La mosca
Inviato: 20/06/2020, 22:56
Ogni volta che Giobbe doveva recarsi all'Agenzia delle Entrate il nervosismo si presentava già di prima mattina.
Quel giorno mentre stava ordinando meticolosamente uno sopra l’altro tutti i documenti, fu richiamato dalle grida di stupore della sua compagna. Uscì sul terrazzo e vide che la candela accesa ogni sera davanti all'immagine di Maria che scioglie i nodi si era tutta liquefatta sul piattino che la sorreggeva. Giobbe con tipica intraprendenza brianzola fece segno che non c’era nessun problema, e armatosi di coltello finemente seghettato, cominciò a togliere a piccoli pezzetti la cera incollata. Un lavoro apparentemente semplice sennonché la lama, al contatto con la ceramica, scivolò via maligna finendo la corsa sul suo pollice. Due centimetri di movimento dell’arnese fecero sì che una buona quantità di sangue cominciò a fuoriuscire dalla ferita.
Le urla e le imprecazioni si sprecarono, salendo al cielo nella mattinata silenziosa. Non contento e non sapendo con chi prendersela, in una fase di nervosismo energico diede un calcio al sacco vicino al tavolo che conteneva vestiti stracciati da gettare in discarica.
Il colpo fu troppo preciso e come un pallonetto sorvolò il muro del balcone per precipitare nel giardino sottostante. A breve distanza di circa due decimi di secondo anche la ciabatta fece lo stesso tragitto.
Giobbe, rimasto sorpreso, guardò subito in basso e là, nell'erba, vide sia il sacco sia la ciabatta separati da una trentina di centimetri. Non si perse d’animo e sotto lo sguardo attonito della compagna nel vederlo scalzo a metà, s’infilò le scarpe e scese al piano di sotto.
Suonò il campanello e subito una signora gli aprì la porta. Non si era preparato un discorso concreto e adducendo teorie varie, tra cui un taglio al dito che nulla aveva a che fare con le cose precipitate, si fece strada verso il giardino e recuperò il tutto. Uscì velocemente salutando la signora che come nulla fosse ricambiò con simpatia. Fu la prima lezione della giornata: tu puoi fare quello che vuoi ma devi essere terribilmente concentrato per metterlo in pratica, pensò mentre faceva le scale.
Tornato di sopra, si vestì, recuperò tutti i documenti e partì.
Arrivò all'Agenzia alle nove di mattina e subito cominciò a provare un gran fastidio. Non gradiva gli ambienti chiusi, l’aria umidiccia e insalubre, gli afrori delle persone incollate a cellulari sempre più grandi.
La gente in coda era tantissima e per non tediarsi ulteriormente ne approfittò per osservarla. Faceva sempre così. La annusava, e ogni volta che s’imbatteva in un profumo nuovo, aveva sempre una reazione ambivalente. Se da un lato provava lo sgomento del signorino di campagna al cospetto di siffatto odore, dall'altro subiva suo malgrado un’erezione importante. Si era spesso chiesto se le due cose fossero in antitesi o se una fosse il preludio dell’altra.
A coronamento del giorno no che rappresentava quella permanenza, gli capitava spesso di dover andare in bagno.
Fu così anche quel giorno.
Chiamavano il numero diciotto mentre lui aveva il ventotto. Pensò che avrebbe potuto ritirarsi e ritornare in tempo per essere pronto alla presentazione dei documenti.
Si affrettò il più velocemente possibile ma lo trovò occupato.
Attese pazientemente un paio di minuti, poi poté entrare.
La toilette era molto piccola e incredibilmente maleodorante, perché non aveva finestre e neppure un impianto di aerazione. Giobbe in fretta e furia slacciò i pantaloni e si sedette.
Una mosca girava fastidiosamente simile agli aerei della prima guerra mondiale, su e giù ininterrottamente planando ora sul lavandino ora sulle piastrelle sporche. Di sicuro stazionava lì da parecchio tempo. Inebriata dalle puzze che ammorbavano l'aria ed eccitata fino allo spasimo dall'elevatissimo tasso di umidità, era diventata particolarmente aggressiva, come quegli insetti che nelle sere estive cercano di infilarsi con insistenza nelle orecchie o nel naso. Giobbe sentiva il maledetto ronzio che si avvicinava minaccioso, zzz ZZZZ zzzzzzzzzzzzzz per poi tornare a volteggiare nell'aria, prendere la rincorsa e ritornare all'attacco.
Si sentiva nervoso e disturbato e cominciava a sudare. Nonostante gli sforzi profusi non riusciva a evacuare.
A un certo punto sentì bussare alla porta.
"Occupato" rispose per evitare che l’energumeno di turno la sfondasse.
"Oh scusi aspetto" gli rispose la voce dall'altra parte.
Giobbe con un gioco di parole pensò allo stronzio, quel metallo dal nome pertinente visto la situazione in cui si trovava. Non sapeva che consistenza avesse e dove si trovasse in natura e la domanda, per quanto sciocca, pensò che avrebbe assunto toni sublimi per un antropologo, nel vedere come l’uomo mantenga sempre una propria curiosità intellettuale anche nei momenti più disparati.
