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Freak brothers

Inviato: 22/12/2020, 10:18
da Macrelli Piero
leggi documento Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.

Freak brothers

"We have plenty of grass,
and as we all know,
dope will get you through time of no money
better than
money will get you through time of no dope"


Accidenti, ma perché è più facile ricordare quando le cose hanno avuto inizio e invece fai fatica a dire quando le cose hanno cominciato a cambiare o quando sei stato tu che hai cominciato a cambiare, che poi è la stessa cosa. Passa un po' di tempo e ti accorgi appena che non vai più negli stessi posti e poi magari ci pensi e dici perché è la musica che è cambiata e anche la gente è cambiata. Generalmente è vero, ma anche tu sei cambiato e poi quando ti dicono che lo "Slego" ha chiuso non ti fa tanto effetto, che tanto era già molto che non ci andavi più. Per carità, non sei mica morto, fai altre cose, magari anche più belle, ma quella cosa lì no, non ci pensi più. E magari una sera incontri l'amico che non vedi da un po' e ti dice che lui adesso va al “Velvet” che è quasi come lo “Slego”. Propri così dice: “Quasi come lo Slego”, e non contento aggiunge anche un: “Perché non vieni anche tu?”.
“Quasi come lo Slego”, ripeti e ti guardi la punta delle scarpe per cercare le parole giuste che diresti ad un venditore di auto usate che ti vuole rifilare un bidone e poi dici: “Magari ci penso un po' e poi decido”, ma dentro di te lo sai già che non te ne frega un cazzo e anche l'amico, se è un amico, se ne accorge e cerca di rimediare con un: “ Ma io vado solo ogni tanto per salutare il vecchio D.J. dello Slego”.
“Vecchio D.J. dello Slego.” dici tu.
“Due birre e ricordare i bei vecchi tempi dello Slego.” dice lui.
“I buon vecchi tempi?” ripeti tu senza pietà.
Oramai lui è nell'angolo e non gli resta altro da dire: “Cazzo, sei uno stronzo, un po' di pietà.”
E allora ci mettiamo a ridere e ci abbracciamo anche, sì, proprio ci abbracciamo.
Poi un giorno ti arriva la voce di un locale a Faenza, una roba alternativa, musica reggae. Già la musica reggae ti fa storcere il naso, ma ti sei sempre considerato un esploratore avanguardista e con gli amici e le poche indicazioni un sabato sera fai una macchinata e parti.
Quel sabato ci siamo persi e siamo finiti in una discoteca regolare a Brisighella, ma oramai era una questione di principio e il sabato sera successivo lo troviamo, il “ Rione Rosso Baiocco” nel quartiere Rione Rosso.


Avevano chiesto per le strade di Faenza a dei signori per bene che ci avevano messo in guardia sul locale, che lo avevano aperto dei negri ed era diventato un centro di raccolta dei disgraziati della città. Era quello che cercavamo. Il locale si trovava nel seminterrato di un vecchio imponente palazzo che, ma guarda un po' come lo "Slego", era stato la sede del partito Comunista e della Casa Del Popolo, anche se adesso non era più così, ma poco importa. Si scendeva una rampa di scale dove si faceva la fila per entrare in un portone in legno. Un cartello lungo la parete portava scritto che nel locale era vietato l'abuso di sostanze stupefacenti, ma non diceva nulla su un uso moderato e infatti davanti a noi c'era tutta una folla di "persi" della città e due tipi in attesa di entrare erano impegnati in una dotta discussione circa il pezzo di hashish che uno mostrava in bella vista sul palmo della mano ed erano indecisi se quello che avevano appena acquistato lo si dovesse considerare un semplice “caccolo” o un “bel troccolo”.

