La piccola guerra di Piero

Spazio dedicato alla Gara stagionale d'estate 2020.

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Roberto
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La piccola guerra di Piero

Messaggio da leggere da Roberto »

leggi documento Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.

Un pomeriggio stavamo seduti all’aperto in un bar-ristorante di Pola, nei cosiddetti ‘giardini’, dove ogni mattina si tiene il mercato della frutta; mentre a lato, in un padiglione coperto, la gente si muove frenetica nel mercato del pesce. Chi è dotato di un olfatto sottile può apprezzare una fragranza caratteristica, da taluni banalizzata superficialmente come ‘puzza’. Sui banconi di cemento e per terra scorrono rivoli d’acqua ed è uno spettacolo per gli occhi ammirare tutti quei pesci ancora rigidi e mucchi brulicanti di granchi.

“Di tuo padre non so quasi niente!” mi diceva Marilena, mentre stavamo seduti al tavolino, all’ombra fresca di un platano.
“Hai ragione, ma non è solo per colpa mia”
“Cosa c’è di così misterioso?”
“Non cè niente di misterioso, solo che è una persona schiva, non gli piace parlare, tanto meno di sé. Io da piccolo pendevo dalle sue labbra, quelle poche volte che mi raccontava di quand’era bambino, e poi ragazzo, della sua scuola…dovevo di continuo dire ‘ e poi?...e allora?’ Per fortuna i bambini non si stancano mai di insistere, alla fine ti costringono a parlare.
Lui si vergogna di tutto, non si è mai aperto con nessuno, nemmeno con mia madre, credo.
Quando raccontava, non ti guardava mai negli occhi, sembrava quasi provare pudore, come se si mettesse a nudo. La testa girata da un’altra parte, lo sguardo perso, sembrava non veder l’ora di finire. Parlava lentamente, poi si interrompeva e bisognava continuamente richiamarlo perché continuasse.
Fra le cose che più mi sono rimaste impresse è la storia di quando fu arrestato dai nazisti, aveva forse sedici anni.
Ricordi quella strada che dal paese porta al mare, quella che passa per Peroj e che abbiamo percorso un’infinità di volte quando facevamo campeggio sulla spiaggia, durante la nostra prima vacanza?”
“Sì, la ricordo molto bene!”
“Da quelle parti mio nonno aveva un terreno, quasi tutti ulivi e un po’ d’orto. Mio padre era abbastanza grande per aiutarlo nel lavoro dei campi.
Dissodavano, bagnavano – lì vicino c’era una specie di stagno che chiamavano ‘lago di Biagio’ - raccoglievano le olive.
La terra è povera, rossa, affiorano di continuo dei lastroni bianchi di roccia calcarea, il terreno è carsico, pieno di buche e anfratti, ed enormi ‘foibe’.
La vanga affonda per non più di dieci centimetri in una terra alluminosa, e subito trova la pietra.

