Eroe di guerra
Inviato: 09/04/2020, 0:09
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La prima cosa che udì fu un ticchettio a intervalli irregolari. L’area del cervello deputata al riconoscimento dei suoni gli suggerì che fosse il clic clac di una penna a scatto. Ne dedusse che nei paraggi qualche pollice nevrotico stesse giocherellando con una penna. Anche la vista iniziò a collaborare, poco alla volta. Al grande schermo nero si sostituirono delle ombre su un orizzonte caffelatte, poi figure sfocate. Mentre la gamma dei colori si arricchiva, sentì l’aria invadergli le narici e i polmoni: stava respirando. Tentò di parlare ma non gli riuscì. Le labbra erano incollate, al posto della lingua aveva un invertebrato. Ruotò appena il collo, provando scosse e fitte lancinanti. Mise a fuoco la mano che torturava la biro, risalì con lo sguardo lungo il braccio e le spalle fino al volto: quello di un uomo, dall’aspetto rassicurante. Indossava un camice. Un medico, con ogni probabilità.
- Buongiorno Adam. Come ti senti?
Il ragazzo richiuse gli occhi e sospirò.
Adam. Era così che si chiamava?
Conveniva assorbire tutto ciò che quella situazione potesse offrirgli: informazioni, luci, colori, suoni. Come un neonato appena venuto al mondo. Si chiamava Adam e stava respirando, era un buon inizio. Per tutto il resto c’era quel medico, lo avrebbe aiutato.
- Se mi capisci, per favore Adam, fammi un cenno. Uno qualsiasi.
Il ragazzo guardò il medico, e batté due volte le palpebre.
- So che ti senti indolenzito e privo di memoria, che non riesci a parlare né a muoverti; ma è una situazione transitoria, credimi.
Il ragazzo batté di nuovo le ciglia: ok.
Entrò una donna, sui quaranta, anche lei insaccata dentro un camice bianco. Preparò una siringa riempendola con uno strano liquido rosa.
- Ora la dottoressa ti farà un’iniezione. Quando ti sveglierai ti sentirai molto meglio.
Pochi secondi dopo fu buio pesto.
*
- Ciao Adam, come ti senti?
Il ragazzo tentò subito di muovere le labbra.
- Meglio - sussurrò, sollevato per essere riuscito a parlare.
- Te lo avevo detto, no? Ti rimetteremo in sesto.
- Dove mi trovo?
- Siamo al Columbus Hospital, Adam.
- Perché non riesco a muovere nulla, al di sotto del collo?
- In realtà dovresti riuscire a muovere le dita delle mani e dei piedi. Perché non provi?
Il dolore gli si dipinse sul volto in ghigni oblunghi.
- Non importa, ci riuscirai. Senza fretta.
- Cosa mi è successo?
- Hai avuto un incidente, Adam. Un terribile incidente.
“Adam”. Un nome a cui cercava di abituarsi, ma che sentiva estraneo. Socchiuse gli occhi. Un incidente...
- Non ricordi nulla?
Avrebbe scosso il capo, se solo non avesse provato quelle terribili fitte. Non aveva idea neanche di chi fosse.
- Questa è la brutta notizia, Adam. La tua amnesia è generalizzata. Questo significa che – per il momento - hai dimenticato tutto ciò che è accaduto prima dell’incidente. Però adesso concentriamoci sulla buona notizia…
Il ragazzo gli scoccò un’occhiata in tralice. Una situazione del genere prevedeva buone notizie?
- La tua è un’amnesia retrograda. Significa che ricorderai tutto ciò che è accaduto dopo l’incidente.
- Come lo sa?
- Abbiamo riscontri clinici. E poi appena sveglio hai detto di stare meglio…
Adam lo scrutò con aria inquisitoria.
- Semplice analisi grammaticale, ragazzo. Meglio è un avverbio comparativo. Meglio di prima, meglio di quando non riuscivi a parlare. Ricordi che non riuscivi a parlare?
- Sì.
- Guarda Adam che è importante, direi fondamentale, perché almeno possiamo ricostruire la tua memoria passata.
- Vorrei uno specchio, dottore.
- Di norma sarebbe un’ottima idea, ma devo avvisarti che in questo momento non sei uno splendore, ragazzo. L’incidente ci ha costretto a… insomma hai subito degli interventi.
- Mi trovi uno specchio, per favore.
Quello che vide nella superficie riflessa fu un ammasso di bende e garze, macchiate di sangue. Gli fasciavano per intero la testa. Gli occhi – soltanto quelli poté esaminare – erano due buchi neri. Lo scrutavano come fossero quelli di un estraneo. Il ragazzo reclinò il capo all’indietro, rassegnato.
- Faremo di nuovo un’iniezione adesso. Al tuo risveglio cominceremo a lavorare sui tuoi ricordi.
*
- Bene Adam, come ti senti oggi?
Il ragazzo non rispose.
- Ricordi la nostra chiacchierata di ieri?
Annuì.
- Bene. Oggi dovresti riuscire a muovere le dita, vuoi provare?
