arrivare, generale.»
«Vengo subito al dunque», il generale si posizionò sul bordo della sedia, accavallò le gambe e incrociò le mani sul ginocchio dominante, «noi del Ros indaghiamo da due anni sui traffici di droga intercorsi tra Africa e sud Italia, abbiamo motivo di credere che la figura di Mounier fungesse da cardine per la buona riuscita di tutto.»
«Renard Mounier un narcotrafficante?» Chiese sorpreso il maresciallo.
«Esattamente. Gestiva tutto da Borgobello, sotto il suo naso. Lei credeva veramente, che in vent'anni un piccolo paese potesse diventare una cittadina grazie all'onestà e al lavoro? Tutte quelle aziende servono a riciclare denaro.»
L'espressione del maresciallo divenne arcigna difronte a quella non tanto velata accusa di negligenza.
Alfonso “Fofò” De Rosa, seduto davanti la finestra del suo casolare che dava sull'aia, stava gustando una fetta di formaggio pecorino osservando il cielo stellato. L'auto del suo luogotenente più fidato, Cuore di cane, frenò alzando un polverone. L'uomo scese dal veicolo e con passo svelto si diresse verso l'ingresso. Raggiunta la stanza, si affiancò al boss e disse: «Tutto sistemato, come [i]Vossia[/i] ha ordinato. Me ne sono occupato personalmente.»
«Bravo. Se vuoi un lavoro fatto bene, sempre meglio farlo da sé.» Affermò l'uomo compiaciuto «Siediti,» aggiunse «e bevi un po' di vino.»
Giacomo D'Alessandro bussò all'ufficio del suo capo.
«Avanti.»
«Salve Signore, disturbo?»
«Carissimo Giacomo, entra pure. Non disturbi mai. Spero che tu non abbia cattive notizie.»
«No signor Mounier, nessuna cattiva notizia.»
«A cosa devo, dunque, il piacere della tua visita?» Chiese incuriosito il transalpino.
«Be', sono un po' imbarazzato a chiederglielo.»
«Andiamo Giacomo, chiedi pure.»
«Bene. Ecco. In tutti questi anni ho servito la vostra persona in tutto, ho cercato di essere sempre il più leale possibile, ho dedicato molto alle vostre attività e alla vostra sicurezza, ho addestrato personalmente il corpo di guardia, credo di aver fatto un buon lavoro…»
«Non l'ho mai messo in dubbio, sono molto felice del tuo lavoro.» Lo interruppe Mounier.
«Sono lieto di sentirvelo dire, Signore. Per questo volevo chiedervi se fosse possibile concedere ai ragazzi di guardia alla villa un fine settimana libero. Ovviamente non resterebbe da solo, contrariamente alle mie abitudini lavorerò io al posto loro, resterò in villa se fosse necessario.»
Renard Mounier scoppiò in una grossa, soddisfatta risata, bevve un sorso d'acqua e poi disse: «Non ho bisogno nemmeno dei tuoi servigi, cosa potrebbe mai accadermi chiuso nella mia villa? Godetevi questi due giorni di relax.»
«Non vi reca nessun fastidio? Sicuro?»
«Tranquillo, Giacomo. È tutto ok. Anzi, ti dirò di più. Sono felice che tu me lo abbia chiesto, sei un buon capo, hai a cuore i tuoi subordinati. Bravo, è così che si fa.»
D'Alessandro ringraziò Mounier, lo salutò e uscì dall'ufficio. Scrisse un SMS e diede ai suoi sottoposti l'inaspettata notizia.
Scorse lungo la rubrica e fece partire una chiamata. Il telefono squillò diverse volte prima di una risposta.
«Confermato per questo fine settimana.» Disse velocemente Giacomo. L'interlocutore staccò la chiamata senza nulla d'aggiungere.
Durante la sua abituale ronda, tra le varie aziende e fabbriche facenti capo alla Mounier Enterpreises, Giacomo D'Alessandro si fermò difronte una pizzeria d'asporto. I fattorini erano seduti sui loro scooter in attesa delle consegne. L'uomo, con un colpo di clacson, attirò l'attenzione di un ragazzo in particolare.
«Ciao, Giacomo. Hai qualcosa per me?»
«Certo, perché sarei qui altrimenti.» Rispose secco l'uomo.
«Magari ti mancavo.»
