Un giorno diverso in tribunale
Inviato: 11/10/2021, 18:13
1.
La giudice Donata Dalla Libera aveva avuto una nottata pesante: era rimasta sveglia per ore, a causa delle colichette della piccola Aurora. Ma aveva un contratto da rispettare, e non si poteva esimere: tutti i giorni, a mezzogiorno, puntuale come un cucù di Ginevra, in diretta su Rete 44 per Il Giorno in Tribunale.
- Cosa abbiamo oggi, Filippo? - Chiese, al ragazzo tuttofare.
- Dei casi molto interessanti, che faranno sicuramente il botto di audience, vedrà, signora Giudice. - Disse lui, entusiasta come sempre.
- Bah, speriamo. - Fece lei, dubbiosa; negli ultimi tempi, la trasmissione sembrava in fase di stanca, forse gli autori del programma non erano più così abili nel presentare casi curiosi.
Un uomo mingherlino, dall'aspetto insignificante, si avvicinò al banco, si presentò con nome e cognome e poi: - Signora Giudice, ho denunciato la mia vicina di casa a causa della maleducazione del suo cane, che continua a defecare nel mio giardino, nonostante le mie proteste ripetute.
L'uomo continuò con le sue rimostranze, e infine Donata disse: - Va bene, ho preso nota. Adesso ascoltiamo la controparte... Giovanna Capece, giusto?
- Esatto, signora Giudice. - Rispose, avvicinandosi, una donna corpulenta di mezza età con le braccia piene di tatuaggi variopinti. - Il mio vicino continua nel suo atteggiamento gretto, anti-animalista e razzista. Il mio Fuffy è un individuo affettuoso, che vuole donare gioia a chiunque, anche a chi non se la merita.
- Ma, signora Giudice, il suo cane continua a... - Cercò di interrompere l'uomo.
- Faccia silenzio, signor De Carlo. - Disse Donata, perentoria. - E stia attento a non insultare chicchessia, la corte non tollererà oltre.
- Ma io non... cioè io non volevo offend... - L'uomo cominciò a balbettare, ma Donata lo interruppe: - Silenzio! Dovrebbe sapere che la denominazione “cane” è un insulto, se rivolto a un componente di famiglia parola-privo e, come tale, meritevole di adeguata attenzione poiché incapace di difendersi. Dovrebbe vergognarsi, signor De Carlo, torni al suo posto.
Il denunciante, che si era alzato e avvicinato al banco centrale in preda all'agitazione, si risedette accompagnato da un brusio di disapprovazione da parte del pubblico.
La giudice si ritirò in camera di consiglio, lasciando come di consueto la parola agli spettatori in sala. La netta maggioranza era favorevole alla donna e a Fuffy.
Una giovane disse, sventolando il suo smartphone: - Ehi, Fuffy è questo, giusto?
La Capece, tutta contenta, sorrise: - Certo, questo è il nostro gruppo di famiglia su Instagram.
- Ehi, ma è un San Bernardo, chissà la cagate che spara... - Disse uno spettatore, subito guardato male da tutti.
Donata rientrò dopo dieci minuti: - Giuseppe De Carlo si lamenta del comportamento di Fuffy, ma non ha tenuto conto dei suoi sentimenti e del fatto che le deiezioni sono comunque un ottimo fertilizzante per il terreno; dunque è Fuffy – e, indirettamente, Giovanna Capece – a donare qualcosa a lui, che quindi non ha diritto ad alcun risarcimento; semmai, è il contrario. Considerando il costo del fertilizzante, direi che il signor De Carlo deve corrispondere cento euro mensili a Fuffy, per il dono che lui, nella sua ingenuità, considerava un regalo. Così è deciso.
2.
Il secondo caso aveva tutta l'aria di poter provocare agitazione nel pubblico; come sempre, quando c'erano dei trans di mezzo.
Infatti il soggetto che si presentò alla sbarra, Noemi D'Amore, era vestita come Carmen Miranda ma aveva una voce baritonale. Indicò un anziano, seduto all'altro lato dello studio, e disse: - Quel signore mi ha insultato pesantemente e ripetutamente, e su un mezzo pubblico, di fronte a tutti. È stata una cosa intollerabile. Esigo un risarcimento, affinché non accada più di essere umiliatǝ in questo modo. Noi trans siamo veramente stanchǝ di questa situazione, signora Giudice.
