Mia
Inviato: 04/04/2020, 23:07
Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.
La veranda assolata raccoglieva le ultime ore di luce. Mia si godeva il frinire incalzante delle cicale e una leggera brezza estiva. Il rombo dei tir che ad ogni ora del giorno alzavano la polvere della strada sterrata non la infastidivano più. Erano anni che un divieto era stato apposto all’inizio della via per evitare che i mezzi pesanti passassero di là; ma quella strada era il perfetto anello di congiunzione tra Monte dei Conti e la zona industriale. Oramai facevano parte del paesaggio naturale, immersi con le loro lucenti armature tra i campi di grano e gli sterminati vigneti. La sua fortuna era che la strada svoltava poco prima di raggiungere casa sua.
Comunque più a nessuno importava di loro e dei rumori molesti, tanto meno a lei; pochi erano i cittadini rimasti in quella manciata di case che costeggiavano la via, la maggior parte erano vecchie fattorie, abbastanza lontane da non dover sopportare l’odore di vacche e maiali.
Ad ogni modo non voleva pensare al vicinato e alla sua vita antisociale. Chiuse gli occhi ed inspirò profondamente. Di lì a poco avrebbe piovuto, si sentiva chiaramente l’odore dell’erba umida e in lontananza si scorgeva qualche nuvola grigia. Il calore del sole cominciava a indebolirsi e la calura estiva era decisamente più sopportabile ora.
Un brivido la fece sobbalzare per un attimo e la ferita alla gamba la svegliò da un piacevole intorpidimento. Probabilmente si era appisolata per qualche minuto. Aprì gli occhi e si perse a fissare la macchia di caffè che disegnava una sorta di stivale tra i fiori stampati del vestito in cotone.
-Mi scusi!
Una voce tuonò da destra e la fece rizzare in piedi ignorando il dolore alla gamba.
Un uomo sui trent’anni, di bell’aspetto, vestito di tutto punto, pulito e profumato le era apparso all’improvviso come una visione.
Imbarazzata si sistemò il vestito sgualcito che era rimasto leggermente sollevato sopra le ginocchia. Non potè fare a meno di notare lo sguardo compiaciuto di lui e questo la infastidì, ma allo stesso tempo la fece avvampare come un’adolescente.
Non era abituata ad avere visite e, soprattutto, non era avvezza al sostenere lo sguardo di un uomo.
Dopo la morte della madre avrebbe potuto riprendersi la sua vita, riafferrare i suoi sogni, che erano ancora là, a portata di mano; sarebbe bastato allungare il braccio e sarebbe riuscita a raggiungerli e afferrarli. Ma era troppo stanca, dopo una vita passata ad accudire una madre depressa e schizofrenica non era più capace di vivere e non era nemmeno sicura di volerlo imparare. In fondo stava bene così, seduta sotto il suo portico a respirare la polvere e a guardare i campi; questo era ciò che voleva e che la faceva stare bene.
L’uomo la fissava incuriosito. Poi piegò di lato la testa e il suo sguardo si fermò sul seno prosperoso. Istintivamente Mia lo coprì con la mano sinistra e ancora una volta avvampò.
Raccolse quel po’ di coraggio che ancora possedeva e con un filo di voce domandò al porco:
- Cosa vuole?
La testa iniziava a girarle e le mancava il respiro. Forse un attacco di panico.
L’uomo strappò un filo d’erba dal cortile e iniziò a masticarne il gambo poi, dopo aver sputato un grumo verde, sentenziò:
-È un bel posto questo, tranquillo, forse anche troppo. Non hai paura a vivere qui da sola?
A Mia si raggelò il sangue. Quelle parole le rimbombarono martellanti nella testa “Come fa a sapere che vivo sola!”
In quel momento davanti agli occhi si susseguirono immagini atroci di donne stuprate, sgozzate, brutalmente seviziate. Il cuore accelerò i suoi battiti mentre le gambe iniziarono a tremare. La mandibola contratta incorniciava un viso paonazzo e deformato dalla paura. Il sudore le macchiò l’abito e un rivolo d’urina discese lungo la gamba destra fino alle mattonelle in porfido. Il terrore l’aveva paralizzata. Solo la mente galoppava divorando immagini e parole: “Ricordati bambina mia che nessuno ti ama, nessuno ti considera e se lo fa è per avere qualcosa in cambio”. La testa pareva esploderle. “ Non fidarti di nessuno, sono tutti lupi travestiti da agnello, non abbassare mai la guardia perché alla prima occasione ti divoreranno”. Per anni aveva cercato di scrollarsi di dosso quelle che lei riteneva parti di una mente malata, ma ora era innegabile che la mamma avesse ragione.
*****
L’uomo sputò un grumo d’erba che sapeva di grano e polvere. Fissò quella ragazza strampalata che aveva di fronte: sporca, trasandata, forse malata; non aveva potuto non notare quella macchia a forma di stivale all’altezza del seno.