Per quella stradina tornava verso casa, un pomeriggio d’estate, Piero, a piedi, tirando per le briglie l’asinello. Era metà pomeriggio e il sole, implacabile, picchiava sulla testa di uomini e animali. La strada per casa era ancora lunga, troppo lunga.
A un certo punto c’è una brusca curva e non si vede oltre. Si sentivano però delle voci, frasi e parole urlate in tedesco. A Piero mancò la presenza di spirito di tornare subito sui propri passi: ormai aveva già svoltato.
Succede spesso di maledirsi per non aver fatto la cosa giusta quand’era ora. Perché quella scelta e non quell’altra? Perché non sei tornato indietro a gambe levate? Perché non ho parlato, quel giorno, a quella ragazza? Dove sarà, ora? Si potesse riavvolgere il nastro della vita, come si fa per una vecchia cassetta di un film!… Ma il mondo è lì, attorno a noi, insensibile e già tutto svolto!
Vide un camion militare e un gruppo di soldati tedeschi che sbarravano il cammino. Urlavano ordini a dei ragazzi e a degli uomini, tutti con gli occhi spaventati e con facce pallide e sudate, ammucchiati sotto il tendone nel cassone del camion; mentre un paio di altri sfortunati venivano fatti salire a spintoni. Indossavano camicie sdrucite, bagnate di sudore puzzolente sotto le ascelle e sul petto. L’odore della paura.
Era un rastrellamento: un tedesco era stato ucciso dai partigiani quel giorno stesso.
Il caldo era soffocante, l’aria tremolava per lievi correnti calde che salivano dalla strada, bianca di polvere. Il cielo era blu, quasi nero, e su ogni pietra si rifletteva la luce accecante del sole, tanto che gli occhi doloranti erano ridotti a due fessure.
E fra tutto questo splendore campeggiava un vecchio camion verde marcio, rumoroso, sebbene il motore girasse al minimo e guastava la pace di quella terra abbandonata da Dio.
I soldati puntarono il fucile contro Piero e, sempre urlando, lo costrinsero a legare l’asino a un alberello e a salire sul camion, senza curarsi delle sue deboli proteste: poteva forse abbandonare lì la bestia!?
Lui fu l’ultimo a essere arrestato quel giorno – se avesse tardato un po’ a passare non l’avrebbero preso!
Poi il camion partì verso Pola, dov’era il quartier generale.
La notizia del rastrellamento si diffuse immediatamente, i genitori e le mogli degli arrestati non sapevano più che fare, a chi rivolgersi.
Al prete, forse? Ma loro amano tutti, sono fratelli di tutti. C’è sempre una buona ragione che invita alla prudenza!
Andarono dal podestà e si misero a supplicare, a piangere, ad abbracciarsi l’un l’altro.
Il padre di Piero era nel gruppo. Bisognava fare qualcosa: ancora pochi giorni e li avrebbero deportati o, peggio ancora, fucilati.
E’ quello che successe, due anni dopo, a Mario, fratello di Ausilia, futura moglie di Piero e mia madre, ben prima che si conoscessero.
Partigiano, anche lui per scelta quasi obbligata, venne catturato durante un’azione di sabotaggio.
Lo portarono a Dacau assieme a molti altri, stipati in un vagone bestiame.
La parola ‘lager’ è ormai diventata sinonimo di luogo di disperazione, mentre significa semplicemente ‘magazzino’. Per i tedeschi era un magazzino di uomini!
La madre di Mario e la sorela, Ausilia, erano disperate. Partirono dal paese per Pola – non so come ci arrivarono, sono dieci chilometri - e andarono direttamente alla stazione, dove i prigionieri erano già sui vagoni, merce avariata e di nessuna importanza.
Poterono avvicinarsi al treno, nascondendosi dietro qualche colonna, finchè non trovarono il suo vagone.
Era una sera d’inverno e faceva molto freddo; lo videro, nella luce spettrale e gialla di una lampada, attraverso un finestrino con delle grate. Indossava una giacchetta, troppo piccola per lui, e le mani tentavano inutilmente di ripararsi dal freddo ritirandosi dentro le maniche, come fossero moncherini e come fa una tartaruga nel guscio. Riuscirono a parlargli per qualche minuto prima che i soldati le allontanassero con urli e spintoni.
Mia madre batteva i denti dal freddo e dalla paura.
Prima di essere allontanate, riuscirono a passargli, attraverso le sbarre, due pani – tutto ciò che avevano e che erano riuscite a trovare in casa.
‘Solo due pani?’
Furono le ultime parole che gli sentirono pronunciare.
Non seppero più nulla di lui, fin dopo la guerra. Dai documenti ufficiali risultò morto di polmonite.
Tornando alla cattura di Piero, stavano tutti, genitori, fratelli, amici, nel palazzo del municipio, col podestà.
Era questo un brav’uomo, li conosceva uno per uno, i suoi compaesani. Ovviamente era fascista, come tutti, o quasi, allora. Difficile non esserlo.
“D’accordo gente, state tranquilli, me ne occupo io. Adesso tornate a casa”
Partì immediatamente per Pola.
Con chi parlò e cosa disse? Nessuno lo saprà mai! Può essere che si appellasse al senso di umanità del comandante? o al fatto che i prigionieri erano solo dei ragazzi, dei contadini?
Appena scesi dal camion, un ufficiale tedesco chiese: ‘Chi vuole andare a lavorare per la Wermacht?’ Significava salvarsi la pelle, rimanere a Pola, in un campo di detenzione, e lavorare per i tedeschi. Mio padre fu il primo ad alzare la mano ‘io… io’ diceva. ‘Bene, tu per primo…in prigione!’
Il podestà parlò con qualcuno (non credo con quel soldato). Quale che sia la ragione, furono liberati tutti, e tornarono a casa.
