Adesso basta
Inviato: 06/04/2020, 8:59
Sono giorni che ripete imperiosa dentro di sé che è arrivato il momento di rompere gli indugi e agire.
O meglio, fermarsi. Ma tentenna e non sa decidersi. La trattiene la consapevolezza che se lei si fermasse succederebbe un pandemonio.
«Che brutta parola pandemonio!» Pensa. Cerca un sinonimo, ma non le viene. Una parola che renda l’idea di quello che potrebbe capitare se lei si fermasse. «Confusione? Troppo poco. Caos? Troppo generico.
Putiferio? Si, putiferio potrebbe andare.» Un po’ obsoleto magari, ma fa al caso suo.
Se lei si fermasse e uscisse dai ranghi succederebbe un putiferio. Addio all’ordine costituito, difficilmente tornerebbe tutto come prima.
«Perché no?» Pensa a volte. Un attimo di comune smarrimento e poi via si riparte. «O meglio, loro ripartono e io mi tiro fuori.»
«Perché no!» Pensa altre volte. Perché se è così da che mondo è mondo e nessuna ha mai osato farlo prima, ci sarà un motivo.
«Potrei farlo io! Poi però dovrei sopportarne le imprevedibili conseguenze.»
Che sono, per l’appunto, imprevedibili. Potrebbe venire cacciata e lei non lo vorrebbe, quella è casa sua, quella è la sua gente, non ha niente contro di loro.
Ne potrebbe derivare qualche danno irreparabile all’intero sistema. Non lo crede possibile, ma chi può dirlo? Non ci sono precedenti.
Non è che non l’abbia capito il senso di tutto quell’andare avanti e indietro veloce, preciso, ordinato, immutato e immutabile. L’ha capito e non lo mette in discussione.
«Poco tutti, tanto per tutti. Ognuno deve fare la sua parte. L’unione fa la forza, ecc. ecc.» Son frasi che s’è sentita dire fin dalla più tenera età, ma che adesso ha cominciato a odiare.
Lei vuole fare la sua parte, ma vuole farla a modo suo. O meglio trovare un “suo” modo di fare la sua parte.
Anela a qualcosa di diverso, di più emozionante, di più… Creativo. Quanto le piace questa parola! L’ha scovata da poco, vai a sapere dove, e le ronza nelle orecchie senza sosta. Le apre scenari pittoreschi e inimmaginabili che le si muovono dentro, ma che sono, appunto, inimmaginabili.
Ha provato a parlarne con qualcuno. Non in modo esplicito, per carità! Per sottintesi, per metafore, piano piano, sussurrando. I più la guardano stranita come a dire: “che stai farneticando?” E qualcuna ha preso addirittura a evitarla e sta ben attenta a non mettersi davanti o dietro di lei nella fila.
Solo una vecchina malandata e mezza cieca l’ha avvicinata: «Cara la mia bimba! Ti tengo d’occhio sai?» Le ha sussurrato a fior di labbra «Sei proprio giovane… Ci ho provato anch’io alla tua età, ma ho fallito. Tu non fallirai, ne sono certa.»
«Allora qualcun’altro ha provato quel che provo io!» Non le sembra più di essere sbagliata, o un’aliena tra la sua gente. «Hai ragione, io ce la farò, aspetta e vedrai» risponde alla vecchina mentre una frenesia, difficile da controllare, la induce a rompere gli indugi.
«Da dove parto? Da dove comincio…» Col fermarsi. Quello le sembra il punto fondamentale. Fermarsi, farsi di lato, lasciare scorrere tutte e poi… Già, e poi?
«Al poi penserò poi!» Mormora, mentre sente arrivare il momento giusto e non se lo vuole lasciar fuggire.
Prima però un ultimo attimo di esitazione: uno sguardo lanciato a quelle davanti, che inconsapevoli le tracciano la strada e un movimento furtivo per controllare quelle dietro, che fiduciose la seguono.
«Adesso basta!» Testa alta, zampe pronte e via! Con uno scatto veloce si fa di lato, uno scatto talmente rapido da passare inosservato.
La compagna dietro di lei allunga un poco la zampa, si riallinea al resto della fila e la marcia continua inarrestabile.
Col fiato sospeso la piccola formica si avventura su un masso che sembra messo lì apposta per lei. Si sente libera e leggera come se un peso le fosse caduto dalle spalle. Inspira a pieni polmoni l’aria sottile del mattino che sembra diversa dal solito: più profumata, più colorata, più…
Da lì sopra riesce ad avere una perfetta visione d’insieme. Una fila lunga, della quale non scorge né l’inizio e né la fine, che con un ritmo cadenzato e inesorabile avanza sul terreno.
«Non è successo niente» sospira. Né caos, né pandemonio, neanche putiferio. «Come se non ci fossi mai stata, come se non fossi mai esistita…»
L’enormità del suo gesto le appare chiaro solo adesso. Ha lasciato il certo per l’incerto, il noto per l’ignoto.