Per lo sforzo si morse un labbro fino a farlo sanguinare. I tendini del collo si tesero e le vene si gonfiarono, ma nessun dito si mosse.
- Va bene, riproveremo più tardi. Adesso vorrei che tu guardassi delle cose con me. Si tratta di disegni, oggetti e fotografie. Vorrei che tu mi dicessi cosa sono, oppure cosa pensi che siano, d’accordo?
- Va bene.
- È possibile che sentirai delle piccole scosse elettriche, non preoccuparti. Sono stimolazioni che indurrò nell’area dell’ippocampo, non c’è alcun pericolo.
Il primo oggetto era una fotografia che ritraeva quattro persone sorridenti, in un parco. Poteva essere una famiglia.
- Li conosci?
Di sicuro era una famiglia. Sembravano spensierati, felici. Tra i piedi della bambina faceva capolino anche un cane, un cucciolo di cocker spaniel inglese. Adam si chiese dove fosse la sua, di famiglia. Ne aveva una? Quanto alla fotografia non riconobbe nessuno.
- No. Chi sono?
Il medico scagliò un’occhiata di complicità oltre una finestra di vetro riflettente, dietro il quale si presume ci fossero altre persone ad assistere. Forse psichiatri, o altri medici. O forse le persone della foto?
- Guarda bene per favore, proprio non riconosci nessuno di loro?
- No, mi dispiace.
Il secondo oggetto era una pipa a sassofono in schiuma di mare. Anche questo oggetto gli sembrò del tutto estraneo. Forse era per via delle condizioni in cui versava, ma la sola idea di fumare lo disgustava. Non immaginava comunque sé stesso come un tipo da pipa.
Il medico mostrò al ragazzo una caricatura su un foglio di carta, un cubo di Rubik, infine la piastrina militare in argento di un certo sergente Adam Korby.
Nulla che gli richiamasse un ricordo. Quel nome, Adam Korby, immaginò che fosse il suo, ma continuava a suonargli estraneo.
- Vorrei vedere la mia famiglia, dottore.
Sperando che io ne abbia una, pensò tra sé e sé.
Il medico abbozzò un sorriso di circostanza e assentì.
- Una cosa alla volta, ragazzo. Per oggi direi che basta così.
Si palesò di nuovo la bella dottoressa, munita della solita siringa col liquido rosa, per spedirlo tra le braccia di Morfeo.
*
- Adam, sei sveglio?
Avevano sforato già di mezz’ora. Il ragazzo non dava ancora segni di vita.
- Adam? Se puoi almeno sentirmi ti prego di fare un cenno.
Il medico gesticolò rivolto verso il vetro riflettente. Un istante dopo la dottoressa si precipitò in sala.
- Ha interrotto la somministrazione farmacologica come da programma?
- Sì, dottore.
- Ha eseguito la stimolazione in modo corretto?
- Certo.
- Pressione arteriosa?
- Nella norma.
Il medico si grattò il capo, poi estrasse dal camice una piccola torcia a forma di penna, aprì le palpebre del paziente e gli puntò la luce dritta sulle pupille. Prese uno stetoscopio e lo auscultò.
- Faccia venire subito il generale.
Dentro l’alta uniforme, alla quale erano appese decorazioni a nastro, placche e fasce in gran quantità, un uomo massiccio e claudicante avanzò con l’aiuto di un bastone. Si avvicinò al ragazzo, poi al medico.
- Abbiamo perso anche questo, colonnello?
- È ancora vivo, ma temo sia inservibile. Abbiamo fallito ancora, generale.
- Abbiamo? Ha fallito. Lei ha fallito ancora, dottore.
Il colonnello avrebbe voluto dissentire, invece si limitò a torturare il meccanismo a molla della penna, abbozzando una qualche giustificazione.
- La prima fase è andata alla perfezione, già ieri non aveva più traccia della precedente memoria. Non ha riconosciuto neanche il suo nome, sé stesso né la sua famiglia. Non aveva nessun ricordo.
- Ma poi qualcosa è andato storto – eccepì il generale.
- Il problema si è presentato nell’acquisizione di una nuova memoria indotta. Dopo l’ultimo coma farmacologico gli abbiamo somministrato i farmaci sperimentali e lo abbiamo collegato all’induttore, ma si è risvegliato nelle condizioni che vede…
- È l’undicesimo, dico bene?
Il colonnello slacciò il camice con fare frenetico, inconsolabile.
- Eppure si trattava di un soggetto giovane, sano, privo di esperienze traumatiche pregresse, con un elevato quoziente intellettivo. Un candidato ideale…
- Ne trovi uno più ideale allora, veda di non fallire ancora! - tuonò il generale, zoppicando verso l’uscita.
- Sissignore.
Dopo che il superiore fu uscito la dottoressa prese temperatura, pressione e polso al ragazzo.
- Cosa facciamo, signor colonnello?
Il medico portò le mani al volto, per stropicciare gli occhi e frizionare le tempie. Sbuffò.
- Siringa blu.
- Ricevuto. Per la procedura…
- Sì, come gli altri. Eroe di guerra. Funerale di Stato e tutto il resto.
- Signorsì.