Piero era traumatizzato. Lo shock di questa esperienza gli rimase per tutta la vita: ogni volta che vedeva una divisa, anche molti anni dopo - si trattasse anche solo di una guardia di frontiera - perdeva la ragione, si bloccava e cercava rifugio, facendosi piccolo piccolo, sul sedile posteriore dell’auto. Ad ogni passaggio di confine, qualcun altro doveva portare l’automobile. Dopo qualche chilometro, cominciava a rasserenarsi, ma mai del tutto.
Forse anche il postino, con la sua bella divisa, l’avrà messo in uno stato di panico, chissà! Per la verità fa paura anche a chi non è stato così traumatizzato: porta sempre multe o bollettini da pagare! La nostra unica possibilità di rivalsa è il cane, che, ligio al suo dovere, gli addenta invariabilmente l’orlo dei pantaloni.
La fine fu triste e tragica per il podestà.
Subito dopo la guerra, durante quell’infernale periodo che molti si ostinano a non voler chiamare col nome di ‘guerra civile’, si verificò il miracolo: nessuno era mai stato fascista! Tutti erano eroi antifascisti e partigiani!
Tutti….tranne il podestà!
Fu condotto in carcere. L’edificio era situato in un angolo della piazza principale del paese. Una mattina, lo fecero uscire e lo obbligarono a camminare fra due ali di folla inferocita.
‘Dagli al fasista, sputagli in faccia, fai schifo, vergognati!’
Il mucchio fa la forza. Se il vicino urla, tu urli ancora più forte, i volti si alterano dalla rabbia, un rumoreggiare di mille voci riempie l’aria, i freni inibitori cessano di funzionare.
Cominciarono a colpirlo, prima con schiaffi e sputi, poi con pugni, poi a bastonate e con sassi e calci.
Il pover’uomo si schermiva, tentava di ripararsi la testa, si lamentava, dapprima piano, quasi si vergognasse, poi con gemiti strazianti, sempre più deboli, mentre il sangue indicava il suo percorso sul selciato.
Infine crollò a terra e, misericordia divina – misericordia? divina? - perse i sensi e morì, così, in modo infame, vergognoso, come neanche gli animali al macello.
Piero assistette inorridito alla scena, da lontano, un altro terribile e tragico tassello nella sua mente.
Con un senso di vergogna diceva, anni dopo, che non aveva fatto nulla, non aveva cercato di aiutarlo; l’uomo che l’aveva soccorso e gli aveva salvato la vita! Il rimorso si aggiungeva alle sue non poche nevrosi.
Non è facile districarsi in questo ginepraio, meglio lasciar perdere!
Non parlava molto, Piero.
Fra le poche cose che mi diceva una frase mi è sempre rimasta in mente: ‘la politica divide’.
Ci credeva così tanto che, una volta che avemmo una discussione - ero già grande - preferì tacere, mentre gli riversavo addosso i suoi difetti, il suo conformismo, la sua inerzia, il suo evitare sempre i problemi e chissà cos’altro.
Fu una discussione accesa, o meglio, fui solo io a parlare, quasi urlando.
Poi la stanza piombò nel silenzio assoluto.
Eravamo in cucina, c’era anche mia madre, ma nessuno più parlava.
Ora mi vergogno per quel che gli dissi, non mi accorsi che il suo silenzio aveva un solo scopo: impedire che si andasse troppo oltre, che le parole sopravvanzassero il pensiero, che…si alzasse un muro fra noi.
Alle volte tacere è ben più difficile che parlare”.
I nostri piccoli figli continuavano a giocare correndo fra gli alberi, mentre tempi e cose e persone lontanissime da noi ci sembravano ora così vicini e così vivi.
Forse la memoria serve a questo, a far sì che non si muoia mai.
“E poi? Dopo che fu liberato?”
“Andò con i partigiani. Non c’erano alternative: o con loro o con i tedeschi.
Per quasi tre anni camminò per boschi e monti trascinandosi dietro il fucile, sempre più pesante.
Non avevano quasi nulla da mangiare. Come nei film di Charlie Chaplin, bollivano la tomaia delle scarpe. Al termine della guerra pesava quaranta chili.
Un giorno, stanchi, sporchi e affamati come sempre, tre o quattro di loro si trovarono a passare vicino a una cascina.
Chiesero ospitalità e da mangiare e, naturalmente, la ottennero – difficile negare qualcosa a chi ha un fucile in mano!
C’era una donna – il marito si era nascosto di certo in qualche altra stanza o, più probabilmente, era fuggito nei campi. La donna indossava un vestito lungo a piegoni, marrone e sporco, con sopra un grembiule macchiato di sugo, legato in vita. I capelli, tenuti assieme da un fazzoletto sporco anch’esso, erano spettinati e cominciavano a ingrigire. Lo stanzone dove entrarono era una stalla, trasformata in una grossa cucina. Al centro un enorme tavolo di quercia, grezzo e unto, con quattro sedie impagliate e sgangherate intorno, a sinistra una cucina economica con il fuoco acceso, e appesi sopra, sulla cappa, un mestolo e una schiumarola ammaccata. Sul fondo, un passaggio dava in un’altra stanza – forse una dispensa - ed era chiuso da una coperta militare che faceva da tenda, sorretta da uno spago sfilacciato.
Si sedettero, e la donna tirò fuori dal cassettone del tavolo un pane rotondo e ne diede loro metà, l’altra metà la rimise nel cassetto. Poi si allontanò e andò nell’altra stanza, oltre la tenda.
‘Dai Piero, apri quel cassetto e ficca il pane nel sacco. Sbrigati!’
Apre il cassetto: ‘C’è anche del formaggio, che faccio?’
‘Come che fai, prendi tutto, no? Dai, che sta tornando!’
Quando la donna rientrò teneva in mano un salame: ‘Avete già finito il pane!? Ora ve ne dò dell’altro’, e aprì quel cassetto, che ormai era già la terza volta che veniva aperto in pochi minuti. Fece per dire qualcosa, presa alla sprovvista e con la faccia stupita, ma stette zitta e richiuse il cassettone; tornò nell’altra stanza e quasi subito rientrò in cucina portando dell’altro pane e un po’ di formaggio.