«Che farò ora?» Il sollievo per essere riuscita ad attuare il suo piano cede, a poco a poco, il passo all’inquietudine e allo smarrimento.
La fila di formiche, nel frattempo, lentamente raddoppia, le prime sono di ritorno con il loro bottino tra le zampe: briciole succulente che andranno a riempire i magazzini del formicaio.
Rimane incantata ad osservare questa lunga linea serpeggiante di cui ora vede l’inizio, ma non più la fine. La ricerca ha dato buoni frutti anche stavolta. Il benessere del formicaio sta a cuore anche a lei. Approvvigionarlo vuol dire farlo sopravvivere.
Le sue vecchie compagne marciano con lo sguardo fisso davanti a loro, concentrate, attente, appagate.
La prima della fila devia leggermente il percorso programmato per evitare una pozza d’acqua apparsa all’improvviso oltre un cespuglio.
Sopra il masso la giovane formica strabuzza gli occhi: «Non da quella parte!» Urla a squarciagola, Ma nessuno sente. Nessuna di loro pare accorgersi che, continuando per quella via, andranno tutte incontro a una catastrofe.
Dalla sua posizione sopraelevata lei però vede tutto: un ragno enorme, con una tela immensa e fitta come non le era mai capitato di vedere prima di allora, sbarra loro la strada.
Rapida scende dal masso e si precipita verso le compagne. Ha poco tempo, deve affrettarsi o sarà una strage. Leggera perché a zampe vuote e veloce perché la paura le mette le ali, raggiunge in un batter d’occhio il capo della fila e si mette davanti, deviando il tragitto quasi ad angolo retto.
La compagna forse intuendo, o forse no, lo scampato pericolo segue fiduciosa il suo cambio di rotta e con lei tutto il resto della fila. Il percorso sarà più lungo e tortuoso, ma le porterà sane e salve verso il formicaio.
A pochi passi dall’ingresso si fa da parte e lascia sfilare le sue compagne. Aspetta paziente fin che tutte non siano entrate.
L’ultima ad arrivare è l’anziana formica mezza cieca con un bottino così piccolo da sembrare un granello di polvere. Pare davvero affaticata, quasi allo stremo delle forze; le zampe malconce e le antenne sciupate raccontano di una vita fatta di lavoro e di dedizione assoluta.
La giovane formica le si fa incontro, prende tra le zampe la sua piccola briciola e fianco a fianco percorre con lei gli ultimi passi. Nessuna delle due pronuncia nemmeno una parola. Non è necessario.
Lo sguardo finalmente sereno dell’una e il sorriso luminoso e incoraggiante dell’altra dicono tutto.
O meglio, fermarsi. Ma tentenna e non sa decidersi. La trattiene la consapevolezza che se lei si fermasse succederebbe un pandemonio.
«Che brutta parola pandemonio!» Pensa. Cerca un sinonimo, ma non le viene. Una parola che renda l’idea di quello che potrebbe capitare se lei si fermasse. «Confusione? Troppo poco. Caos? Troppo generico.
Putiferio? Si, putiferio potrebbe andare.» Un po’ obsoleto magari, ma fa al caso suo.
Se lei si fermasse e uscisse dai ranghi succederebbe un putiferio. Addio all’ordine costituito, difficilmente tornerebbe tutto come prima.
«Perché no?» Pensa a volte. Un attimo di comune smarrimento e poi via si riparte. «O meglio, loro ripartono e io mi tiro fuori.»
«Perché no!» Pensa altre volte. Perché se è così da che mondo è mondo e nessuna ha mai osato farlo prima, ci sarà un motivo.
«Potrei farlo io! Poi però dovrei sopportarne le imprevedibili conseguenze.»
Che sono, per l’appunto, imprevedibili. Potrebbe venire cacciata e lei non lo vorrebbe, quella è casa sua, quella è la sua gente, non ha niente contro di loro.
Ne potrebbe derivare qualche danno irreparabile all’intero sistema. Non lo crede possibile, ma chi può dirlo? Non ci sono precedenti.
Non è che non l’abbia capito il senso di tutto quell’andare avanti e indietro veloce, preciso, ordinato, immutato e immutabile. L’ha capito e non lo mette in discussione.
«Poco tutti, tanto per tutti. Ognuno deve fare la sua parte. L’unione fa la forza, ecc. ecc.» Son frasi che s’è sentita dire fin dalla più tenera età, ma che adesso ha cominciato a odiare.
Lei vuole fare la sua parte, ma vuole farla a modo suo. O meglio trovare un “suo” modo di fare la sua parte.
Anela a qualcosa di diverso, di più emozionante, di più… Creativo. Quanto le piace questa parola! L’ha scovata da poco, vai a sapere dove, e le ronza nelle orecchie senza sosta. Le apre scenari pittoreschi e inimmaginabili che le si muovono dentro, ma che sono, appunto, inimmaginabili.