Il locale era stato aperto, in effetti, da un gruppo di senegalesi che avevano stile, erano acculturati, una élite ben integrata e non avevano niente a che fare con i “vu cumprà” rintronati e con la sveglia al collo che ti capitava di vedere in giro a vendere accendini. Il leader, più anziano, era claudicante e ciò aumentava l'autorevolezza del gruppo sotto la ormai debole ala protettrice del partito comunista nell'epoca appena prima della caduta del muro di Berlino. Il locale aveva un gran stile e la scelta musicale era, devo ammetterlo, di gran livello e quel ritmo in levare ti metteva voglia di ballare e aveva azzerato tutte le mie diffidenze.
C'erano tre navate a volta in pietra antica che correvano parallele: una era chiusa, una per la pista e l'ultima per tavoli e sedie. In fondo il baretto, dove davano vino e pane toscano con mortadella. Cazzo,vino trebbiano e due fette di toscano con la mortadella, già le coincidenze cominciavano ad accumularsi rispetto al vecchio "Slego". Non so se quei senegalesi si erano resi conto che aveva raccolto tutti i persi di Faenza, bianchi e nostrani; completamente incontrollabili, borderline e, se non culturalmente, legalmente indifendibili e che il locale non sarebbe durato più di una piccola serie di fantastici sabati invernali. Le serate erano indimenticabili e a volte succedeva che ti sembrava di vivere un momento più vero del vero; che l'energia fluisse in maniera speciale e che eri fortunato di essere lì in quel momento, piuttosto che in qualsiasi altra parte del mondo. Si avvertiva un confluire di energia, non so se riesco a spiegarmi, e se non riesco è inutile che continui su questo argomento. O ci credi o non ci credi.

La notte di capodanno la passammo lì e nelle ore precedenti il mattino eravamo fuori dal locale che stava per chiudere in strada, sul marciapiede fra tanta gente a gruppetti, ma tranquilla, silenziosa. Inconsciamente tutti sapevamo che stava per accadere qualcosa di magico e nessuno voleva andare via; un accumularsi di energia che avrebbe dato origine ad una epifania unica e irripetibile. O stavi lì in quel momento o te la saresti persa per sempre. Sembravamo un coro greco in silenziosa attesa dell'elemento risolutore, dell'attore, dell'agente indispensabile perché quel atto, qualunque esso fosse stato, si sarebbe compiuto sicuramente. C'era energia nell'aria e la stessa realtà stava mutando: stavamo diventando la tavola di un fumetto; decidete voi chi vi piace di più: Andrea Pazienza, Edika oppure Gilbert Shelton, quello dei “Freak Brothers”.
Cominciò con l'arrivo di una due cavalli “Charleston” furgonata da cui scesero due tipi stile “Blues Brothers” con in mano un enorme bottiglione di vino rosso che cominciò a girare di bocca in bocca e che venne subito chiamato “ Il Formato Chianti Magnum”. Dalla macchina dei carabinieri, che aveva stazionato tutta la serata nella via a discreta distanza, scesero due agenti, ma a parte calarsi bene in testa il cappello di ordinanza e aggiustarsi la bandoliera non fecero nulla.

A quel punto entrò in scena il “deus ex machina” che tutti inconsciamente aspettavamo, l'essere perfetto nella forma e nella sostanza per il momento che era arrivato. Naturalmente neppure lui sapeva il ruolo che il destino gli aveva preparato. Era un puro. Era sbucato dal sottosuolo lungo la rampa delle scale del locale. Era completamente sballato e a camminare faceva fatica a tenere il marciapiede.
Il tempo si fermò e anche il bottiglione di vino smise di girare e rimase sospeso sulle labbra dell'ultimo bevitore. Il silenzio era totale, noi tutti, il coro, muti in attesa di una cosa di cui non sapevamo nulla. L'unico che si muoveva sulla scena era lui che, accortosi della presenza dei carabinieri, cercava di darsi un contegno, ma il "fumato" quando va in paranoia comincia a toccarsi e fa tutto il contrario di quello che dovrebbe fare per passare inosservato. Non poteva più tornare indietro e sarebbe dovuto passare per forza a fianco dei carabinieri e così cominciò a tenere una andatura indifferente, ma frettolosa, forse più preoccupato per quello che aveva in tasca piuttosto di quello che aveva in corpo.
Tutti eravamo in attesa di come sarebbe andata a finire nel momento che sarebbe arrivato a tiro dei carabinieri, che avevano cominciato a guardarlo. Ma il destino e il caso, i più abili registi della nostra vita, fecero la loro mossa. Dalle inferriate di un cortile lungo il marciapiede sbucava un grosso ramo di un enorme oleandro che ingombrava metà del marciapiede ad altezza uomo. Il tipo, perso come era, non lo vide e lo colpì in pieno con la fronte con un colpo tremendo che produsse un suono secco e potente come quello di un fuori campo in una partita di baseball. Venne rimbalzato all'indietro e cadde lungo steso, ma il dio o demone che lo proteggeva lo fece rialzare di scatto come un gatto e cominciò a dire a gran voce che non si era fatto niente e che non aveva bisogno di niente. Lo diceva a tutti noi evitando di guardare i carabinieri: “Non mi sono fatto niente, non mi sono fatto niente. Va tutto bene, va tutto bene”.
La folla esplose in una risata potentissima che scaricò tutta l'enorme energia che si era accumulata e cominciò una festa di salti e grida irrefrenabili. Lui sorpassò i carabinieri che a quel punto decisero di non intervenire e il tipo scomparve dietro l'angolo.
Il locale chiuse per sempre quella notte stessa.