La guerra finì, ma non per questo scoppiò la pace.
Ormai l’Istria non era più italiana, l’avevamo persa e in modo poco onorevole.
Adesso gli italiani erano appena tollerati in quella che era stata la loro terra.
I titini la facevano da padroni, chi non era del partito era non solo malvisto ma rischiava anche la pelle.
Si aprì la breve e infame parentesi delle foibe.
Ai contadini venivano portate via le cose essenziali: l’olio, il vino, la farina, le uova, le bestie… qualsiasi cosa; tutto in nome del partito.
La gente era costretta a lavorare nei campi, gratuitamente o quasi. Piero, era appena sposato, dovette andare alla mietitura, pur avendo una febbre da cavallo, pena il non rilascio del visto per l’Italia.
Tutti avevano paura! Già più d’uno era sparito e non si sapeva dove (in realtà si sapeva, ma non si poteva dire). Il vicino sospettava il vicino, nessuno più si fermava in piazza a parlare. Mancavano di tutto.
Il padre di Ausila era l’unico che insisteva, giorno dopo giorno: andiamocene!
Reduce della campagna di Russia della guerra del ’15 – ‘18, con una ferita alla gamba, aveva lavorato a Trieste e non vedeva l’ora di tornarci e di allontanarsi da tutta quella miseria e da quelle ingiustizie.
A forza di insistere, si convinsero tutti: le due famiglie decisero che era ora di fare i bagagli.
Per noi è difficile immaginare cosa voglia dire partire, partire per sempre. Lasciare quei campi, dove il sudore colava dalla fronte; dove ti sedevi sotto il mandorlo a bere quel vino, tenuto fresco nell’acqua dello stagno; a mangiare un melone appena raccolto; lasciare quell’asinello che un giorno ti ruppe i denti con un calcio (ma lo sapevi che non bisognava passargli dietro!); lasciare gli olivi contorti, da cui ricavavi quell’olio così buono, ma che diventava subito rancido perché non sapevi come trattarlo; e la casa….la casa dove avevi passato la giovinezza, quella camera dove ti addormentavi stanco e sereno; e la stalla con le sue bestie calde, le galline che correvano per tutta l’aia, appena fatto l’uovo; ma, più ancora, la gente che ti conosceva da quando eri piccolo, quel cielo che, nelle notti d’estate, sembrava la tela nera di un pittore, riempita di luci e… tutta una vita. Ormai senza più niente, erranti come l’ebreo della leggenda.
Il giorno della partenza da Pola mezzo mondo era sul treno, non un posto a sedere, la valigia nel corridoio, tutti stipati all’inverosimile.
Quando scesero alla stazione di Bologna – una tappa intermedia - avevano i pantaloni e le gonne neri come l’inchiostro, la stoffa appiccicata alle cosce, perché la valigia di compensato su cui tutti si erano seduti era stata verniciata di fresco, e la vernice non voleva saperne di asciugare.
Alla stazione, in attesa del cambio per il sud, passarono la notte senza che nessuno si occupasse di loro; anzi, erano visti come dei reietti, avendo abbandonato la patria del socialismo! Le poche cose che ancora possedevano e che erano racchiuse in un cassone di legno, vennero gettate con malagrazia sulla banchina e, quasi tutte si ruppero.
In centinaia di migliaia partirono. Per dove? Nessuno lo sapeva.
Ma volevano continuare a essere italiani.
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Fausto Scatoli
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Messaggio da leggere da Fausto Scatoli »

