I doni
Inviato: 21/12/2020, 16:31
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Le onde scivolavano sulla spiaggia in moti ripetitivi. L’acqua si ritirava gradualmente da sotto i piedi di Xoy, la sabbia sfuggente gli solleticava le punte delle dita. Il vento faceva fluttuare i lunghi capelli neri come la notte dalle striature verde scuro che somigliavano ad alghe abissali.
L’uomo osservò ancora per qualche momento i riflessi rosso gialli all’orizzonte, poi portò le mani alla testa e raccolse la chioma avvolgendola come un turbante. Quindi avanzò nell’acqua fredda, si immerse fino alla vita. La lunga striscia di stoffa turchese che teneva stretta ai fianchi si gonfiò attorno a lui.
Percepiva la forza del Grande Dio Blu che lo attirava e lo respingeva, cercava di catturarlo per poi lasciarlo andare. Era una danza che il popolo di Xoy ben conosceva: da tempo immemore la vita degli Xen era legata a doppio filo a ciò che la grande distesa di acqua decideva di regalare.
Smise di resistere e si lasciò trasportare, si immerse completamente e con forti bracciate tagliò le creste schiumose delle onde. Nuotare gli dava un senso di completezza, lo faceva sentire vivo, reale. Sapeva che, finché aveva una missione da compiere, la sua esistenza aveva un valore. Il tempo passò, la riva era ormai lontana; da molto tempo ormai i Doni scarseggiavano e doveva spingersi sempre oltre, in acque sempre più profonde. Ricordava che quando era bambino suo padre spesso ne trovava alcuni direttamente sulla spiaggia, senza doversi immergere.
Si fermò e si mantenne a galla con movimenti circolari di gambe e braccia per poter guardare lontano; grazie a un’onda riuscì a scorgere un bagliore alla sua destra. Era del colore delle montagne che circondavano il villaggio: ocra, giallo ambra e rosso corallo.
Ricominciò a nuotare con nuove energie e in breve tempo coprì la distanza. Quando fu abbastanza vicino le vide: sfere trasparenti dalle quali scaturivano luci fatue dai riflessi cangianti. Era una giornata fortunata, sette Doni tutti in una volta, dopo mesi di attesa.
Sciolse il nodo che gli teneva legata la stoffa alla vita, la distese e vi raccolse i globi. Si assicurò che non potessero fuoriuscirne, poi sistemò il tutto sulle spalle e riprese a nuotare, questa volta in direzione della spiaggia.
Dopo aver appoggiato a terra con delicatezza il suo raccolto si sedette a gambe incrociate, rivolto all’acqua e al sole morente. Lasciò vagare lo sguardo e il pensiero, godette della sensazione appagante di aver faticato tanto, di essere riuscito a spingersi oltre. Lasciò che l’aria asciugasse il sale sulla sua pelle formando minuscoli cristalli, decorazioni che andavano ad aggiungersi alle cicatrici e ai tatuaggi che lo ricoprivano quasi completamente. Rivolse un ringraziamento al Dio, poi si levò in piedi. Risalì la spiaggia, ritrovò il passaggio nell’erba alta e lo percorse fino ad arrivare al Lago Di Dentro; montò sulla barca ormeggiata, appoggiò al sicuro le sette sfere e remò fino alle prime abitazioni. La sua casa si trovava nel secondo cerchio esterno del villaggio galleggiante, la raggiunse senza incontrare nessuno. La stanchezza lo assalì tutto d’un tratto; decise allora di aspettare il nuovo giorno per consegnare ciò che aveva trovato, si distese e in breve tempo il sonno ristoratore lo accolse nel suo abbraccio.
Quando giunse l’alba Xoy si levò a sedere; tutto attorno a lui il villaggio si stava risvegliando, sentiva il canto proveniente dal Cerchio Interno, le prime barche scivolavano sulle acque tranquille, sospinte tramite lunghi pali, le donne già da tempo erano indaffarate, alcune stendevano grandi teli costellati di simboli magici, altre preparavano piatti profumati nelle cucine all’aperto. Anche Xoy prese dal ripiano il pentolino, la polvere aromatica e una caraffa d’acqua; uscì sul portico che circondava la grande imbarcazione e accese con gesti sicuri il fuoco per preparare la sua bevanda mattutina. Amava quel momento della giornata, quel tempo a ridosso del sogno ancora libero dai pensieri del giorno incombente.
Si vestì quindi degli abiti da cerimonia, prese dallo scaffale un grande scrigno in legno intarsiato, lo riempì di paglia e vi depose i sette globi. Dopo averlo richiuso con cautela andò al tamburo rituale e per cinque volte lo fece vibrare con il ritmo che, tradizionalmente, segnalava un Ritrovamento.