Re: FREAK BROTHERS

Inviato: 22/12/2020, 10:24
da Macrelli Piero
Accidenti, non riesco a capire come mai la formattazione non mi mantiene lo spazio fra epigramma e inizio testo, ma questo lo vedrò con calma.
Volevo proporre un racconto che uscisse dal tema che ho usato nei miei precedenti, ma questo racconto premeva e ho ceduto.
Buona lettura.

Re: FREAK BROTHERS

Inviato: 22/12/2020, 10:27
da Massimo Baglione
Macrelli Piero ha scritto: 22/12/2020, 10:24 Accidenti, non riesco a capire come mai la formattazione non mi mantiene lo spazio fra epigramma e inizio testo, ma questo lo vedrò con calma.
Mea culpa.
Sistemerò appena possibile :P

Re: Freak brothers

Inviato: 22/12/2020, 10:53
da Massimo Baglione
OK, ora va meglio.

Commento

Inviato: 22/12/2020, 20:32
da Fausto Scatoli
la storia è splendida, nulla da eccepire, e meritevole.
però devo segnalare che ci sono refusi.
ci vorrebbe una bella revisione anche per i tempi verbali, visto che parti col presente ma poi diventa tutto al passato.
se la cosa è voluta, non ne comprendo il senso
se non è voluta, meglio sistemare.
peccato, perché alcune descrizioni sono davvero ottimali.

Commento

Inviato: 23/12/2020, 8:00
da Selene Barblan
Uno spaccato di vita descritto con un linguaggio simile al parlato che crea un senso di vicinanza e aiuta il lettore a vivere il momento. Come negli altri racconti proposti il tuo stile mi piace e mi sembra efficace a ricreare l’atmosfera di quegli anni. Andrebbe sistemato un po’, ne vale la pena. Globalmente lo trovo godibile ma mi ha coinvolto meno rispetto a altri precedentemente proposti.

Commento

Inviato: 23/12/2020, 16:28
da Lucia De Falco
Personalmente questo genere non mi attira, perché leggo, leggo, aspettando che si arrivi a qualcosa di significativo, ma non accade. Ogni volta mi sembra di leggere una pagina di diario, che resta in sospeso, un episodio che fa parte di un libro più ampio, che deve essere completato. Apprezzo lo sfondo musicale che connota i tuoi racconti. Il linguaggio è rapido, quasi frenetico.

Re: Commento

Inviato: 23/12/2020, 17:53
da Macrelli Piero
Lo so che il testo andrebbe attentamente revisionato, ma come dico sempre cercate di sopportarmi perché è un lavoro che faccio con fatica solo dopo che il testo a riposato a lungo in un cassetto. nel frattempo faccio tesoro delle critiche. Ad esempio, quella del cambio del tempo verbale che nel mio caso è voluta, mi piace molto, ma è difficile da fare. Formattando il testo ho sbagliato a dividere la "premessa" al tempo presente dal corpo del racconto che si svolge al passato. Per adesso ho staccato la frase in un paragrafo a parte per evidenziare la partenza della seconda parte. vediamo se funziona.