- Bene, si faccia avanti la controparte, il signor Giuseppe Vincenzi.
L'uomo si alzò con difficoltà dalla panca, evidentemente per problemi articolari dovuti all'età; andò alla sbarra e iniziò a parlare: - Signora Giudice, io non capisco. Come tutte le mattine, stavo andando in centro sul bus cinquantadue. Ero seduto, e quella signora si è avvicinata, dicendomi: - Mi lasci sedere, prego. Le scarpe mi fanno male ai piedi.
- Ecco, lo ha fatto ancora! - esclamò Noemi.
- Che cosa ho fatto? - Si chiese l'uomo, smarrito. - Come ho fatto a mancarle di rispetto?
- Oddio, di nuovo, non ci posso credere... - Noemi erǝ decisamente scandalizzatǝ.
La giudice lǝ congedò, e si ritirò, avendo il quadro completo della situazione.
Il pubblico si scatenò nel frattempo: - È intollerabile, Noemi ha ragione! I vecchi si dovrebbero aggiornare, oppure è meglio che non escano più di casa. - Esclamò un ragazzo pieno di piercing alle orecchie.
- Poverino, non è colpa di Giuseppe se il mondo in cui è cresciuto era incivile... - Fece una donna, nel tentativo di giustificare l'anziano, sempre più spaesato.
La giudice tornò, cinque minuti dopo: - La decisione è stata rapida, il caso è lampante; - esordì - il mondo nuovo, all'insegna della civiltà e della tolleranza, non è facile da metabolizzare per le vecchie generazioni cresciute nell'odio, nel razzismo e nel fanatismo, anche inconsapevole, come in questo caso. I soggetti trans che non hanno ancora fatto la transizione completa uomo/donna necessitano del suffisso ǝ, la schwa, che ha un suono intermedio tra a ed e: lo so, è un'ovvietà per noi, purtroppo per gli anziani come il pover'uomo qui presente non è così. Quindi, anche in considerazione della sua età e delle sue condizioni, delibero che Giuseppe Vincenzi non sia passibile di alcuna sanzione pecuniaria, ma che sia sottoposto a trenta sedute di linguaggio politicamente corretto, presso il circolo LGBTQX della locale circoscrizione. Così è deciso.
La giudice batté il martelletto e il suono venne accolto da un lungo applauso, anche se l'espressione di Noemi era tutt'altro che felice: avrebbe voluto una punizione esemplare, per quel vecchiaccio.
3.
Il terzo e ultimo caso della giornata si preannunciava caotico: lo studio si era riempito di una decina di donne urlanti, che si stavano avvicinando alla sbarra dei testimoni-denuncianti.
- Parli una di voi, prego. - disse Donata.
Le donne si guardarono tra loro, e quella con l'espressione più decisa disse: - Comincio io: mi chiamo Doris Ferri, e sono la portavoce del gruppo.
- Molto bene, Doris. Mi dica: cos'è accaduto?
- Un fatto oltremodo increscioso, signora Giudice; il qui presente Don Pace - e indicò col dito un uomo in abito talare, seduto in un angolo, - ha dato prova di totale insensibilità verso noi donne, in un'occasione sacra come la Santa Messa.
- Addirittura... che cosa può aver combinato di tanto grave? - Domandò la Giudice, incuriosita.
- Ignorando tutte le più recenti disposizioni in materia, provenienti dai vertici della Chiesa, non ha modificato il saluto finale ai fedeli e alle fedeli. In altri termini, ha volutamente ignorato noi donne.
- Non è vero! - Si alzò Don Pace, esclamando a voce alta, - Amen è un saluto universale, che comprende tutti!
Le sue ultime parole furono sommerse dal coro delle denuncianti: - Sei un maledetto maschilista che si nasconde sotto l'abito talare! Amen in realtà vuol dire A-men, e ci esclude automaticamente. Dovevi dire anche A-women, e non l'hai fatto!