Digrignava i denti, strizzava gli occhi tirando i tendini della gola per spingere con estremo vigore; per uscire dall'apnea ogni tanto prendeva ampie boccate d'aria fetida, per ricominciare a spingere con maggior forza.
Toc toc, toc toc, "Scusi manca molto? È urgente, sono il direttore dell'ufficio."
Giobbe pensò in slang lombardo - E mì su de fà? –
"Un momento, manca poco" urlò esausto e sudato.
La mosca continuava a imperversare, e quando lo attaccava sulla testa sentiva le zampine attorcigliarsi ai capelli. Per farla desistere doveva smuovere il capo con energia da forsennato.
Il caldo era opprimente e la tensione saliva alle stelle poi, finalmente, Giobbe raggiunse il culmine dello sforzo e con un boato bestiale si liberò.
Che sensazione di benessere! Che sollievo! Che liberazione!
Anche la mosca si era tranquillizzata, non attaccava più e non si sentiva neanche volare.
Un silenzio assoluto regnava in quel bagno angusto, ora che anche l'insettaccio si riposava. Si prese dieci secondi di tempo per riprendersi dalla fatica, poi avrebbe dovuto rivestirsi perché sentiva vivamente lo stringere ansimante del direttore che era fuori ad aspettare.
Quando ebbe finito di sistemarsi, Giobbe inspirò una grande quantità di aria seguendo il metodo ayurvedico che gli aveva insegnato la sua compagna. Una volta espirato il fiato al metano sentì in bocca, alla pressione della lingua sul palato, qualcosa di morbido e inconsistente. Il sapore di quella strana pappa era indescrivibile, un gusto mai provato in vita sua.
Incredulo e inorridito mise due dita in bocca, e ne estrasse una poltiglia nero-verdastra con alcune piccole zampine semoventi.
La lasciò cadere nel water.
Poi tirò l'acqua.
Mentre aprì la porta al direttore, pensò di aver fatto due buone azioni. Con una si era liberato di un ingombro inutile, innominabile a voce alta nei salotti buoni eppur enunciato quotidianamente in tutto il mondo, con l’altra aveva eliminato un insetto fastidioso, contribuendo al mantenimento dell'equilibrio dell’ecosistema terrestre.
La natura vince sempre e anche per quel giorno il mondo era salvo, disse tra sé con un sorriso sbarazzino.
Quella fu la seconda lezione della giornata.
Quel giorno mentre stava ordinando meticolosamente uno sopra l’altro tutti i documenti, fu richiamato dalle grida di stupore della sua compagna. Uscì sul terrazzo e vide che la candela accesa ogni sera davanti all'immagine di Maria che scioglie i nodi si era tutta liquefatta sul piattino che la sorreggeva. Giobbe con tipica intraprendenza brianzola fece segno che non c’era nessun problema, e armatosi di coltello finemente seghettato, cominciò a togliere a piccoli pezzetti la cera incollata. Un lavoro apparentemente semplice sennonché la lama, al contatto con la ceramica, scivolò via maligna finendo la corsa sul suo pollice. Due centimetri di movimento dell’arnese fecero sì che una buona quantità di sangue cominciò a fuoriuscire dalla ferita.
Le urla e le imprecazioni si sprecarono, salendo al cielo nella mattinata silenziosa. Non contento e non sapendo con chi prendersela, in una fase di nervosismo energico diede un calcio al sacco vicino al tavolo che conteneva vestiti stracciati da gettare in discarica.
Il colpo fu troppo preciso e come un pallonetto sorvolò il muro del balcone per precipitare nel giardino sottostante. A breve distanza di circa due decimi di secondo anche la ciabatta fece lo stesso tragitto.
Giobbe, rimasto sorpreso, guardò subito in basso e là, nell'erba, vide sia il sacco sia la ciabatta separati da una trentina di centimetri. Non si perse d’animo e sotto lo sguardo attonito della compagna nel vederlo scalzo a metà, s’infilò le scarpe e scese al piano di sotto.
Suonò il campanello e subito una signora gli aprì la porta. Non si era preparato un discorso concreto e adducendo teorie varie, tra cui un taglio al dito che nulla aveva a che fare con le cose precipitate, si fece strada verso il giardino e recuperò il tutto. Uscì velocemente salutando la signora che come nulla fosse ricambiò con simpatia. Fu la prima lezione della giornata: tu puoi fare quello che vuoi ma devi essere terribilmente concentrato per metterlo in pratica, pensò mentre faceva le scale.
Tornato di sopra, si vestì, recuperò tutti i documenti e partì.
Arrivò all'Agenzia alle nove di mattina e subito cominciò a provare un gran fastidio. Non gradiva gli ambienti chiusi, l’aria umidiccia e insalubre, gli afrori delle persone incollate a cellulari sempre più grandi.