"...perché leggo, leggo, aspettando che si arrivi a qualcosa di significativo, ma non accade..."
Questo invece è un commento che mi piace molto, perché amo i racconti in cui non succede niente, ma se in questo niente sono contenute delle emozioni il racconto (non dico i miei) è riuscito. Un po' come nei racconti di Carver, se posso osare.

Commento

Inviato: 24/12/2020, 0:28
da Marcello Rizza
Rispetto al tuo solo testo precedente che ho letto (non conosco gli altri tuoi ma dai commenti esistono) questo mi ha divertito molto di più. Ho ritrovato nel tuo scritto quel mix di funzionale e piacevole scrittura con refusi che potrebbero essere evitati con una rilettura a freddo, come tu stesso hai scritto. Il consiglio che mi sento di darti, se me lo consenti, è di non avere fretta di pubblicare, visto che il concorso prevede tre mesi di tempo. Questo perché un bel racconto può anche essere aggiustato in corso d'opera ma nel frattempo, nel gioco dei commenti e voti, raccogli si consigli ma anche un voto o due in meno di quello che il racconto meriterebbe. Facciamo così, che per stavolta ti commento solamente e il voto, che se aggiustato il testo sarebbe "4", lo metterò tra una settimana dopo che l'avrai rivisto. 🤗

Commento

Inviato: 24/12/2020, 15:11
da Letylety
Un bel racconto ingiallito dal tempo. A me ricorda certi film di Pupi Avati accompagnati dalle canzoni del Liga. Sono ricordi che ti fanno sorridere perché ricordano un tempo che non c'è più. Ci fate caso che gli strani, i mezzi pazzi, gli originali sono spariti dalla circolazione, inglobati dalla modernità e mimetizzati in qualche coda in fila alle casse di un negozio di marca.

Re: Freak brothers

Inviato: 25/12/2020, 15:15
da Macrelli Piero
Seguendo i vostri preziosi consigli ho rivisto un po' il testo. Non escludo ulteriori interventi. Grazie.

Commento

Inviato: 26/12/2020, 14:55
da RobediKarta
Per vissuto personale anche, mi piacciono molto questi racconti di provincia con un'ambientazione legata ai locali popolari e alla musica, un po' Tondelli un po' Radio Freccia. É la prima volta in vita mia che leggo qualcuno che cita Edika, complimenti ! Mi hai incuriosito molto e mi piacerebbe leggerne di più. Per esempio davvero i senegalesi hanno aperto un locale a Faenza alla fine degli anni '80 ? Ma era tutto abusivo ? Però ci sono aspetti negativi: innanzitutto il cambio dei tempi verbali, anche se ti piace, te lo sconsiglio perché confonde e frustra il lettore. Poi ci sono dei refusi che saltano un po' all'occhio: buon vecchi DJ, deux ex machina, vucomprà (è vucumprà). Se riesci a farle capire dal contesto, potresti mettere anche qualche parola dialettale in più, danno un bel colore. Poi potresti cominciare ad approfondire qualche personaggio, per il momento sono tutte delle "figurine" nell'album dei ricordi. Ultima domanda: ma quanti anni avevi all'epoca ? Mi ha un po' sorpreso l'assenza di figure femminili, anche sullo sfondo. Dal racconto sembra che questi locali non fossero affatto frequentati dal gentil sesso. Ma se non è così dovresti chiarirlo, credo sia un'ambiguità non voluta.

Re: Freak brothers

Inviato: 26/12/2020, 15:57
da Macrelli Piero
Grazie per l'aiuto sui refusi che a testo caldo non riesco a vederli neppure dopo diverse letture.
rimango convinto della legittimità del cambio dei tempi verbali che divide premessa e racconto, ma forse non l'ho fatta bene.
Il locale è esistito, mi pare sorretto da un circolo arci. La brevissima vita è dovuta dal fatto che una Faenza "Bianca" non poteva permettere una cosa così alternativa. Avevo, forse, 25 anni. donne poche. la storia completamente reale.