- Ho capito il problema, adesso fate silenzio. - Donata cercava di riportare un po' di calma, anche se nel frattempo il pubblico si stava scaldando, parteggiando per l'uno o per le altre: - Hanno ragione le femministe credenti, lo ha detto pure il Papa. - diceva qualcuno.
Mentre qualcun altro: - Sono tutte assurdità, molti preti ignorano le nuove regole.
La testimonianza di Don Serafino Pace non servì a granché, solo a ribadire le rispettive distanze, assai lontane e inconciliabili, tra il parroco tradizionalista e le femministe.
Donata si ritirò in camera di consiglio e stavolta rimase più del solito, mentre anche tra il pubblico le due posizioni non riuscirono a trovare un accordo.
Quando Donata riemerse e si accomodò sullo scranno, si fece silenzio senza bisogno che suonasse la campanella, tanto il momento era solenne: - Non posso costringere Don Pace a pronunziare parole che lui non voglia; gli posso solo ricordare che è stata mia premura contattare il suo vescovo, e segnalargli l'anomalo comportamento del suo sottoposto. - A questo, ci fu un brusio di approvazione. - Come è già stato notato, Sua Santità stessa ha ripetuto più volte che la Chiesa deve essere inclusiva dell'universo femminile, e che bisogna partire dalle piccole cose, come il saluto finale ai fedeli e alle fedeli. Poiché la Chiesa del ventunesimo secolo è tollerante, anti-razzista e non violenta.
Pertanto, caro Don Pace, la invito caldamente a partecipare alle riunioni settimanali del collettivo femminista che si terranno nell'oratorio della sua parrocchia, a partire dalla settimana prossima, al posto della partitella di calcio che lei è abituato a giocare coi ragazzi. Ho telefonato al vescovo, mi ha detto che è perfettamente d'accordo. Così è deciso, la seduta è tolta.
A telecamere spente, Filippo si avvicinò a Donata: - Oggi è stata semplicemente meravigliosa, signora Giudice. - Disse, con voce tremante, - Quando ha parlato del nuovo ruolo della Chiesa mi sono anche commosso. - E si asciugò una piccola lacrima, con un gesto della mano. - Avremo fatto un'audience da paura, ne sono sicuro, vedrà!
- Me lo auguro, caro, me lo auguro. - Fece Donata, non troppo convinta.
Le squillò il cellulare: - Amore, come stai? E l'allattamento? Ah, benissimo.
Al termine della chiamata Filippo, che le era rimasto accanto, volle informarsi: - Sua moglie sta bene? Ho saputo che aveva un'infiammazione al capezzolo.
- Niente di grave, caro. Capita, alle puerpere.
La giudice Donata Dalla Libera aveva avuto una nottata pesante: era rimasta sveglia per ore, a causa delle colichette della piccola Aurora. Ma aveva un contratto da rispettare, e non si poteva esimere: tutti i giorni, a mezzogiorno, puntuale come un cucù di Ginevra, in diretta su Rete 44 per Il Giorno in Tribunale.
- Cosa abbiamo oggi, Filippo? - Chiese, al ragazzo tuttofare.
- Dei casi molto interessanti, che faranno sicuramente il botto di audience, vedrà, signora Giudice. - Disse lui, entusiasta come sempre.
- Bah, speriamo. - Fece lei, dubbiosa; negli ultimi tempi, la trasmissione sembrava in fase di stanca, forse gli autori del programma non erano più così abili nel presentare casi curiosi.
Un uomo mingherlino, dall'aspetto insignificante, si avvicinò al banco, si presentò con nome e cognome e poi: - Signora Giudice, ho denunciato la mia vicina di casa a causa della maleducazione del suo cane, che continua a defecare nel mio giardino, nonostante le mie proteste ripetute.
L'uomo continuò con le sue rimostranze, e infine Donata disse: - Va bene, ho preso nota. Adesso ascoltiamo la controparte... Giovanna Capece, giusto?
- Esatto, signora Giudice. - Rispose, avvicinandosi, una donna corpulenta di mezza età con le braccia piene di tatuaggi variopinti. - Il mio vicino continua nel suo atteggiamento gretto, anti-animalista e razzista. Il mio Fuffy è un individuo affettuoso, che vuole donare gioia a chiunque, anche a chi non se la merita.