La gente in coda era tantissima e per non tediarsi ulteriormente ne approfittò per osservarla. Faceva sempre così. La annusava, e ogni volta che s’imbatteva in un profumo nuovo, aveva sempre una reazione ambivalente. Se da un lato provava lo sgomento del signorino di campagna al cospetto di siffatto odore, dall'altro subiva suo malgrado un’erezione importante. Si era spesso chiesto se le due cose fossero in antitesi o se una fosse il preludio dell’altra.
A coronamento del giorno no che rappresentava quella permanenza, gli capitava spesso di dover andare in bagno.
Fu così anche quel giorno.
Chiamavano il numero diciotto mentre lui aveva il ventotto. Pensò che avrebbe potuto ritirarsi e ritornare in tempo per essere pronto alla presentazione dei documenti.
Si affrettò il più velocemente possibile ma lo trovò occupato.
Attese pazientemente un paio di minuti, poi poté entrare.
La toilette era molto piccola e incredibilmente maleodorante, perché non aveva finestre e neppure un impianto di aerazione. Giobbe in fretta e furia slacciò i pantaloni e si sedette.
Una mosca girava fastidiosamente simile agli aerei della prima guerra mondiale, su e giù ininterrottamente planando ora sul lavandino ora sulle piastrelle sporche. Di sicuro stazionava lì da parecchio tempo. Inebriata dalle puzze che ammorbavano l'aria ed eccitata fino allo spasimo dall'elevatissimo tasso di umidità, era diventata particolarmente aggressiva, come quegli insetti che nelle sere estive cercano di infilarsi con insistenza nelle orecchie o nel naso. Giobbe sentiva il maledetto ronzio che si avvicinava minaccioso, zzz ZZZZ zzzzzzzzzzzzzz per poi tornare a volteggiare nell'aria, prendere la rincorsa e ritornare all'attacco.
Si sentiva nervoso e disturbato e cominciava a sudare. Nonostante gli sforzi profusi non riusciva a evacuare.
A un certo punto sentì bussare alla porta.
"Occupato" rispose per evitare che l’energumeno di turno la sfondasse.
"Oh scusi aspetto" gli rispose la voce dall'altra parte.
Giobbe con un gioco di parole pensò allo stronzio, quel metallo dal nome pertinente visto la situazione in cui si trovava. Non sapeva che consistenza avesse e dove si trovasse in natura e la domanda, per quanto sciocca, pensò che avrebbe assunto toni sublimi per un antropologo, nel vedere come l’uomo mantenga sempre una propria curiosità intellettuale anche nei momenti più disparati.
Digrignava i denti, strizzava gli occhi tirando i tendini della gola per spingere con estremo vigore; per uscire dall'apnea ogni tanto prendeva ampie boccate d'aria fetida, per ricominciare a spingere con maggior forza.
Toc toc, toc toc, "Scusi manca molto? È urgente, sono il direttore dell'ufficio."
Giobbe pensò in slang lombardo - E mì su de fà? –
"Un momento, manca poco" urlò esausto e sudato.
La mosca continuava a imperversare, e quando lo attaccava sulla testa sentiva le zampine attorcigliarsi ai capelli. Per farla desistere doveva smuovere il capo con energia da forsennato.
Il caldo era opprimente e la tensione saliva alle stelle poi, finalmente, Giobbe raggiunse il culmine dello sforzo e con un boato bestiale si liberò.
Che sensazione di benessere! Che sollievo! Che liberazione!
Anche la mosca si era tranquillizzata, non attaccava più e non si sentiva neanche volare.
Un silenzio assoluto regnava in quel bagno angusto, ora che anche l'insettaccio si riposava. Si prese dieci secondi di tempo per riprendersi dalla fatica, poi avrebbe dovuto rivestirsi perché sentiva vivamente lo stringere ansimante del direttore che era fuori ad aspettare.
Quando ebbe finito di sistemarsi, Giobbe inspirò una grande quantità di aria seguendo il metodo ayurvedico che gli aveva insegnato la sua compagna. Una volta espirato il fiato al metano sentì in bocca, alla pressione della lingua sul palato, qualcosa di morbido e inconsistente. Il sapore di quella strana pappa era indescrivibile, un gusto mai provato in vita sua.
Incredulo e inorridito mise due dita in bocca, e ne estrasse una poltiglia nero-verdastra con alcune piccole zampine semoventi.
La lasciò cadere nel water.
Poi tirò l'acqua.
Mentre aprì la porta al direttore, pensò di aver fatto due buone azioni. Con una si era liberato di un ingombro inutile, innominabile a voce alta nei salotti buoni eppur enunciato quotidianamente in tutto il mondo, con l’altra aveva eliminato un insetto fastidioso, contribuendo al mantenimento dell'equilibrio dell’ecosistema terrestre.
La natura vince sempre e anche per quel giorno il mondo era salvo, disse tra sé con un sorriso sbarazzino.
Quella fu la seconda lezione della giornata.