Tra grano e girasoli
Inviato: 19/07/2020, 17:46
La luce del sole filtrava come lame infuocate attraverso le foglie dei pioppi. Sentivo il crepitio dei rametti secchi calpestati dalle suole dei sandali che interrompevano a tratti il frinire incessante delle cicale e il suo fiato che sapeva di aglio e morte. Riconobbi il bosco di tigli dall’acacia secolare che costeggiava la stradina polverosa di ghiaia. La polvere si insinuava nelle narici furtiva pizzicandomi le mucose, ma non riuscivo nemmeno a starnutire, nonostante lo stimolo. Subito dopo il boschetto smisurati ettari di appezzamenti di granoturco e splendidi campi di girasole. Era una meravigliosa giornata d’estate, un’esplosione di suoni e colori,una varietà di uccelli entusiasmante, soprattutto per il gran numero di falchi e poiane e il fastidioso ronzare degli insetti per me era pura melodia.
Il dolore alle gambe però era sempre più lancinante e il trascinamento sui sassolini rendeva tutto più insopportabile. Qualche volta chiudevo gli occhi e immaginavo la cucina soleggiata di casa, con mia madre che preparava la spremuta di arance e pompelmi mentre Nena dalla veranda brontolava su quanto la scuola le facesse schifo.
Ogni tanto uno scossone mi riportava sulla stradina polverosa, tra grano e girasoli. A tratti le ginocchia incrostate si sollevavano impedendomi per pochi benedetti istanti di evitare lo sfregamento con i sassolini.
Oramai non riuscivo più a sollevare la testa che ondeggiava a ciondoloni come un burattino. Ecco come dovevo apparire a un osservatore esterno: un vecchio burattino da gettare, con il vestito sgualcito e sporco, i capelli incollati tra loro dal fango e dal sangue ormai rappreso. Una bambola di pezza maleodorante sorretta e trascinata dal suo burattinaio verso l’epilogo della storia.
Lo sentivo ansimare per la fatica. Ero una donna esile, ma trascinarmi a peso morto sarebbe stato uno sforzo per chiunque, a poco servivano le cinghie di cuoio che mi aveva stretto sotto le braccia. Sentivo l’odore del suo sudore che si mescolava al mio diventando un tutt’uno con il profumo delle more selvatiche e dell’acqua salmastra dello stagno dei Manicardi. Non saprei dire per quanto avevamo camminato e non me ne importava. Ad un tratto ci fermammo, forse per prendere fiato. Avrei voluto tanto alzare la testa ma proprio non ce la facevo. Avrei dovuto correre via ma non erano le cinghie ad impedirmelo, bensì le gambe che non rispondevano più ai miei comandi. Riprendemmo la marcia e, guardando in basso, vidi che i sassolini venivano sostituiti dall’erba. Poi ci fermammo nuovamente, mi tolse le cinghie e mi adagiò a terra. Rimase lì a guardarmi per un tempo indefinito borbottando qualcosa come “mi dispiace”. Non volevo ascoltare le sue parole che mi giungevano lontane e sgradite, nessun suono riuscivo a percepire, solo un intenso profumo di arance. Finalmente ero in pace, il dolore era scomparso, gli occhi diretti verso la calda e accogliente luce del sole, le gambe poggiate sul terreno molle e una libellula che si posava sul seno sinistro.
In questi anni molte cose sono cambiate: il granoturco è stato sostituito da piantagioni di soia e i girasoli da ettari di vigneti. Molte zone sono state bonificate e coltivate, ma il bosco in cui mi trovo è sempre rimasto lì, intoccabile. Spesso chiedo aiuto e di notte piango, piango così tanto che poi mi riaddormento per lo sfinimento, ma nessuno riesce a udire le mie suppliche.
Mi chiamo Amalia Serraglio e sono scomparsa da casa il 19 luglio del 1976, uccisa e abbandonata il 27 luglio 1981. Avevo solo 19 anni.
Il dolore alle gambe però era sempre più lancinante e il trascinamento sui sassolini rendeva tutto più insopportabile. Qualche volta chiudevo gli occhi e immaginavo la cucina soleggiata di casa, con mia madre che preparava la spremuta di arance e pompelmi mentre Nena dalla veranda brontolava su quanto la scuola le facesse schifo.
Ogni tanto uno scossone mi riportava sulla stradina polverosa, tra grano e girasoli. A tratti le ginocchia incrostate si sollevavano impedendomi per pochi benedetti istanti di evitare lo sfregamento con i sassolini.
Oramai non riuscivo più a sollevare la testa che ondeggiava a ciondoloni come un burattino. Ecco come dovevo apparire a un osservatore esterno: un vecchio burattino da gettare, con il vestito sgualcito e sporco, i capelli incollati tra loro dal fango e dal sangue ormai rappreso. Una bambola di pezza maleodorante sorretta e trascinata dal suo burattinaio verso l’epilogo della storia.
Lo sentivo ansimare per la fatica. Ero una donna esile, ma trascinarmi a peso morto sarebbe stato uno sforzo per chiunque, a poco servivano le cinghie di cuoio che mi aveva stretto sotto le braccia. Sentivo l’odore del suo sudore che si mescolava al mio diventando un tutt’uno con il profumo delle more selvatiche e dell’acqua salmastra dello stagno dei Manicardi. Non saprei dire per quanto avevamo camminato e non me ne importava. Ad un tratto ci fermammo, forse per prendere fiato. Avrei voluto tanto alzare la testa ma proprio non ce la facevo. Avrei dovuto correre via ma non erano le cinghie ad impedirmelo, bensì le gambe che non rispondevano più ai miei comandi. Riprendemmo la marcia e, guardando in basso, vidi che i sassolini venivano sostituiti dall’erba. Poi ci fermammo nuovamente, mi tolse le cinghie e mi adagiò a terra. Rimase lì a guardarmi per un tempo indefinito borbottando qualcosa come “mi dispiace”. Non volevo ascoltare le sue parole che mi giungevano lontane e sgradite, nessun suono riuscivo a percepire, solo un intenso profumo di arance. Finalmente ero in pace, il dolore era scomparso, gli occhi diretti verso la calda e accogliente luce del sole, le gambe poggiate sul terreno molle e una libellula che si posava sul seno sinistro.
In questi anni molte cose sono cambiate: il granoturco è stato sostituito da piantagioni di soia e i girasoli da ettari di vigneti. Molte zone sono state bonificate e coltivate, ma il bosco in cui mi trovo è sempre rimasto lì, intoccabile. Spesso chiedo aiuto e di notte piango, piango così tanto che poi mi riaddormento per lo sfinimento, ma nessuno riesce a udire le mie suppliche.
Mi chiamo Amalia Serraglio e sono scomparsa da casa il 19 luglio del 1976, uccisa e abbandonata il 27 luglio 1981. Avevo solo 19 anni.