- Ma, signora Giudice, il suo cane continua a... - Cercò di interrompere l'uomo.
- Faccia silenzio, signor De Carlo. - Disse Donata, perentoria. - E stia attento a non insultare chicchessia, la corte non tollererà oltre.
- Ma io non... cioè io non volevo offend... - L'uomo cominciò a balbettare, ma Donata lo interruppe: - Silenzio! Dovrebbe sapere che la denominazione “cane” è un insulto, se rivolto a un componente di famiglia parola-privo e, come tale, meritevole di adeguata attenzione poiché incapace di difendersi. Dovrebbe vergognarsi, signor De Carlo, torni al suo posto.
Il denunciante, che si era alzato e avvicinato al banco centrale in preda all'agitazione, si risedette accompagnato da un brusio di disapprovazione da parte del pubblico.
La giudice si ritirò in camera di consiglio, lasciando come di consueto la parola agli spettatori in sala. La netta maggioranza era favorevole alla donna e a Fuffy.
Una giovane disse, sventolando il suo smartphone: - Ehi, Fuffy è questo, giusto?
La Capece, tutta contenta, sorrise: - Certo, questo è il nostro gruppo di famiglia su Instagram.
- Ehi, ma è un San Bernardo, chissà la cagate che spara... - Disse uno spettatore, subito guardato male da tutti.
Donata rientrò dopo dieci minuti: - Giuseppe De Carlo si lamenta del comportamento di Fuffy, ma non ha tenuto conto dei suoi sentimenti e del fatto che le deiezioni sono comunque un ottimo fertilizzante per il terreno; dunque è Fuffy – e, indirettamente, Giovanna Capece – a donare qualcosa a lui, che quindi non ha diritto ad alcun risarcimento; semmai, è il contrario. Considerando il costo del fertilizzante, direi che il signor De Carlo deve corrispondere cento euro mensili a Fuffy, per il dono che lui, nella sua ingenuità, considerava un regalo. Così è deciso.
2.
Il secondo caso aveva tutta l'aria di poter provocare agitazione nel pubblico; come sempre, quando c'erano dei trans di mezzo.
Infatti il soggetto che si presentò alla sbarra, Noemi D'Amore, era vestita come Carmen Miranda ma aveva una voce baritonale. Indicò un anziano, seduto all'altro lato dello studio, e disse: - Quel signore mi ha insultato pesantemente e ripetutamente, e su un mezzo pubblico, di fronte a tutti. È stata una cosa intollerabile. Esigo un risarcimento, affinché non accada più di essere umiliatǝ in questo modo. Noi trans siamo veramente stanchǝ di questa situazione, signora Giudice.
- Bene, si faccia avanti la controparte, il signor Giuseppe Vincenzi.
L'uomo si alzò con difficoltà dalla panca, evidentemente per problemi articolari dovuti all'età; andò alla sbarra e iniziò a parlare: - Signora Giudice, io non capisco. Come tutte le mattine, stavo andando in centro sul bus cinquantadue. Ero seduto, e quella signora si è avvicinata, dicendomi: - Mi lasci sedere, prego. Le scarpe mi fanno male ai piedi.
- Ecco, lo ha fatto ancora! - esclamò Noemi.
- Che cosa ho fatto? - Si chiese l'uomo, smarrito. - Come ho fatto a mancarle di rispetto?
- Oddio, di nuovo, non ci posso credere... - Noemi erǝ decisamente scandalizzatǝ.
La giudice lǝ congedò, e si ritirò, avendo il quadro completo della situazione.
Il pubblico si scatenò nel frattempo: - È intollerabile, Noemi ha ragione! I vecchi si dovrebbero aggiornare, oppure è meglio che non escano più di casa. - Esclamò un ragazzo pieno di piercing alle orecchie.
- Poverino, non è colpa di Giuseppe se il mondo in cui è cresciuto era incivile... - Fece una donna, nel tentativo di giustificare l'anziano, sempre più spaesato.
