La voce del mare
Inviato: 25/11/2020, 14:34
Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.
“Non dicono nulla di preciso” esclamò l’endocrinologo dando un’occhiata ai risultati dell’ago aspirato, ed eseguì un’ecografia.
“E’ un nodulo freddo. I margini sono sbiaditi… fossi in lei non dormirei sonni tranquilli. Sono sempre più frequenti, sa, queste patologie qui da noi… la causa sembra in relazione ai rifiuti tossici e radioattivi. In questo periodo sto giusto seguendo un ragazzo operato di carcinoma tiroideo… deve assolutamente eseguire un altro ago-aspirato, ma questa volta in una struttura adeguata, che dia risultati certi”.
“Mi dica lei a chi mi posso rivolgere” risposi, lanciando la carta appallottolata nel contenitore, dopo essermi ripulita del gel usato per le ecografie.
“Sul nostro territorio non saprei. Non mi fido dei risultati. Le consiglio di contattare un Centro con adeguata esperienza riguardo a malattie della tiroide, evitando di perdere ulteriore tempo. L’Unità Operativa di Endocrinologia dell’ospedale pisano è un’eccellenza per quanto riguarda questo tipo di patologie”.
Contattai l’Istituto pisano e fissai un appuntamento.
Alcuni giorni dopo aver eseguito una visita e alcuni esami: “C’é bisogno del ricovero… ma non si preoccupi, niente di grave, deciderà lei quando… toglieremo solo il nodulo che, pur così piccolo, va assolutamente rimosso”. La voce premurosa che correva lungo il filo del telefono, mi giunse come una carezza appuntita.
Per quanto rassicurante potesse essere, avvertii il punteruolo dello spavento paralizzarmi la mente.
“Mi può spiegare perché dovrò fare terapia radiante se la tiroide sarà tolta completamente?” Chiesi al momento del ricovero. Il dottore che stava redigendo la cartella clinica, cercava i termini giusti per farmi capire che bisognava somministrare Iodio radioattivo come misura cautelativa.
“Le assicuro che si tratta di una semplice precauzione, per bruciare i residui rimasti. Tranquilla, tutto si regolarizzerà. Adesso la togliamo la tiroide, no? Suvvia! Non c’è niente di cui preoccuparsi”.
Tentai di avere altre informazioni, giusto per capire dalle risposte se dovevo aspettarmi altre sorprese. [i] Eh già, perché ti preoccupi? Sarà quel che deve essere, pure Kundera lo dice [/i]. Se c’era qualcosa che non riuscivo ad afferrare, non mi restava che attendere.
Entravo, così, in una dimensione nuova, distaccandomi da tutte le preoccupazioni lavorative e familiari che mi avevano tenuta in ostaggio, dalle piccole incomprensioni fino ai conflitti irreparabili. Ora me ne liberavo come un vestito che bisognava mettere da parte per sempre. Lentamente mi rendevo conto che il cancro diventava uno scudo dietro il quale mi proteggevo, una difesa contro obblighi e banalità di tutti i giorni. Era come se la malattia mi concedesse il diritto di non sentirmi più addosso il dovere di alcunché, e nessun senso di colpa. Finalmente libera e felice come in un viaggio imprevisto.
Xxxxxx
Ed eccomi qui sola e quasi disperata.
Mi è stata somministrata la prima dose di Iodio radioattivo, dosaggio minimo e tuttavia mi sento una piccola bomba vagante attenta a dove va, cosa tocca, quanto tempo rimane in un luogo.
Neanche il tempo di prendere coscienza della situazione e mi accorgo di avere il cellulare scarico. Del caricabatterie ne faccio una ricerca estenuante quanto vana: l’ho dimenticato di sicuro in ospedale. Il mondo quasi mi crolla addosso e mi viene da piangere, ma solo un poco, altrimenti domani gli occhi mi diventeranno due uova sode.
Mentre mi preparo una minestrina, mi sento come il protagonista del libro "Venere lesa": anche lui si ritrova, dopo la separazione dalla moglie, in un monolocale solo e quasi disperato, come un carcerato a cui è concessa una sola boccata d’aria al giorno, ma la mancanza di spazio è compensata dalla sensazione di dilatazione del tempo, come l’attesa di una condanna a morte.
Raggiungo la spiaggia di fine ottobre. Un pub recita: "Panini - Gelateria artigianale -".
Inutile richiamo.
Il profumo del mare mi attraversa la pelle come un balsamo miracoloso di cui non posso più fare a meno.
La sua voce eterna è una melodia antica, arriva come una mano a schiudere segreti a lungo custoditi.
Mi lascio ammaliare senza opporre una benché minima resistenza.
L'ultimo giorno mi rimane e avrò coraggio. Alzo i lunghi capelli e m’immergo nel freddo abbraccio delle onde, gustandone a fondo il sapore trasgressivo.
Finalmente mi lascio travolgere dalla pienezza di una sottile sensualità, dopo aver a lungo bramato una bizzarria, un capriccio, e addento con forza la fragranza della libertà. Poi mi abbandono al monotono ciarlare delle acque ripensando a una frase di Kundera: " [i] La vita è uno schizzo che tracciamo nel momento in cui la viviamo". [/i]
Avanzando fra le onde ho solo il tempo di scorgere una ferita sanguinante mentre colora le nubi, simile a un ultimo palpito del creato.
Il punto in cui il filo dell’orizzonte salda il cielo col mare, muore coi miei pensieri.