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Inviato: 29/12/2020, 10:56
da Roberto Bonfanti
I Freak Brothers, me lo ricordo il fumetto, come pure quelli di Edika su Totem e, soprattutto, le storie di Andrea Pazienza.
Ecco, questo racconto (come gli altri dei tuoi che ho letto) aderisce perfettamente a quell’immaginario, a quel periodo e a quel mondo che ricordo bene per anagrafe e frequentazioni giovanili.
Nulla da dire, lo stile è adeguato e per me è un altro capitolo di quel libro che immagino tu stia scrivendo sulla scena alternativa di provincia negli anni ’80.
Ho visto che hai corretto, rimangono solo alcuni difettucci di formattazione, qualche spazio in più o mancante, e borderline lo scriverei tutto attaccato.

Re: Commento

Inviato: 31/12/2020, 10:00
da Macrelli Piero
Roberto Bonfanti ha scritto: 29/12/2020, 10:56 I Freak Brothers, me lo ricordo il fumetto, come pure quelli di Edika su Totem e, soprattutto, le storie di Andrea Pazienza.
Ecco, questo racconto (come gli altri dei tuoi che ho letto) aderisce perfettamente a quell’immaginario, a quel periodo e a quel mondo che ricordo bene per anagrafe e frequentazioni giovanili.
Nulla da dire, lo stile è adeguato e per me è un altro capitolo di quel libro che immagino tu stia scrivendo sulla scena alternativa di provincia negli anni ’80.
Ho visto che hai corretto, rimangono solo alcuni difettucci di formattazione, qualche spazio in più o mancante, e borderline lo scriverei tutto attaccato.


Per ragioni che non mi so spiegare questi racconti sono nati tutti in uno-mesi e all'appello ne mancano due o tre, ma forse sono ripetizioni. Lì ho pubblicati qui sporchi per poter ricevere indicazioni di migliorie, anche perché le mie capacità sono limitate. Sì, è vero, mi piacerebbe raccoglierli in un lavoro unitario, ma non so fare un lavoro di editing degno. Se in questo gruppo c'è qualcuno disposto ben venga, sono disposto a rinunciare a ogni diritto pur di vedere un bel testo curato e confezionato.

commento

Inviato: 05/01/2021, 10:02
da Stefyp
Averlo letto dopo la revisione che ti hanno consigliato l'ha reso sicuramente scorrevole e ben scritto. Riesci a rendere molto bene il contesto e il vissuto dell'epoca che non conosco e non mi appartengono. L'attesa per capire cosa sarebbe successo alla fine è stata ben gestita, ma poi il tizio che sbatte contro un ramo m'è sembrato un po' banale. Ma se è successo realmente questo, il finale ce lo teniamo e basta perché nella vita mica ci sono sempre colpi di scena. A rileggerti.

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Inviato: 21/01/2021, 23:23
da Nando71
A mio giudizio la storia raccontata è particolarmente intrigante anche se delle volte sembra che resti in sospeso come fatto notare già da qualcuno. Nel complesso lo trovo scorrevole e piacevole con un buon finale.

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Inviato: 21/02/2021, 17:50
da Liliana Tuozzo
Quasi un pezzo di diario. La vita giovanile di un epoca raccontata nella sua quotidianità, i locali frequentati, gli amici, quel senso di noia da annegare in una birra o altro, lo rendono molto realistico. Simpatico il finale anche la risata per uno che va a sbattere contro il ramo di albero può riempire un vuoto. Un buon lavoro.

Commento

Inviato: 04/03/2021, 11:39
da Ida Dainese
Un racconto che parla di tempi giovanili, di allegria e folle sconsideratezza ma allo stesso tempo di malinconia. Si narra di locali che hanno chiuso e di volti che sono cambiati, di una sensazione di dispiacere per il tempo che continua ad andare avanti, appannando le memorie. Una malinconia che si coglie all'inizio in quel guardarsi la punta delle scarpe per concentrarsi a trovare una risposta, e che ristagna perfino nel finale, nel raccontare la scena divertente e pazza dell'ubriaco. Perché è come una musica che improvvisamente si abbassa di volume, che continua a risuonare piano tanto da farsi cogliere in sottofondo e che alla fine non riesce più a farsi sentire.