«Senti, mocciosetto, non farmi perdere tempo. Domani sera arriverà un ordine, dovrai portarlo a villa Mounier. Lascerai il motorino al cancello, verrai a piedi fino all'ingresso, mi consegnerai la pizza come se non mi conoscessi e te ne andrai. Se mai qualcuno ti dovesse fare delle domande dirai che hai consegnato la pizza a una donna dai capelli rossi, la donna più bella che tu abbia mai visto.»
«Ma perché mai qualcuno dovrebbe…»
«Non ti pago per i tuoi perché. Credo che un lavoro così facile non te l'abbia mai assegnato, giusto?»
«Giusto. Meglio degli atti vandalici o delle finte risse in luoghi improbabili.»
«Non fare domande e fai esattamente come ti dico. C'è qualcosa di grosso in ballo. Intesi?»
«Va bene.»
«Per i soldi aspetta la mia chiamata, come al solito. Saranno abbondanti, mi puoi credere.»
Cristoforo fantasticava già su come avrebbe potuto spenderli.
La sera successiva Giacomo D'Alessandro entrò in villa da uno degli ingressi secondari, ordinò la pizza tramite la APP di consegna a domicilio, e lento si intrufolò dentro l'abitazione. Il capo della sicurezza aveva accesso ai codici di disattivazione degli allarmi.
Le luci erano spente, con estrema attenzione, si diresse verso l'armadietto delle armi. Il tintinnio delle chiavi spezzò per un attimo il silenzio. D'Alessandro si bloccò, tese le orecchie: nessun passo o rumore da parte di Mounier. Cercò di fare meno rumore possibile, aprì il lucchetto, impugnò il fucile e richiuse tutto.
Raggiunto il piano superiore, con in pugno la lupara rivolta verso il basso, D'Alessandro camminò lento, quasi in punta di piedi, alla ricerca del suo datore di lavoro. Tutte le stanza erano buie, tranne l'ultima. Intravide sotto la porta una luce fioca: era lo studio personale del francese.
Giacomo D'Alessandro bussò e attese. Nessuna risposta, nessun rumore di passi. All'improvviso un clic, il pomello d'oro roteò. D'Alessandro portò il calcio dell'arma sulla spalla. Renard Mounier, aperta la porta, trasalì. Il pallore del volto manifestava la sua momentanea paura.
«Giacomo. Accomodati.» Disse Mounier mentre stava per voltarsi.
«Non vi girate, Signore. Mostratemi le mani.»
«Non chiamarmi Signore. È evidente, che non sono più il tuo capo. Già da un pezzo.» Rispose alzando le mani all'altezza del volto.
D'Alessandro fece un cenno con il fucile. Mounier iniziò a indietreggiare lentamente.
«Sedetevi.» Ordinò il capo della sicurezza.
Preso posto dietro la sua scrivania, Mounier disse: «Giacomo, sei ancora in tempo per fermarti.»
«Ormai è troppo tardi.»
«Non è mai tardi, tutto ha un tempo. Questo è il tempo della ragione, da parte tua, e della clemenza da parte mia. Versati da bere, parliamone.»
«Non bevo, grazie. C'è poco da parlare. Devo eseguire gli ordini il prima possibile. Siamo ai saluti, Mounier.»
«Veramente?»
«Sì.»
«Credi che quel vecchio ti ricompensi? Sentiamo, cosa ti ha promesso? Quanto vale la mia vita?»
«Non sono qui per parlare, non posso perdere altro tempo.»
«Giacomo. Non so cosa ti abbiano raccontato, francamente non m'importa nemmeno. Una cosa però voglio dirtela: tu, per lui, vali meno di zero. Il vigliacco prova a mettermi i bastoni fra le ruote da decenni ormai, non mi ha mai nemmeno scalfito. Questo lo rende nervoso, lo so per certo. L'unico modo che aveva per attaccarmi era dall'interno e tu ci sei cascato, ti sei fatto abbindolare. Ti hanno almeno detto il motivo?»
«Un soldato non ha bisogno di motivi.»
«Un soldato? A questo ti sei ridotto? Tu eri un mio generale, mi hai tradito per declassarti a semplice soldato? È questa la tua massima ambizione? Essere un semplice gregario?»
«Voi non sapete nulla di me. Voi non siete un mio conterraneo, siete un forestiero, vi siete appropriato di quello che spettava, di diritto, a noi.»
