La fine del gioco

Spazio dedicato alla Gara stagionale d'estate 2021.

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Letylety
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La fine del gioco

Messaggio da leggere da Letylety »

leggi documento Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.

Questa è una storia di tanti anni fa, che vede le gesta di due ragazzini che abitavano a poche decine di metri di distanza. Di questi due adolescenti, uno ero io e l'altro, lo faccio per tenere un certo distacco emozionale, lo chiamerò Marco.
All'epoca frequentavamo la terza media e nei pomeriggi primaverili passavo da casa sua per invitarlo a fare un giro nei boschi. Marco accettava la mia chiamata e con un sorriso felice si precipitava fuori.
Le nostre case erano poste nei pressi di una grande strada molto trafficata. Aldilà di essa si trovava il paese, disteso su una piccola collina verdeggiante. Al di qua le case si diradavano e lasciavano spazio alla boscaglia.
Spesso finivamo lì, a camminare per sentieri e a curiosare un po' dappertutto, nei casolari, nelle capanne che occupavano i posti più angusti, per poi finire vicino alla ferrovia a guardare i treni sfrecciare, piazzandoci in mezzo ai binari per osservare la loro perfetta simmetria, tanto lunga che sembrava interminabile.
Come tutti i ragazzini di quell'età ci sentivamo esploratori, e spostarci lontano di casa per qualche chilometro ci dava l'impressione di essere arrivati in capo al mondo. I boschi ai nostri occhi pullulavano di vita segreta. Non solo per quei pochi animali, perlopiù qualche lepre o coniglio selvatico, che trovavamo strada facendo, ma anche per le persone che incontravi e per gli oggetti.
Giornalini pornografici, pacchetti di sigarette, preservativi e fazzoletti di carta erano i rifiuti dovuti a un consumo nascosto e un poco proibito. Poi trovavi tavoli, sedie, frigoriferi e lavatrici scassate e arrugginite e in fondo, verso la valle, parallelamente alla ferrovia, un campo enorme disseminato di cocci di bottiglia. Non era ancora organizzata la raccolta differenziata e la plastica non aveva ancora invaso le nostre vite. La gente portava in quel campo tutti i rifiuti in vetro. Marco ed io, con i nostri genitori, finivamo lì, divertendoci un mondo a gettare le bottiglie e a sentire gli scoppi fragorosi.
La frequentazione dei boschi con il tempo cominciò ad annoiarci e allora ci spostammo più giù, verso il fondo valle dove, come già vi raccontavo, correva la ferrovia.
Fu di Marco l'idea di mettere dei sassi sui binari e aspettare il passaggio del treno. Cominciammo con due o tre pietre per poi arrivare a oltre duecento.
La lunga lista ben messa sui binari richiedeva una lunga preparazione. Una volta terminato il lavoro, ci acquattavamo dietro una siepe per iniziare il periodo dell'attesa. Potevano trascorrere anche venti minuti prima del passaggio del primo treno e noi lo occupavamo parlando di tante cose. Darei non so cosa per sentire quelle registrazioni, per capire quali erano i sogni, le preoccupazioni, i divertimenti che ci passavano per la testa. Di certo eravamo dispettosi, spavaldi e scherzosi e, al fondo, desiderosi della protezione materna.
È il periodo dove il ragazzino cresce e, come un aquilotto che rompe l'uovo, si muove, si guarda intorno e poi ritorna nel nido. Erano i nostri primi passi in un mondo sconosciuto e sempre pieno di sorprese. Era l'attesa di tutto, come quel treno che sarebbe transitato davanti ai nostri occhi a cento all'ora. Una volta passato tornavamo allo scoperto, e con stupore fanciullesco costatavamo che sui binari non era rimasto più nulla. Polverizzati o schizzati chissà dove, dei sassi non era rimasto neanche la minima traccia. Urlavamo al cielo la sorpresa con delle danze che inventavamo al momento.
Un pomeriggio preparammo la solita lista di sassi ma qualcosa andò storto. Con noi c'era Paolo, un amico di Marco, e mentre aspettavamo il treno, fu proprio Paolo a urlare che stava arrivando un carretto. Così ci urlò dal fondo della ferrovia, dove si era spostato per fare pipì. Scoprimmo che il binario era stato interdetto al passaggio dei grandi treni per far transitare il carro delle riparazioni, un mezzo giallo con una scala inchiodata al pianale. C'erano sopra tre uomini e noi, impauriti, scappammo come le lepri che attraversavano il nostro cammino.
