Cercando di Alice
Inviato: 29/06/2020, 7:50
Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.
Dario sollevò la cornetta e compose un numero con attenzione. La mano un pò’ tremante non aiutava.
“I telefoni dei miei tempi, col loro bel disco, erano migliori, difficile sbagliare, con questi tastini invece…” Il pensiero ricorrente venne interrotto da una voce:
- Pronto?-
- Buongiorno, c’è la signora Alice per favore?-
La voce femminile dall’altra parte del filo era seccata:
- Qui non c’è nessuna Alice, ha sbagliato - e subito dopo la linea fu interrotta.
Dario, un vecchio signore che conservava una sua canuta dignità nonostante gli ottant’anni e i molti problemi di salute, era seduto in poltrona, il telefono posato sulla sedia. Si aggiustò gli occhiali sul naso, spuntò un numero dall’elenco che aveva davanti e appoggiò la penna con un sospiro, quella telefonata era la sesta che faceva quel pomeriggio, o forse la settima, non ricordava bene.
Tutti quelli che avevano risposto avevano riattaccato subito, frettolosi, seccati o, nella migliore delle ipotesi, indifferenti.
Vicino, sul tavolino di cristallo, tra una serie infinita di confezioni di medicinali e una bottiglia d’acqua, c’era una vecchissima radio, di quelle col mobile di legno e il quadrante luminoso. La sua voce oramai era flebile, coperta da fruscii e da scariche, ma al vecchio faceva compagnia.
- Nonno - aveva detto Giorgio, suo nipote, durante una delle rarissime quanto brevi visite - è ora di comprarti la televisione. Se vuoi butto via la vecchia radio e ti porto un bel televisore tutto nuovo -.
Ma lui non aveva voluto: amava la sua radio, era stata una fedele compagna per tantissimi anni. Quante canzoni avevano sentito, lui e sua moglie, magari mentre lei sfaccendava, e la domenica mattina, ancora a letto a coccolarsi con la musica in sottofondo. Poi sua moglie se l’era presa un brutto male, ma la radio aveva continuato a suonare per lui col suo tono morbido, d’altri tempi.
Era la solitudine, il male più doloroso. Una volontaria veniva ogni tre giorni, a portare un po’ di spesa, a controllare che non mancassero le medicine e a scambiare due parole. Per il resto, lui se la cavava abbastanza bene, ma non aveva nessuno con cui parlare.
E allora si era inventato il gioco del telefono.
Sceglieva un numero a caso dall’elenco, poi lo scriveva cambiando ogni volta qualche cifra, e si metteva a chiamare quella decina di numeri sconosciuti.
Chiedeva di una persona col nome improbabile: aveva scelto Alice perché era poco diffuso, così poteva dire di aver sbagliato numero, ma se poteva, attaccava discorso con chi era dall’altra parte del filo.
Di solito non aveva successo: la gente ha sempre fretta e non ha voglia di perdere tempo con chi sbaglia numero, ma qualche rara volta era riuscito persino a scambiare poche frasi sul tempo o su altri argomenti banali.
Un’improvvisa sonnolenza lo colse, facendogli reclinare la testa. Non voleva dormire, doveva fare ancora una telefonata… voleva parlare con qualcuno…
Dario scelse un altro numero e lo compose a fatica - Pronto? C’è la signora Alice per favore?-
Una voce di donna, dolce e serena, rispose subito.
- Io sono Alice, chi parla?-
Dario si trovò a guardare la cornetta, frastornato: si era talmente abituato a non aver fortuna nel suo innocente gioco che l’aver finalmente trovato Alice lo lasciava a bocca aperta, silenzioso.
- Pronto?-
La voce della donna non tradiva alcuna fretta, né insofferenza. Solo una tranquilla attesa.
Il vecchio era ancora disorientato: - Oh… non… non credevo che rispondesse veramente.-
Una risata spontanea e allegra gli giunse all’orecchio.
