Lampadine
Inviato: 23/08/2020, 16:49
Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.
Ero lì che leggevo il giornale. Il solito periodico, quel Sole 24 Ore che mi accompagnava fin da quando ero uno studente universitario. Lo Spread aveva toccato il giorno prima un nuovo massimo, il più alto degli ultimi 5 anni; il 2031 non era sicuramente un anno felice per la nostra Italia. Le continue incertezze riguardanti l’assetto del nuovo governo e le sue idee di una politica economica espansiva preoccupavano e non poco gli investitori. Le borse riflettevano questa insicurezza e i rendimenti dei titoli obbligazionari erano cresciuti notevolmente. Magari un buon momento per investire, pensai, ma non feci in tempo ad approfondire la questione che arrivò il caffè:
«Ecco a lei» esclamò con voce sottile la cameriera.
Posai il quotidiano. Non ero solito bere il caffè, ma quel giorno la stanchezza mi travolgeva. Avevo deciso di entrare prima a lavoro, di anticipare di un’ora il mio orario d’ufficio per tornare a casa prima. Il 30 Aprile non era infatti un giorno qualunque: quel giorno quella piccola peste di Aurora avrebbe compiuto 4 anni. La mia luce, la mia stella, colei che con poco riusciva a regalarmi sempre tanto. Posai la tazzina, andai alla cassa e pagai con la solita fretta che contraddistingue chi del tempo fa il suo denaro. Erano le 16:00 e ancora dovevo comprare il regalo per mia figlia.
«Papà, voglio la Barbie con le treccine rosa» mi disse prima di andare a letto, con l’enfasi che solo una bambina il giorno prima del suo compleanno può avere.
Mi indirizzai allora nel negozio di giocattoli più vicino; ce n’era giusto uno qualche chilometro prima di casa mia. Era il giovedì che precedeva l’atteso ponte del 1 Maggio, il traffico era intenso e rendeva Bologna ancora più affollata. Dopo svariati minuti di coda interminabili arrivai finalmente a destinazione. Scesi e con fare svelto andai verso il reparto delle bambole. La ricerca si prospettava però non semplice: le Barbie erano tantissime e orientarsi fra tutta quella varietà non era banale. Capelli lunghi o corti, colorati o bianchi: ce n’erano di tutti i tipi ma nessuna che assomigliasse a quella che mi era stata chiesta. Persi un paio di minuti fino a quando, in basso sullo scaffale la intravidi. “Finalmente!” Pensai fra me e me con aria sollevata, la presi e dopo aver pagato mi indirizzai nuovamente verso la macchina.
Arrivai a casa e suonai il campanello; da dentro immediatamente sentii abbaiare. Era Cooper, il mio fedele compagno a quattro zampe che da 6 anni era entrato a fare parte della mia vita. Aprirono la porta e, senza esitare, mi venne a fare le feste. Ormai non era più un cucciolo, ma non aveva mai perso la vivacità tipica dei suoi primi anni di vita. Lo salutai, e dopo le mille carezze che mai bastavano per calmarlo, aprii il portone ed entrai in casa. Salutai mia moglie e vidi subito scendere Aurora dalle scale correndo:
«Fai piano!» Le dissi preoccupato. Non era la prima volta che, per venirmi a salutare dopo lavoro, inciampava per le scale e si faceva male. Quella volta per fortuna non accadde e mi si buttò tra le braccia.
«Ciao papà sei tornato! Che cosa c’è nel sacchetto?» Chiese incuriosita, ma con quel tono di voce di chi già sa la risposta. Non risposi, le lasciai semplicemente la busta tra le mani con dentro il regalo. Ogni risposta sarebbe stata superflua, la sua attenzione era tutta per quel pacchetto con quel fiocco rosa, forse un po' troppo lente, che le avevo portato. Lo prese, e una volta salita sul divano cominciò a scartarlo. Vicino a lei c’era Cooper che, come Aurora, era impaziente di sapere cosa conteneva quel regalo. Tolto il fiocco, e strappati i primi pezzi di carta colorata, si intravide il logo delle Barbie: era già euforica. Finì di scartarlo velocemente, ma avrei voluto che quel momento non finisse mai. I suoi occhi pieni di gioia, manifestata anche dai movimenti allegri del suo corpo, mi riempivano di felicità; era la parte più bella del regalo, quella dove realizzavo che l’avevo fatta contenta almeno quanto lei faceva felice me. Aperto il regalo, e dopo aver ricordato di ringraziare anche la mamma per la sorpresa, notai lo sguardo deluso di Cooper. Eh già, se con quel regalo avevo accontento Aurora, sicuramente avevo scontentato lui che si aspettava un qualcosa con cui giocare.
«Dov’è la pallina Cooper?» Esclamai con tono giocoso.
Tutto di un tratto il suo disappunto era sparito. Inclinò la testa prima a destra e poi a sinistra e subito dopo si mise alla ricerca dell’oggetto. Faceva come un pazzo, cercava sopra, cercava sotto, ma non riusciva proprio a trovarla. Ero intento a seguire i movimenti repentini del cane quando notai qualcosa di decisamente strano. Il colore del divano sembrava essere diverso dal beige di prima. Mi soffermai a guardare meglio e adesso che l’avevo notato, realizzai che quel divano non l’avevo proprio mai visto. Alzai la testa per cercare con lo sguardo mia moglie ma ora era la casa ad essere cambiata. Il dolce calore che l’accompagnava, quel senso di sicurezza e felicità erano spariti. La casa era buia, illuminata solo da qualche lampadina che non riusciva però a trafiggere il denso buio che la circondava. L’ansia cominciava a salire. Avevo già vissuto quella situazione ma non ricordavo quando; in cuor mio sapevo solo che non era piacevole. Decisi di andare velocemente sotto una lampadina, ma più mi avvicinavo e più la sua luce perdeva d’intensità. A quel punto ero veramente nel panico. Si cominciavano a sentire strani rumori e la tachicardia diventava importante. Presi il telefono, provai a sbloccarlo, ma le mani tremavano troppo e sbagliai più di una volta il codice. Mentre stavo per riprovare un forte rumore fece crollare le pareti. Chiusi gli occhi e tempo pochi secondi li riaprii. Ero nella mia villetta sui colli bolognesi. Cooper dormiva di fianco a me e realizzai che si trattava solo di un sogno meschino. Un sogno che dipingeva la mia vita e che ricorreva periodicamente. Ogni volta però, aggiungeva una parte in più all’incubo, e ne toglieva una dalla favola che lo precedeva. Le lampadine nel sogno erano tutte le false convinzioni che avevo creato fino ad allora per andare avanti. La voglia di arrivare, la mia cieca ostinazione nel raggiungere i miei obiettivi mi avevano portato qua. Avevo la possibilità di cambiare, la possibilità di aggiungere una parte bella al sogno e di eliminarne una dall’incubo. Ma anche quel giorno non lo feci. Anche quella mattina mi convinsi di poter andare avanti in quel modo, con quel sentimento, ed accesi un’altra lampadina.
Ora però sono qua, di nuovo dentro questo incubo. Sì ormai solo di incubo si può parlare. Non c’è più nessuna caffetteria, non c’è più nessuna moglie e nessuna Aurora. Siamo arrivati al punto che ci sono solo lampadine, lampadine che per quante siano, non riescono ad emettere tutta la luce che invece riusciva a propagare il sorriso di mia figlia. Quella figlia che ormai non vedo da anni perché non mi parla più. Quella figlia che ho perso per colpa della mia cieca ostinazione.