"Via ragazzi!" urlai. "Dai Marco, seguimi."
Li lasciai passare e rimasi per ultimo a chiudere la fuga dei miei amici. Diedi un'ultima occhiata e vidi che il carro si stava fermando.
Ritornammo a casa trafelati, con la fretta inconscia di cancellare ogni pensiero e di voltare pagina.
Nei giorni successivi Paolo ci disse che il carro era deragliato e gli uomini si erano fatti male, che tutto il paese ne parlava e che eravamo ricercati. Gli dicemmo di tenere la bocca chiusa e di non farci vedere insieme.
Marco ed io eravamo molto spaventati ma qualcosa nel racconto del nostro amico non tornava. Aveva spiegato tutto in maniera pomposa e drammatica, palesando un eccesso di fantasia. In più io avevo ben impresso nella memoria l'ultima scena, credevo fortemente che il carro si fosse arrestato prima di deragliare per colpa dei sassi che avevamo messo sui binari.
Concludemmo che non potevamo fidarci di lui, e per precauzione decidemmo di sospendere per qualche tempo le uscite nei boschi.
Credo fossero passate un paio di settimane quando ritornai a suonare il campanello della casa di Marco. Rividi il suo viso sorridente e subito lo invitai a fare un giro. Il mondo ci aspettava.
Era domenica e cambiammo percorso. Ormai la ferrovia era diventata zona off limits, un posto da evitare perché ci trasmetteva un'inquietudine particolare, influenzata dalle troppe fantasie negative di Paolo.
Dopo la strada di campagna che si snodava dalla grande arteria, prendemmo verso sinistra. Ci trovammo davanti a un pendio e cominciammo a salire. Per le nostre gambette di fanciullo era una salita importante ma non impossibile.
Arrivammo in cima soddisfatti e con il fiatone che ci impediva di parlare.
Da lassù vedevamo tutta la vallata e Marco mi disse che la volta successiva avrebbe portato il binocolo di suo padre. Gironzolammo nella zona fino a quando trovammo dei cilindri di cemento. Col senno di poi credo stessero costruendo un impianto fognario o qualcosa del genere.
Cercammo di spostarne uno, e per aiutarci nell'impresa prendemmo un grosso bastone da usare come leva. Sudati e urlanti, riuscimmo con una fatica pazzesca a farlo rotolare giù dai fianchi del pendio. Lo vedemmo rotolare e rimbalzare sul terreno, urtare un albero, girare su se stesso per continuare la corsa fino al fondo del campo. Ricordo che fu meraviglioso. Ripetemmo l'operazione ancora un paio di volte e a ogni tentativo riuscito Marco urlava al cielo tutta la sua felicità.
Come ci divertimmo quel giorno!
Quella fu una delle ultime uscite con Marco, perché poi con il tempo le nostre strade si divisero. Ci vedemmo altre volte ma in situazioni differenti, mentre per qualche imperscrutabile mistero quelle uscite a due, magiche e ricche di curiosità, non ci furono più.
Oggi sono passato nei pressi di quei campi chiamato da un ricordo ancestrale. Mi sono fermato. Ho parcheggiato la macchina sul ciglio della strada e sono entrato nel bosco. Sono arrivato fino al pendio, dove ero stato tanti anni fa. Non ho trovato grandi cambiamenti, anche se i cilindri non ci sono più, evidentemente staranno adempiendo il loro scopo.
Ho rifatto la salita sempre con il fiatone, e una volta in cima ho urlato a squarciagola come faceva Marco tanti anni prima. Erano i nostri giochi prediletti, camminare e curiosare come piccoli esploratori.
Marco aveva quel senso ironico dei comici che hanno una sofferenza interiore, quel sorriso gentile dentro uno sguardo profondo.
Marco non c'è più da tanto tempo.
Dieci anni dopo quei giorni magici una sera si tolse la vita in silenzio. Ripenso a lui e al suo sguardo tranquillo, alla sua comicità seriosa, una specie di Buster Keaton moderno.
Forse aveva capito che certi giochi durano lo spazio di un pomeriggio e poi finiscono per sempre. In seguito la vita diventa un inconscio rincorrere di quelle sensazioni giovanili, emozioni che pur durando lo spazio di un attimo, lasciano un'impronta perenne.
Marco aveva forse capito che il suo gioco era finito.
Selene Barblan
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Messaggio da leggere da Selene Barblan »