- Beh, se stava cercando la signora Alice, chi pensava le rispondesse? Posso fare qualche cosa per lei?-
Dario si trovò a sorridere. Si sentiva arrossire, come un monello che l’ha fatta grossa ma sa che può contare sulla benevolenza di chi l’ha colto in fallo. Decise di svelare alla donna il suo gioco, e se anche lei lo avesse considerato un vecchio rimbambito, pazienza.
- Vede, veramente io non cerco la signora Alice. Avevo bisogno di parlare con qualcuno, altrimenti disimparo anche a parlare e pensavo… Mi rendo conto di aver fatto una stupidaggine, mi spiace averle fatto perdere tempo, ma…-
Non sapeva come uscirne: non riusciva a spiccicare parola, si sentiva sciocco e gli dispiaceva mostrarsi tale proprio con lei.
- Guardi che mi sta facendo una cortesia, sa? Non tema di disturbare. Vede, sono a casa, momentaneamente immobilizzata per una banale caduta e se riesco a parlare con qualcuno, ne sono felice. Non posso tenere al telefono le mie amiche, non più di tanto almeno, hanno da fare, per cui se vuole chiacchierare un po’ con me…-
Dario si affrettò a rispondere, quasi temesse di sentir cadere la linea se non ne avesse approfittato subito: - Ma certamente. Mi spiace per lei, spero non sia nulla di grave. Anche la mia Emma era su una carrozzina, gli ultimi anni, ma lei era vecchia, come me, e invece lei deve essere molto giovane. Ha una voce così dolce e paziente…-
- Sua moglie non c’è più, vero? E lei ne sente la mancanza…-
- Non sa quanto. Abbiamo vissuto tutta la vita insieme; era ancora una bambina quando le ho detto “Emma sbrigati a crescere, che quando diventi grande ti sposo”. E lei mi ha aspettato. Era bella, la mia Emma, avrebbe potuto avere altri ragazzi, ma ha scelto me…-
- Ma adesso ci saranno i figli, e i nipoti. Non sarà solo, vero?
Alice conversava serena, ascoltava, interveniva, sempre con quella voce pacata e senza mai dimostrare fretta. Dario si godeva quei momenti inaspettati di gioia, preoccupato solo di non sembrare banale – perché tale invece si sentiva – ma con Alice era straordinariamente semplice trovare un argomento di conversazione. Sembrava persino fosse lei a guidarlo con tatto verso quello che da anni ormai era il suo pensiero fisso, la moglie che se ne era andata e che lo aspettava, di sicuro, come lo aveva aspettato da giovane.
- Vorrei tanto sapere che la mia Emma è felice, adesso – sospirò a un tratto, con gli occhi fissi alla fotografia incorniciata, da cui una donna radiosa gli sorrideva. - Non siamo mai stati ricchi, sa? Abbiamo fatto studiare i figli, ma quanto lavoro, povera la mia Emma, quanta fatica! E poi, quando sarebbe stato giusto fermarsi e riposare insieme, lei se n’è andata…-
La voce di Dario si era incrinata, ma subito Alice riprese a confortarlo.
- Emma ora sta bene e ti aspetta. Quando verrà il tuo momento la raggiungerai, e sarete di nuovo felici.-
La donna era passata al tu, con la semplice confidenza delle persone gentili. Dario si trovò a risponderle con la stessa confidenza: gli sembrava di conoscerla da sempre, ed era meno di un’ora che si parlavano.
- Oh, non so. La mia Emma è in paradiso, adesso. Non ha mai fatto altro che del bene, lei, santa donna. Ma io… beh, io da giovane sono stato un brigante, sa? Mi piacevano le donne, tanto. Ma quando mi sono sposato non ho più voluto averne altre, oltre alla mia Emma. Però mi scappavano certe parolacce, alle volte, quando il lavoro mancava, e io volevo che i miei figli invece avessero il meglio…-
Alice sorrideva, rispondendo: - Non temere, Dario. C’è un pezzetto di paradiso anche per te, io lo so. Magari ti metteranno in un angolino, mentre Emma sarà seduta comoda, ma sarete di nuovo insieme. Ora però ti devo lasciare.-
Dario sentì una fitta di rimorso: quanto tempo aveva rubato ad Alice, così gentile e disponibile! Magari l’aveva fatta tardare per la cena. - Scusami, hai ragione. Ti ho monopolizzato per un bel po’, ma… - non osava chiederlo. Però alla fine si decise: - Posso richiamarti domani? -
- Certo, domani sera alla stessa ora. Sarò a casa - aggiunse con un pizzico d’ironia.