Aveva percorso circa seicento chilometri per arrivare a Monte dei Conti, un paesino di trecento anime, alla ricerca di una sorella di cui ignorava l’esistenza, almeno fino ad una settimana prima.
Aveva sempre condotto una vita sregolata, fatta di vizi, avidità, lusso e droga. Ma dopo quella scoperta aveva deciso di dare un colpo di spugna.
Guardò la ragazza in modo miserevole; vide l’urina che le scendeva lungo la gamba e per la prima volta provò un sentimento che non gli apparteneva: compassione. Si avvicinò di qualche passo, voleva stringerla, rassicurarla e raccontarle tutto, condividere con lei la sua felicità.
Ma ogni passo che lui faceva in avanti lei ne faceva due indietro. Avanzò tendendo le mani e gesticolando per farle capire che andava tutto bene, che non c’era nulla da temere. Era evidente che fosse spaventata.
*****
Mia vide l’uomo avanzare, vide le sue luride mani che si avvicinavano. Capì subito che se non avesse fatto qualcosa quelle mani sarebbero finite sul suo collo e l’avrebbero stretto fino a farle perdere i sensi e poi si sarebbero intrufolate dappertutto, in ogni anfratto del suo corpo. Lo sapeva bene lei, molte volte la mamma l’aveva messa in guardia. Non poteva permetterlo.
Indietreggiò fino a che non si ritrovò con le spalle al muro, accanto al traballante tavolino d’abete.
Iniziò a boccheggiare come fosse in carenza d’ossigeno. Una lacrima scese e si disperse tra i capelli appiccicati al collo. I muscoli contratti le procuravano un dolore intenso ma, a stento, riuscì ad afferrare uno dei ferri da maglia posati sul tavolino.
Un tuono avvisò che il temporale si stava avvicinando. Qualche goccia pesante di pioggia iniziò a macchiare la terra misto ghiaia della strada. Un odore ancor più forte di polvere si sollevò e una folata di vento fresco le scostò i capelli dal viso.
Accadde tutto in un attimo. All’improvviso ritrovò una forza e una rabbia nascosta che da anni aspettava di esplodere. Con un balzo fu sull’uomo che non ebbe il tempo di fare alcun movimento. Si aggrappò alle spalle di Mia per qualche secondo; la bocca deformata da un ghigno e un rantolo uscì strozzato prima di crollare a terra come un sacco trascinandosi giù anche lei.
Una pozza di sangue si stava formando sulle mattonelle chiare e mischiando con la chiazza di urina. Mia, seduta a terra, guardò la macchia che si allargava sempre più e quell’uomo accasciato con il ferro conficcato nel petto. Trovò che avesse un qualcosa di comico e irriverente nella sua espressione di morte ed esplose in una fragorosa risata. Provò delicatamente a spingerlo, ma non si mosse.
Con passo pesante entrò in casa e scese in cantina a cercare della candeggina per pulire il porfido, se non si affrettava il sangue si sarebbe rappreso e la macchia sarebbe rimasta lì per sempre. La tensione ora si era affievolita, si sentiva bene, rilassata, felice. Cercò tra i barattoli di vernice canticchiando un vecchio motivetto di quando era bambina. Trovò il flacone pieno per metà.
Continuando a canticchiare andò verso il congelatore; avrebbe cucinato costolette d’agnello per cena. Posò la bottiglia di candeggina e aprì la porta del grande congelatore a pozzetto. Una piacevole ondata di gelo la rinfrescò. Portò l’indice alla bocca come faceva da bambina quando suo padre le nascondeva qualche piccolo regalo. Sperava di trovare le costolette senza dover spostare quel grosso ingombro che nascondeva la visuale. Si chinò, spostò il grande sacchetto e vide che il piccolo imballo di carne stava proprio sotto. Si chinò un po’ di più per acquistare forza nelle braccia. Spinse l’intralcio sulla destra e si trovò a fissare gli occhi vitrei di sua madre.
Le sorrise e le accarezzò la testa attraverso la plastica ghiacciata. Poi, sempre canticchiando, risalì le scale; posò la cena nel lavandino ed uscì in veranda per pulire.
L’uomo era sempre lì, immobile.
Pensò che l’indomani sarebbe dovuta andare ad acquistare un altro freezer e questo pensiero la spaventò a morte, ma non ci voleva pensare ora.
Si sedette sul vecchio dondolo a guardare il cielo plumbeo e la pioggia che ora scendeva copiosa. Cominciavano a formarsi le prime pozzanghere e i lampi parevano spezzare il cielo in tanti pezzi luminosi.
Ancora una volta inspirò profondamente e chiuse gli occhi. La pioggia, come una coltre, aveva nascosto l’odore di polvere.
La gamba ora non le doleva più, sicuramente l’indomani il tempo sarebbe stato bello.