Ciao Letylety, ho letto con piacere il tuo racconto; lo trovo ben scritto e scorrevole, il linguaggio è semplice e fresco come a voler richiamare quell’età perduta. I giochi dei due ragazzini se non uguali alle mie esperienze hanno comunque un qualcosa che richiamano alla mia mente dei ricordi e delle sensazioni, insomma è condivisibile.
Il finale è la parte che mi convince meno ma non so spiegare esattamente il perché; forse è troppo spiegato, non sono più le immagini a raccontare, come nel resto della storia.

Ti segnalo un paio di cose che forse vanno corrette:

Aldilà—> dipende se è voluto o meno, se è un’anticipazione di ciò che avviene in seguito ok, altrimenti penso che dovrebbe essere al di là

Adempiendo il loro scopo: quando l’ho letto mi è suonato male. Ho controllato ed è corretto come l’hai scritto, ma mi suona meglio adempiendo al loro scopo. Gusti personali probabilmente.

Rincorrere di: anche questo mi suona male, rincorrere le situazioni.. emozioni…

“Col sennò di poi… o qualcosa del genere” quel qualcosa del genere mi sembra meno elegante rispetto allo stile usato nel racconto.

Globalmente trovo che si lasci leggere, voto 3 per me.
Ultima modifica di Selene Barblan il 25/06/2021, 21:55, modificato 1 volta in totale.
Namio Intile
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Messaggio da leggere da Namio Intile »

Sì, aldilà è un sostantivo col significato di oltretomba, mentre al di là è una locuzione avverbiale. Quindi nell'uso che ne fai il sostantivo è un errore.
Poi, più avanti, gambe da fanciullo o di fanciulli, non di fanciullo.
Quel gesta di due ragazzini all'inizio mi pare esagerato. Capisco che gli hai impresso una connotazione ironica, ma forse avresti dovuto metterlo tra virgolette dato che il corsivo qui non prende.
Hai scelto la prima persona con l'autore che racconta la propria storia e quella di un giovane amico. Che nel finale apprendiamo essersi tolto la vita molto giovane.
Le poche riflessioni assumono profondità soprattutto grazie a questa notizia.
Per il resto il racconto si sofferma forse un po' troppo sulle imprese, invero poco interessanti, dei due giovani monelli
Il racconto così sembra un po' squilibrato, tra voglia di ricordare e il tentativo di razionalizzare e di darsi una spiegazione.
Forse avresti dovuto ricordare e basta, lasciare che i ricordi seguissero il loro corso, senza tornare al presente con quelle riflessioni ex post hanno reso meno lieto il testo senza regalarmi qualche riflessione degna di nota.
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Errepi60
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Messaggio da leggere da Errepi60 »

Ho letto il racconto con piacere e ha risvegliato in me ricordi analoghi. Anche noi, da giovani, eravamo liberi di giocare all'aperto, in campagna, erano giornate lunghe e favolose. Ogni giorno accadeva qualcosa da raccontare e qualche volta, ci comportavamo, come i tuoi personaggi, un pò sopra le righe.
Macrelli Piero
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Messaggio da leggere da Macrelli Piero »

hai scelto l'uso della prima persona nel narrare la storia e questo mi piace molto. Se ti è capitato di leggere le mie prove avrai notato che uso sempre la prima persona.
Racconto scorrevole e ben strutturato, ma mancano certe emozioni che l'uso della prima persona permette. In terza persona si può essere distaccati dalla vicenda raccontata; mentre in prima persona ci starebbe bene un maggior coinvolgimento emotivo.
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Alberto Marcolli
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Commento La fine del gioco

Messaggio da leggere da Alberto Marcolli »