la storia è indubbiamente bella e racconta di un periodo davvero brutto, del quale si conosce veramente ancora poco, da una parte e dall'altra.
gli eventi narrati trascinano il lettore, e questa è una forza, però rivedrei un poco la formattazione.
a mio parere qualcosa non quadra, forse mancano delle virgolette.
nel complesso il mio parere è positivo
l'unico modo per non rimpiangere il passato e non pensare al futuro è vivere il presente
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Namio Intile
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Messaggio da leggere da Namio Intile »

Una gran brutta pagina di storia, quella delle province istriane e dalmate. A cui si aggiunse quella di Tripolitania e Cirenaica, e in parte dell'Africa Orientale per molti nostri connazionali.
Tutto grazie al gran pelato, e pensare che ancora qualcuno va in giro col braccio teso.
Bello il racconto, e lo spunto per l'inanellarsi di tanti ricordi partendo da un aperitivo in un bar di Pola.
Il tema ti dà merito, quindi bravo.
Quanto allo svolgimento, a mio modo di vedere ritengo che il testo abbia qualcosa che non funziona.
Per esempio: "Un pomeriggio stavamo seduti all’aperto in un bar-ristorante di Pola, nei cosiddetti ‘giardini’, dove ogni mattina si tiene il mercato della frutta; mentre a lato, in un padiglione coperto, la gente si muove frenetica nel mercato del pesce. Chi è dotato di un olfatto sottile può apprezzare una fragranza caratteristica, da taluni banalizzata superficialmente come ‘puzza’. Sui banconi di cemento e per terra scorrono rivoli d’acqua ed è uno spettacolo per gli occhi ammirare tutti quei pesci ancora rigidi e mucchi brulicanti di granchi."
È un periodo con tre proposizioni, dove a parlare dovrebbe essere la voce narrante o l'io narrante nella specie.
Dunque, inizi con un tempo verbale passato (imperfetto), ma subito viri al presente. Dovevi continuare al passato o attualizzare tutto al presente.
Nella seconda proposizione poi, l'io narrante cede a un'incursione dell'autore: "Chi è... da taluni banalizzata superficialmente come ‘puzza". Perché questa è una tua considerazione, come questa: "ed è uno spettacolo per gli occhi..."
Io, semplicemente avrei scritto: "dove si possono ammirare una quantità di pesci ancora (ma poi perché ancora? Casomai già rigidi) rigidi..."
Questo passaggio dal passato al presente lo effettui anche dopo:"E’ quello che successe, due anni dopo, a Mario, fratello di Ausilia, futura moglie di Piero e mia madre, ben prima che si conoscessero."
Successivamente l'io narrante si perde un po' con il discorso diretto, nel senso che sembra tutto un racconto del protagonista in prima persona, ma mancano delle virgolette. Ma il dialogo è troppo lungo e il racconto perde equilibrio. Questo credo il peccato più grave, segnalato negli altri commenti come un qualcosa che non va generico.
Nulla che non si possa riprendere con una buona rilettura a mente fredda.
Bellissimo il finale.
Un buon lavoro.
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Laura Traverso
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Messaggio da leggere da Laura Traverso »