«Te l'hanno fatto bene il lavaggio del cervello. Senza questo estraneo, oggi, Borgobello sarebbe ancora un piccolo paese di campagna, nessuno saprebbe della sua esistenza, nessuno investirebbe miliardi di euro su questo territorio. Tutto ciò è avvenuto grazie a me.»
«Basta con questo vanesio parlare. Non siete nessuno, soltanto uno che presta il proprio nome.»
«Be', adesso sei ingiusto, tanto quanto il tuo “boss”. Non credo che a Palermo la pensino così. Tu credi veramente che un povero vecchio possa mettersi contro l'intero mandamento siciliano? Nossignore. Non finirà bene. Non sottovalutate nemmeno i malgasci, quei neri sanno essere brutali se vogliono, sono barbari, abituati a muoversi nella giungla.»
«Non temiamo nessuno. Che vengano pure. Luridi porci.»
«Hai pensato bene alla sorte di Borgobello? Dici di amare la tua città, che è vostra di diritto, ma avete riflettuto sulle conseguenze? Da domani tutte le aziende saranno bloccate a causa della mia morte, ci saranno delle indagini, purtroppo verranno fuori cose spiacevoli sul mio conto, le fabbriche saranno sequestrate, i tuoi concittadini perderanno il lavoro, la città cadrà in rovina. Questa sarà solo colpa tua. Non stai aiutando nessuno, non ti stai riprendendo quello che è tuo, anzi, stai per distruggerlo.»
D'Alessandro lanciò uno sguardo veloce all'orologio appeso alla parete difronte, posizionò meglio il fucile, con il pollice tolse la sicura.
Renard Mounier per la prima volta nella sua vita provò un senso di rammarico. I soldi per cui aveva tanto lottato, faticato, corrotto e ucciso, adesso, non gli stavano dando nessun aiuto, lo stavano tradendo, inconsapevoli colpevoli di quel efferato omicidio. Adesso, avrebbe voluto passare più tempo con la gente, crearsi delle nuove amicizie, riassaporare l'amore di una donna, tutte cose considerate futili, di gran lunga meno preziose di quei granelli bianchi che faceva muovere a suo piacimento in giro per il mondo, fonte di guadagno, sostentamento e sfarzo fine a se stesso. Adesso capiva cosa si fosse perso, che quella vita, forse, non aveva avuto nessun senso, non ne era valsa la pena viverla.
Uno sparo deciso spappolò il volto del magnate transalpino. Il corpo si accasciò sulla scrivania d'ebano coperto dalla vestaglia di seta.
D'Alessandro non toccò nulla, scese nuovamente al piano inferiore. Qualcuno suonò il campanello. L'uomo diede uno sguardo al videocitofono, con il cuore in gola. Un sospiro di sollievo: era il fattorino con la pizza.
Lo attese sull'entrata principale, si fece dare il box, senza nemmeno una parola si voltò e di gran carriera si diresse verso la cabina di controllo.
Cristoforo, ignaro di tutto, s'incamminò a brevi passi verso il cancello, che stava già per richiudersi; iniziò a correre, per un soffio riuscì a uscire. Lo scooter era ancora acceso, un amico lo aspettava in sella con uno spinello in bocca. Il fattorino diede due boccate, afferrò il manubrio e diede gas.
Finito di manomettere i video di sorveglianza, D'Alessandro uscì dall'ingresso secondario.
Alla guida della sua auto, vide una prostituta sul bordo della strada, si accostò, aprì il cristallo e solo quando la donna appoggiò i gomiti sulla guida del finestrino le porse lo scatolo della pizza. La donna lo afferrò istintivamente. D'Alessandro ripartì in direzione dell'acciaieria.
Trovato posto nel parcheggio riservato ai dipendenti, entrò nell'edificio con in mano un borsone nero. Tramite corridoi secondari riuscì agilmente ad avere accesso al forno. Con il volto rosso, riflesso dell'incandescente fuoco, osservò l'arma del delitto sciogliersi.
La sera successiva l'omicidio di Renard Mounier, Cuore di cane parcheggiò l'auto davanti la villa comunale della città. Poco dopo l'ingresso, nell'oscurità, D'Alessandro lo attendeva. Il luogotenente del boss gli porse un filo frizione.
Il fattorino li aspettava sul lato est della villa.
Dieci minuti più tardi, un solo uomo fece ritorno: Cuore di cane.