Si mosse quindi con la sua barca e il prezioso carico attraverso i canali concentrici, incrociando sguardi carichi d’aspettativa, fino ad arrivare alle due colonne, unica via d’accesso per raggiungere la Piazza. Attese il segnale, quindi entrò nel Cerchio, fece scivolare la sua imbarcazione fino al pontile. Ad attenderlo c’erano già i Sacerdoti e le Sacerdotesse, disposti ad arco, con i lunghi abiti arancioni drappeggiati e affrancati in vita da spesse corde decorate da nodi complessi. Xoy si avvicinò con lo sguardo basso, lo scrigno sollevato davanti a sé. Lo depose a terra intonando la formula tramandatagli dal padre, quindi indietreggiò di qualche passo. Due sacerdoti si avvicinarono, sollevarono il coperchio del forziere e ne mostrarono il contenuto agli altri officianti. La più anziana si rivolse quindi a Xoy: era giunto il tempo in cui avrebbe potuto presenziare al Rito D’Offerta.
Xoy vibrava di un’emozione mai provata prima di allora; tutte le fatiche e i sacrifici a cui si era sottoposto per assolvere al suo dovere l’avevano portato a quel momento, finalmente avrebbe potuto vedere coi propri occhi la grande Magia. Nessuno al villaggio conosceva i segreti legati al rituale a parte la casta sacra e i primogeniti della sua famiglia che, da generazioni e generazioni, nulla avevano mai fatto trapelare, neanche per soddisfare la curiosità dei loro stessi cari. L’uomo si sedette nel punto indicato e si unì al canto che accompagnava la cerimonia. Il più giovane degli officianti si avvicinò all’alta palizzata circolare situata nel centro della Piazza, cuore del Villaggio. Tolse i perni che la tenevano sollevata e i lunghi pali di metallo scivolarono in acqua, uno dopo l’altro, rivelando un minuscolo lago iridescente.
Le sette sfere vennero passate di mano in mano fino a raggiungerne le acque, quindi vennero rilasciate e, una dopo l’altra, affondarono disperdendo il loro contenuto. Quando l’ultima scomparve il canto terminò e un silenzio carico d’attesa calò come un drappo. Dopo qualche istante delle minuscole bolle emersero portando con se sospiri e suoni mai uditi fino a quel momento da Xoy, una paura gelida lo paralizzò e solo con grande sforzo la dominò. La Grande Sacerdotessa si avvicinò all’acqua gorgogliante, gli occhi rivolti all’indietro, si abbassò e immerse completamente la testa. Restò così per lunghi momenti, quindi riemerse, ansimante e tornò a unirsi ai suoi compagni. Con voce flebile annunciò:
“Il Demone aspettava da troppo tempo il nostro tributo, il suo sdegno è grande e la sua fame non è soddisfatta. Non possiamo fare altro che rimetterci alla sua volontà e subirne la furia”.
Xoy, incredulo, li vide inginocchiarsi con le mani giunte a preghiera attorno alle acque, che ribollivano sempre più e cominciavano a fumare; un suono sordo, come un ringhio tremendo, rimbombò tutto attorno. Tutto tremava, il suolo iniziò a disgregarsi e sollevarsi in onde. L’uomo si riscosse e urlò incitandoli a scappare, mettersi in salvo. Quando si avvicinò loro per trascinarli via si gettarono nel liquido infame. Disperato, corse verso la sua imbarcazione e remò con tutta la forza che aveva in corpo. Con grida angosciate esortò le genti a mettersi in salvo, ma nessuno sembrava sentirlo, tutti si affidavano alle acque schiumanti. Xoy smise di guardare, quella visione lo stava facendo impazzire, continuò a spingere, spingere, spingere senza sosta il suo palo. Perse il senso del tempo, il suo corpo si muoveva autonomamente, la coscienza si era ritirata nel profondo, dove quelle immagini non potevano raggiungerla.
L’uomo senza nome, senza genti alle quali tornare, senza casa da abitare si risvegliò sulla sabbia, di fronte al Mare. Quello che aveva appena vissuto aveva distrutto ogni sua certezza, non sapeva dove trovare la forza per affrontare il ricordo, per agire, muoversi, staccarsi da ciò che più non c’era. Volse un ultimo sguardo alle sue spalle, l’erba copriva pietosamente la vista di quell’orrore. L’uomo senza nome non credeva più alla saggezza tramandata dai suoi avi, non credeva più al Grande Dio Blu e ai suoi doni inutili. Decise di credere solo nella forza delle sue gambe e cominciò a camminare seguendo la via indicata dalla spiaggia, incontro al suo futuro o alla sua morte, non importava, non più.