La stanza proibita
Inviato: 20/04/2020, 0:59
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Iniziava a fare buio e le luci erano spente. I due bambini erano soli in casa, davanti alla porta chiusa.
- Ho tanta paura, disse Mario.
Lo disse con toni neutri, come non si trattasse di una emozione ma di uno stato di fatto oggettivamente valutabile, ovvio, a lui esterno. Come dicesse piove. Mentre parlava aveva già dimenticato la paura, distratto da chissà cosa. I bambini compiono evasioni portentose.
Il pomeriggio si scuriva piano. Era opaco e incerto. Si trasformava in una sera che già volgeva al termine. Era uno di quei periodi dell’anno che sfuggono, e bisogna ogni volta fare mente locale per ricordare dove si è, quando si è. Arturo stringeva in mano un piccolo temperino con la lama aperta. Mario gli era dietro, ed aspettava, la sua sagoma un po’ più piccola compresa prospetticamente nella sagoma del fratello. Una posizione gerarchicamente impeccabile, da rispettare senza necessità di perché, nell'ordine primitivo delle cose; chi meno sa, meno patisce. Crescere è il deterioramento progressivo e irrimediabile di un mondo completo e comprensibile.
- Non ti preoccupare, disse Arturo.
Teneva stretto forte il temperino. A qualcosa doveva pur servire: senza sarebbe stato peggio. La porta chiusa si stagliava alta. Gli sussurrava che non era abbastanza grande. Alla maniglia arrivava già da un pezzo, avrebbe potuto aprire ed entrare in ogni momento, se solo avesse voluto.
Ma non voleva. Il padre aveva detto: “Non entrate in quella stanza”. Non si può disobbedire. Il padre è un oracolo da compiacere: contiene passato, presente e futuro. E' necessario fare tutto il possibile perché sia contento, anche se non lo sarà mai, mai, mai. Dalla sua bocca escono parole vere: devi fare come ti dice di fare, cercare di essere come lui vuole che tu sia. Forse semplicemente non sei in grado. Bisogna tentare però. E' difficile, perché lui non dice come vuole che tu sia. Dice solo come vuole che tu non sia. Ma si può stare sempre attenti, ricordare e cercare di capire. Anche se capisci che non riuscirai.
La situazione era penosa anche per questo motivo. La stanza era interdetta, al di fuori di ogni dubbio. Tuttavia, come comportarsi in una situazione di emergenza? Non potevano sapere, senza prima aprire, cosa faceva rumore lì dentro.
Avevano sentito il rumore mentre guardavano la TV. Avevano abbandonato la cameretta ed erano alla porta della stanza chiusa. Erano soli in casa ed erano spaventati. Il rumore non si interrompeva mai. Non capivano cosa potesse produrre quel suono, dall'altra parte.
Sembrava un raschiare; come di unghie sulla porta. A volte lento, a volte veloce, frenetico. Impossibile dire cosa. Una spiegazione era sempre più necessaria.
- Sai cosa – disse Arturo – sai, Mario! Ho capito. Mamma e papà vogliono regalarci un cagnolino per Natale. Lo hanno messo in questa stanza per non farcelo trovare. E’ il cagnolino che graffia la porta!
Potrebbe essere, si disse per un attimo. Ma poi sapeva che non era così. E' una cosa che voglio io, non che vogliono loro.
- Che bello – disse Mario. – Ma perché fa così?
- Forse ha fame, o si sente solo.
- Io credo che dobbiamo aprire la porta e dargli da mangiare. Mica può stare chiuso fino a Natale?
Quando sarebbe arrivato il Natale? Da lì dentro, impossibile dirlo. Le scadenze, i ritmi, le date e gli orari, sono il respiro del mondo di fuori. Qui dentro casa il tempo è informe; I giorni sono frammenti di specchio, gli eventi sono casuali e privi di ogni possibilità di previsione; si inciampa nel tempo, te lo trovi tra i piedi e non sai che farci.
- Apriamo? Insistette Mario.
- Vorrei tanto. Vorrei tanto, disse Arturo sottovoce.
All'improvviso il rumore cambiò. Ora sembrava che una mano battesse con violenza contro il pannello di legno. Un suono forte, terrificante.
I bambini trasalirono. Mario cacciò un urlo soffocato, da persona adulta; Arturo rimase lì pietrificato, con il freddo in tutto il corpo, incapace perfino di gridare.
Questo è il mio incubo. Tutte le notti. Bussano alla porta, ma non bisogna aprire. La forza dall'altro lato è irresistibile, riduce la porta a brandelli, entra, mi abbranca, non ho scampo. Una porta chiusa non basta.
La mano continuava a battere.
- Mario, corri, va nella camera, gridò Arturo, cercando di farsi sentire al di sopra del suono assordante. Mario corse via, poi tornò sui suoi passi, si nascose ma faceva capolino, per osservare il fratello. Non poteva lasciarlo lì da solo: era un bambino coraggioso.
- Vieni via, vieni qui anche tu, diceva. Nella sua voce c’era una vena di disperazione. Sapeva che Arturo non avrebbe lasciato quella porta.
- Non c’è niente da fare, diceva Arturo tra sé. Non si può fuggire: non c’è un posto dove nascondersi. Quando è necessario soccombere, bisogna farlo.
Arturo guardò la toppa della serratura; la chiave era infilata lì, bastava girare. I colpi si facevano sempre più violenti, tutta la porta ne vibrava, la chiave veniva spinta fuori dalla toppa finché cadde a terra. Arturo si chinò e la prese. Le mani gli tremavano. Non fu facile rimetterla nella toppa. Sentiva quella mano misteriosa battere sempre più vicina al suo volto, quasi che la porta che li separava non fosse altro che una necessità mentale, un paravento dialettico tra due dimensioni intimamente commiste, ma che riteniamo, per buon senso, distinte e separate l’una dall'altra. Non c’era davvero bisogno di quella porta; ed Arturo infatti si apprestava ad aprirla.
Quando Arturo cominciò a girare la chiave nella serratura, però, i colpi cessarono. Non si sentiva più niente. Mario faceva capolino da dietro l’angolo.
- Cosa c’è? Chiese con ansia quando la porta fu aperta.
Dalla stanza proibita non veniva alcuna luce; alcun suono. Il buio più assoluto. Profondo tanto da non lasciar vedere nemmeno poca luce filtrare dalla tapparelle chiuse. Arturo vi si affacciò solo con il naso dentro, non muovendoci neppure un passo per la paura che non ci fosse nemmeno il pavimento. Poteva, per quel che sembrava, essere un pozzo senza fondo.
- Niente. Non c’è niente, rispose mentre entrava, chiudendosi la porta alle spalle.