Scrittura scorrevole. La lettura è tranquilla e allo stesso tempo coinvolgente. Le avventure dei due “monelli” sono ben descritte, ma l’hanno mai fatta una buona azione tipo aiutare una “vecchietta ad attraversare la strada”?
Trovo superfluo segnalarti qualche piccola imperfezione, peraltro già indicata nel commenti precedenti.
Veniamo alla critica sul contenuto.
Tu racconti la tua storia e la vedi dalla tua prospettiva, ovvio. Ma se scrivi anche per un pubblico di lettori, diventa soprattutto indispensabile considerare la prospettiva del lettore.
Hai tenuto conto della prospettiva del lettore?
Per me andava abbastanza bene fino alla frase (verso la fine del racconto) che inizia con “dieci anni dopo…”, preceduta da una considerazione sul carattere di Marco del tutto inaspettata date le premesse.
E qui non ci siamo.
Puoi piantare in asso il lettore dopo aver introdotto un evento dirompente come il suicidio di un ragazzo, tuo amico per giunta?
Troppi sono gli interrogativi e le curiosità che susciti nel lettore e poi lo pianti in asso con due frasette finali che dicono poco o niente.
Questo ragazzo si suicida dieci anni dopo l’età di adolescente, quindi non poteva avere più di venti venticinque anni. Ti pare che nel pieno della gioventù ci si toglie la vita soltanto perché il gioco è finito o il proprio carattere è alla Buster Keaton ( a proposito: chi era costui?)?
Voto 3
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Eleonora2
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Commento La fine del gioco

Messaggio da leggere da Eleonora2 »

Il commento, mio, si riduce al fatto che ho dato, ormai ieri, il voto, che è un 2.
Ti sei scelta una bella gatta da pelare: racconto in prima persona di un adulto che parla di se quando era un ragazzino, sull'adolescenza. Il mio giudizio di lettrice è che ci sono tante, troppe, considerazioni. Sull'età, personali,descrizione dei personaggi, racconto di storie, anche tragiche come il suicidio del ragazzo, dei giornaletti, ecc. Non metto in discussione la scrittura fresca e scorrevole.Tutti qui sappiamo comporre. Non sappiamo raccontare. Il tutto risulta scoordinato, slegato, eterogeneo. A me non è arrivato niente e questo perché c'è troppo senza che ci sia quel moto, come in Coppia d'assi, che ho letto. Come lettrice, ci tengo a sottolinearlo, non mi ha smosso niente. Tutto è lì appiccicato; non importa che i miei ricordi siano differenti! Stai cercando la tua strada o sbaglio?
Buona serata.Ciao!
Lucia De Falco
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Messaggio da leggere da Lucia De Falco »

Amo molto le storie che hanno come protagonisti dei bambini o dei ragazzini, con le loro piccole avventure. La scrittura è piacevole e scorrevole, ma il finale lascia un po' l'amaro in bocca, anche perché non c'è una reale spiegazione del gesto di quell'amico forse la paura di affrontare la vera vita.
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Fausto Scatoli
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Messaggio da leggere da Fausto Scatoli »

premesso che mi sembrano esagerate le gesta dei ragazzini, trovo la storia troppo raccontata.
perbacco, hai voluto descrivere un certo periodo della vita, e l'idea ci sta, è buona.
ho fatto pure io le mie sciocchezze ma non sono arrivato a punti simili.
ci sono dei refusi che ti hanno già segnalato, per il resto la scrittura è buona e la lettura abbastanza scorrevole.
l'unico modo per non rimpiangere il passato e non pensare al futuro è vivere il presente
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Temistocle
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Messaggio da leggere da Temistocle »

Dopo la lettura sono rimasto come in sospeso. Non so cosa mi aspettassi dalla narrazione di quei fatti, forse una morale, una considerazione conclusiva. O forse un qualcosa che continuasse ad avere effetti anche nel presente. Insomma una narrazione forse meno diaristica, come è questa o almeno come mi sembra di percepire.
Anto58
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Messaggio da leggere da Anto58 »

Mi è piaciuto molto questo racconto. In misto di ricordi e di rimpianti per quell'età adolescenziale e per quelle amicizie che non si dimenticheranno più nel corso della vita. Amara conclusione che aggiunge malinconia al racconto.
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