Il resto della notte trascorse sereno, Dario dormì persino senza aver preso le solite gocce.
L’indomani si sentiva strano e un po’ confuso, le gambe lo sorreggevano a stento. Gli pareva che il tempo trascorresse troppo lentamente, mentre aspettava con impazienza che venisse finalmente il momento di telefonare. Lui aveva un appuntamento, si ripeteva quasi incredulo.
Aveva sottolineato con cura il numero chiamato per ultimo il giorno prima e quando arrivò il momento, lo compose con attenzione. Sorrideva, ma quando udì una voce maschile, ebbe come un tuffo al cuore. Le parole gli giunsero come pugnalate:
- Qui non c’è nessuna Alice, ha sbagliato. - Subito dopo la linea fu interrotta.
Non era possibile, le aveva parlato ieri! Forse aveva sbagliato veramente, preso dall’ansia.
Lo ricompose con estrema lentezza, questa volta era di certo quello giusto.
Il telefono squillò per pochi secondi, poi la stessa voce di prima rispose già con un tono seccato:
- Pronto! –
Dario sentì il cuore che pareva volergli uscire dal petto, ma si fece forza e riuscì a sussurrare:
- Mi scusi, ma vorrei davvero parlare con la signora Alice, me la può passare per favore?-
- Le ho già detto che qui non c’è nessuna Alice, controlli quel numero e la pianti di rompere le scatole.-
Sembrò quasi di sentire la cornetta sbattuta con forza sulla forcella.
Dario restò pensieroso mentre riattaccava a sua volta. Ma com’era possibile? Le aveva parlato, e lei non solo gli aveva risposto, ma aveva capito. Gli aveva riempito l’anima di calore, gli aveva rischiarato la giornata con la luce della speranza.
Era stato tutta un sogno, aveva scambiato un sogno per la realtà? Allora aveva ragione suo nipote a dire che il cervello iniziava a giocargli degli scherzi.
Restò a lungo sulla poltrona, la testa reclinata, le palpebre pesanti, non riusciva a pensare ad altro… eppure gli era parso tutto così reale, gli sembrava di sentirla ancora, quella voce, pareva lì, nella stanza, gli stava parlando.
- Dario, mi hai cercata così a lungo e ora che mi hai trovata io non ti lascerò più -
Si guardò intorno. L’oscurità lo circondava. “Strano”, pensò, “è solo il tardo pomeriggio” e poi quelle parole: parevano appena sussurrate, coperte da rumori e fruscii come se… la radio!
Dario guardò verso la vecchia radio sul tavolino. Era accesa, eppure lui l’aveva spenta prima di telefonare, ne era sicuro: non voleva avere altri suoni a disturbarlo mentre avrebbe parlato con Alice.
Ma nel buio della stanza il quadrante brillava della sua luce gialla che si rifletteva sul vetro del tavolino.
- Alice, allora ci sei… ma come posso sentirti, sei lì dentro?-
- Certo che ci sono, e percepisco il tuo animo così come lo percepivo ieri. Io so di cosa hai bisogno, e se ti fidi di me, non dovrai cercarlo più. Ora resta seduto, apri il tuo cuore e ascoltami.-
Dario ubbidì, sorridendo. Restò sulla poltrona, il volto illuminato dalla debole luce della radio.
Fuori, il pomeriggio divenne sera e la sera notte, lunga e piena di stelle. Più tardi ancora, un chiarore iniziò a filtrare dalle persiane, e infine un raggio di sole illuminò il sorriso sereno sul volto di Dario, gli occhi aperti a fissare la vecchia radio oramai muta per sempre.