E' una triste storia la tua, ma è stata vera e terribile. Leggendola sono ritornata molto indietro nel tempo, a quando da bambina ascoltavo con grande interesse le storie sulla guerra raccontate da mio padre. Erano le stesse di cui parli tu. Diceva che alla fine della guerra nessuno era fascista, mentre lo erano tutti durante (per forza!). E per tornare al tuo racconto, lo credo bene che il "tuo" Piero non amasse parlare... La fine del podestà mi ha colpito, come ogni ingiustizia mi fa star male. Ma è la vita, era la guerra con i suoi orrori ad ampio raggio. Bravo! Mi è piaciuta la tua storia.
Roberto
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Re: La piccola guerra di Piero

Messaggio da leggere da Roberto »

Ti ringrazio dell'apprezzamento, Laura. Mi premeva far sapere almeno alcune cose che sono state molto importanti e gravi per tutti noi. Ciao, Roberto
Roberto
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Re: La piccola guerra di Piero

Messaggio da leggere da Roberto »

Grazie anche a voi, Namio, Fausto e Francesco, sia per il vostro apprezzamento, sia per le benevoli e meritate critiche. Un caro saluto, Roberto
Selene Barblan
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Messaggio da leggere da Selene Barblan »

Fin da bambina ho amato ascoltare storie; leggerle è una magia ma ricordo che sentir narrare un bel racconto da qualcuno mi catturava totalmente. Questa è una storia ed è anche Storia; è narrata bene, il dialogo iniziale coinvolge subito il lettore e lo trascina con se. Trovo però che ci sia “troppa carne al fuoco”, che in parte distoglie l’attenzione dalla trama principale. Una lettura piacevole in ogni caso.
Lucia De Falco
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Messaggio da leggere da Lucia De Falco »

Si tratta di un testo molto interessante dal punto di vista storico, perchè attraverso una vicenda individuale ci fa conoscere una situazione generale del passato: la guerra, i partigiani, i fascisti... Il testo è scritto bene dal punto di vista stilistico ed il titolo è ad effetto e calzante. Pur raccontando una realtà triste, non trasmette tristezza, ma energia, soprattutto nel finale.
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Roberto Paradiso
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Messaggio da leggere da Roberto Paradiso »