Ha provato a parlarne con qualcuno. Non in modo esplicito, per carità! Per sottintesi, per metafore, piano piano, sussurrando. I più la guardano stranita come a dire: “che stai farneticando?” E qualcuna ha preso addirittura a evitarla e sta ben attenta a non mettersi davanti o dietro di lei nella fila.
Solo una vecchina malandata e mezza cieca l’ha avvicinata: «Cara la mia bimba! Ti tengo d’occhio sai?» Le ha sussurrato a fior di labbra «Sei proprio giovane… Ci ho provato anch’io alla tua età, ma ho fallito. Tu non fallirai, ne sono certa.»
«Allora qualcun’altro ha provato quel che provo io!» Non le sembra più di essere sbagliata, o un’aliena tra la sua gente. «Hai ragione, io ce la farò, aspetta e vedrai» risponde alla vecchina mentre una frenesia, difficile da controllare, la induce a rompere gli indugi.
«Da dove parto? Da dove comincio…» Col fermarsi. Quello le sembra il punto fondamentale. Fermarsi, farsi di lato, lasciare scorrere tutte e poi… Già, e poi?
«Al poi penserò poi!» Mormora, mentre sente arrivare il momento giusto e non se lo vuole lasciar fuggire.
Prima però un ultimo attimo di esitazione: uno sguardo lanciato a quelle davanti, che inconsapevoli le tracciano la strada e un movimento furtivo per controllare quelle dietro, che fiduciose la seguono.
«Adesso basta!» Testa alta, zampe pronte e via! Con uno scatto veloce si fa di lato, uno scatto talmente rapido da passare inosservato.
La compagna dietro di lei allunga un poco la zampa, si riallinea al resto della fila e la marcia continua inarrestabile.
Col fiato sospeso la piccola formica si avventura su un masso che sembra messo lì apposta per lei. Si sente libera e leggera come se un peso le fosse caduto dalle spalle. Inspira a pieni polmoni l’aria sottile del mattino che sembra diversa dal solito: più profumata, più colorata, più…
Da lì sopra riesce ad avere una perfetta visione d’insieme. Una fila lunga, della quale non scorge né l’inizio e né la fine, che con un ritmo cadenzato e inesorabile avanza sul terreno.
«Non è successo niente» sospira. Né caos, né pandemonio, neanche putiferio. «Come se non ci fossi mai stata, come se non fossi mai esistita…»
L’enormità del suo gesto le appare chiaro solo adesso. Ha lasciato il certo per l’incerto, il noto per l’ignoto.
«Che farò ora?» Il sollievo per essere riuscita ad attuare il suo piano cede, a poco a poco, il passo all’inquietudine e allo smarrimento.
La fila di formiche, nel frattempo, lentamente raddoppia, le prime sono di ritorno con il loro bottino tra le zampe: briciole succulente che andranno a riempire i magazzini del formicaio.
Rimane incantata ad osservare questa lunga linea serpeggiante di cui ora vede l’inizio, ma non più la fine. La ricerca ha dato buoni frutti anche stavolta. Il benessere del formicaio sta a cuore anche a lei. Approvvigionarlo vuol dire farlo sopravvivere.
Le sue vecchie compagne marciano con lo sguardo fisso davanti a loro, concentrate, attente, appagate.
La prima della fila devia leggermente il percorso programmato per evitare una pozza d’acqua apparsa all’improvviso oltre un cespuglio.
Sopra il masso la giovane formica strabuzza gli occhi: «Non da quella parte!» Urla a squarciagola, Ma nessuno sente. Nessuna di loro pare accorgersi che, continuando per quella via, andranno tutte incontro a una catastrofe.
Dalla sua posizione sopraelevata lei però vede tutto: un ragno enorme, con una tela immensa e fitta come non le era mai capitato di vedere prima di allora, sbarra loro la strada.
Rapida scende dal masso e si precipita verso le compagne. Ha poco tempo, deve affrettarsi o sarà una strage. Leggera perché a zampe vuote e veloce perché la paura le mette le ali, raggiunge in un batter d’occhio il capo della fila e si mette davanti, deviando il tragitto quasi ad angolo retto.
La compagna forse intuendo, o forse no, lo scampato pericolo segue fiduciosa il suo cambio di rotta e con lei tutto il resto della fila. Il percorso sarà più lungo e tortuoso, ma le porterà sane e salve verso il formicaio.
A pochi passi dall’ingresso si fa da parte e lascia sfilare le sue compagne. Aspetta paziente fin che tutte non siano entrate.
L’ultima ad arrivare è l’anziana formica mezza cieca con un bottino così piccolo da sembrare un granello di polvere. Pare davvero affaticata, quasi allo stremo delle forze; le zampe malconce e le antenne sciupate raccontano di una vita fatta di lavoro e di dedizione assoluta.
La giovane formica le si fa incontro, prende tra le zampe la sua piccola briciola e fianco a fianco percorre con lei gli ultimi passi. Nessuna delle due pronuncia nemmeno una parola. Non è necessario.
Lo sguardo finalmente sereno dell’una e il sorriso luminoso e incoraggiante dell’altra dicono tutto.