La guerra è una cosa orrenda. Noi Italiani abbiamo pagato un prezzo enorme e, purtroppo, non abbiamo imparato a fare pace con la nostra storia. Troppi morti di mezzo ed un odio fomentato anche da una brutta politica.
Le vicende del Popolo Istriano, Giuliano e Dalmata, pur non essendo di quelle parti, mi sono note come se fossi uno di loro. Mio padre da ragazzo ha lavorato nel campo profughi di Cinecittà, subito dopo la guerra, poi ha gestito i fondi per le zone di Confine, quando lavorava al Ministero degli Interni, ed insieme alle associazioni Giuliano-Dalmate ho visitato quei luoghi. Ho conosciuto gente come Padre Rocchi e tanti altri esuli che vivono nel quartiere Giuliano-dalmata di Roma dove ho lavorato per 10 anni. Sono iscritto alla locale associazione e partecipo ogni anno alle commemorazioni del 10 Febbraio. La cosa più bella che ho sentito in tutti questi anni, fu il racconto, in occasione della Giornata del Ricordo, da parte del Presidente della Associazione, del suo recente incontro col Sindaco di Pola. Se prima veniva evitato quasi come fosse un appestato, quella volta, in occasione di una celebrazione pubblica, il Sindaco gli si avvicinò, lo abbracciò e lo chiamò fratello. Questo è l'epilogo che vorrei sentire.
Non esistono situazioni senza via d'uscita (James Tiberius Kirk)

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Re: La piccola guerra di Piero

Messaggio da leggere da Roberto »

Ringrazio tutti dell'apprezzamento. E' stato, da parte mia, quasi un tributo a delle persone 'normali' e umili e tenaci. Roberto
Simone_Non_é
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Messaggio da leggere da Simone_Non_é »

Ciao Roberto! Che dire ho trovato il racconto bello a tratti è riuscito ad emozionarmi, scorre fluido ed anche se non è il mio genere sono riuscito ad apprezzarlo. Un altra bella testimonianza di un periodo che è meglio non venga dimenticato
Roberto
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Re: La piccola guerra di Piero

Messaggio da leggere da Roberto »

ti ringrazio dell'apprezzamento, Simone. E' uno scritto che riguarda questa 'povera' gente comune, di cui nessuno parla.
Roberto
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Ida Daneri
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Messaggio da leggere da Ida Daneri »

Un racconto pieno di memorie, scritto col cuore e che tocca il cuore.
Percò ci sono alcuni problemi: i puntini di sospensione ricorrono fin troppo spesso e potrebbero essere sostituiti da una adeguata punteggiatura. Inoltre, i puntini di sospensione vanno a gruppi di tre, niente spazio prima e solo lo spazio dopo.
Ci sono un paio di errori i battitura e il passaggio da un ricordo all'altro non sempre scorre in modo fluido e talvolta pare quasi forzato: andrebbe bene in un dialogo, che è quello col quale il racconto si apre. Ma poi il dialogo si perde e il racconto diventa più un flusso di coscienza.
Roberto
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Re: La piccola guerra di Piero

Messaggio da leggere da Roberto »

Ciao, Ida. Grazie del commento e del tempo speso. Mi pare, però, che la tua attenzione sia più focalizzata sul 'dito' che sulla 'luna'.
Ciao,
Roberto (senza puntini di …sospensione).
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Andrepoz
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Messaggio da leggere da Andrepoz »

Racconto che tratta di una pagina di storia molto dolorosa e spesso trascurata. Come hanno già scritto anche altri prima di me, nel commentare questo lavoro bisogna separare due aspetti: da un lato il tema trattato, e la capacità di arrivare al cuore di chi legge, destando emozioni e sensazioni profonde. Da questo punto di vista, il racconto raggiunge in pieno il suo obiettivo. Dall'altro lato c'è la forma, la capacità di "mettere addosso" al tema, per così dire, un vestito adatto. Qui ci sarebbero in effetti alcune cose da rivedere, perchè tutto nasce come un dialogo, che però poi diventa un vero e proprio flusso narrativo, nel quale si fatica un po' a capire di chi sia la voce narrante. Sistemando questi aspetti, il racconto acquisterebbe ulteriore forza.
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La Gara 63 - Treni e stazioni

(marzo/aprile 2017, 30 pagine, 932,81 KB)

Autori partecipanti: Massimo Tivoli, nwGabriele Ludovici, nwGiorgio Leone, nwMirtalastrega, nwDaniele Missiroli, nwFabrizio Bonati, nwAngela Catalini, nwManuel Crispo, nwPatrizia Chini,
A cura di Ida Dainese.
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Alcuni esempi di nostri libri autoprodotti:


Dentro la birra

Dentro la birra

antologia di racconti luppolati

Complice di serate e di risate, veicolo per vecchie e nuove amicizie, la birra ci accompagna e ha accompagnato la nostra storia. "Dentro la birra", abbiamo scelto questo titolo perché crediamo sia interessante sapere che cosa ci sia di così attraente nella bevanda gialla, gasata e amarognola. Perchè piace così tanto? Che emozioni fa provare? Abbiamo affidato questa "indagine" a Braviautori, affinché trovasse, tramite l'associazione e il portale internet, scrittori capaci di esprimere tali sensazioni. E infatti sono arrivati numerosi racconti: la commissione ne ha scelti 33. Nemmeno a farlo apposta, 33 è la quantità di centilitri di un gran numero di bottiglie (e lattine) di birra; una misura nota a chi se n'intende.
A cura di Umberto Pasqui e Massimo Baglione.

Contiene opere di: nwAndrea Andreoni, nwTullio Aragona, Enrico Arlandini, Beril, Enrico Billi, nwLuigi Bonaro, Vittorio Cotronei, Emanuele Crocetti, nwBruno Elpis, Daniela Esposito, Lorella Fanotti, Lodovico Ferrari, Livio Fortis, Valerio Franchina, Luisa Gasbarri, Oliviero Giberti, Elena Girotti, Concita Imperatrice, Carlotta Invrea, Fabrizio Leo, Sandra Ludovici, Micaela Ivana Maccan, Cristina Marziali, Stefano Masetti, Maurizio Mequio, nwSimone Pelatti, Antonella Provenzano, Maria Stella Rossi, Giuseppe Sciara, nwSalvatore Stefanelli, nwSer Stefano, nwSunThatSpeed, Marco Vignali.

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Non spingete quel bottone

Non spingete quel bottone

antologia di racconti sull'ascensore

Hai mai pensato a cosa potrebbe accadere quando decidi di mettere piede in un ascensore? Hai immaginato per un attimo a un incontro fatale tra le fredde braccia della sua cabina? Hai temuto, per un solo istante, di rimanervi chiuso a causa di un imponderabile guasto? E se dietro a quel guasto ci fosse qualcosa o qualcuno?
Trentuno autori di questa antologia dedicata all\'ascensore, ideata e curata da Lorenzo Pompeo in collaborazione col sito BraviAutori.it, hanno provato a dare una risposta a queste domande.
A cura di Lorenzo Pompeo
Introduzione dell\'antropologo Vincenzo Bitti.
Illustrazioni interne di Furio Bomben e AA.VV.
Copertina di Roberta Guardascione.

Contiene opere di: Vincenzo Bitti, Luigi Dinardo, Beatrice Traversin, Paul Olden, Lodovico Ferrari, Maria Stella Rossi, Enrico Arlandini, Federico Pergolini, Emanuele Crocetti, nwRoberto Guarnieri, nwAndrea Leonelli, nwTullio Aragona, nwLuigi Bonaro, nwUmberto Pasqui, Antonella Provenzano, Davide Manenti, Mara Bomben, Marco Montozzi, Stefano D'Angelo, Amos Manuel Laurent, nwDaniela Piccoli, Marco Vecchi, nwClaudio Lei, Luca Carmelo Carpita, Veronica Di Geronimo, Riccardo Sartori, Andrea Andolfatto, Armando d'Amaro, Concita Imperatrice, Severino Forini, nwEliseo Palumbo, nwDiego Cocco, nwRoberta Eman.

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A modo mio

A modo mio

antologia AA.VV. di opere ispirate a storie famose, ma rimaneggiate dai nostri autori

A cura di Massimo Baglione.

Contiene opere di: nwSusanna Boccalari, nwRemo Badoer, nwFranco Giori, nwIda Daneri, nwEnrico Teodorani, Il Babbano, nwFlorindo Di Monaco, Xarabass, Andrea Perina, Stefania Paganelli, Mike Vignali, Mario Malgieri, nwNicolandrea Riccio, Francesco Cau, Eliana Farotto.

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