La giudice tornò, cinque minuti dopo: - La decisione è stata rapida, il caso è lampante; - esordì - il mondo nuovo, all'insegna della civiltà e della tolleranza, non è facile da metabolizzare per le vecchie generazioni cresciute nell'odio, nel razzismo e nel fanatismo, anche inconsapevole, come in questo caso. I soggetti trans che non hanno ancora fatto la transizione completa uomo/donna necessitano del suffisso ǝ, la schwa, che ha un suono intermedio tra a ed e: lo so, è un'ovvietà per noi, purtroppo per gli anziani come il pover'uomo qui presente non è così. Quindi, anche in considerazione della sua età e delle sue condizioni, delibero che Giuseppe Vincenzi non sia passibile di alcuna sanzione pecuniaria, ma che sia sottoposto a trenta sedute di linguaggio politicamente corretto, presso il circolo LGBTQX della locale circoscrizione. Così è deciso.
La giudice batté il martelletto e il suono venne accolto da un lungo applauso, anche se l'espressione di Noemi era tutt'altro che felice: avrebbe voluto una punizione esemplare, per quel vecchiaccio.
3.
Il terzo e ultimo caso della giornata si preannunciava caotico: lo studio si era riempito di una decina di donne urlanti, che si stavano avvicinando alla sbarra dei testimoni-denuncianti.
- Parli una di voi, prego. - disse Donata.
Le donne si guardarono tra loro, e quella con l'espressione più decisa disse: - Comincio io: mi chiamo Doris Ferri, e sono la portavoce del gruppo.
- Molto bene, Doris. Mi dica: cos'è accaduto?
- Un fatto oltremodo increscioso, signora Giudice; il qui presente Don Pace - e indicò col dito un uomo in abito talare, seduto in un angolo, - ha dato prova di totale insensibilità verso noi donne, in un'occasione sacra come la Santa Messa.
- Addirittura... che cosa può aver combinato di tanto grave? - Domandò la Giudice, incuriosita.
- Ignorando tutte le più recenti disposizioni in materia, provenienti dai vertici della Chiesa, non ha modificato il saluto finale ai fedeli e alle fedeli. In altri termini, ha volutamente ignorato noi donne.
- Non è vero! - Si alzò Don Pace, esclamando a voce alta, - Amen è un saluto universale, che comprende tutti!
Le sue ultime parole furono sommerse dal coro delle denuncianti: - Sei un maledetto maschilista che si nasconde sotto l'abito talare! Amen in realtà vuol dire A-men, e ci esclude automaticamente. Dovevi dire anche A-women, e non l'hai fatto!
- Ho capito il problema, adesso fate silenzio. - Donata cercava di riportare un po' di calma, anche se nel frattempo il pubblico si stava scaldando, parteggiando per l'uno o per le altre: - Hanno ragione le femministe credenti, lo ha detto pure il Papa. - diceva qualcuno.
Mentre qualcun altro: - Sono tutte assurdità, molti preti ignorano le nuove regole.
La testimonianza di Don Serafino Pace non servì a granché, solo a ribadire le rispettive distanze, assai lontane e inconciliabili, tra il parroco tradizionalista e le femministe.
Donata si ritirò in camera di consiglio e stavolta rimase più del solito, mentre anche tra il pubblico le due posizioni non riuscirono a trovare un accordo.
Quando Donata riemerse e si accomodò sullo scranno, si fece silenzio senza bisogno che suonasse la campanella, tanto il momento era solenne: - Non posso costringere Don Pace a pronunziare parole che lui non voglia; gli posso solo ricordare che è stata mia premura contattare il suo vescovo, e segnalargli l'anomalo comportamento del suo sottoposto. - A questo, ci fu un brusio di approvazione. - Come è già stato notato, Sua Santità stessa ha ripetuto più volte che la Chiesa deve essere inclusiva dell'universo femminile, e che bisogna partire dalle piccole cose, come il saluto finale ai fedeli e alle fedeli. Poiché la Chiesa del ventunesimo secolo è tollerante, anti-razzista e non violenta.
Pertanto, caro Don Pace, la invito caldamente a partecipare alle riunioni settimanali del collettivo femminista che si terranno nell'oratorio della sua parrocchia, a partire dalla settimana prossima, al posto della partitella di calcio che lei è abituato a giocare coi ragazzi. Ho telefonato al vescovo, mi ha detto che è perfettamente d'accordo. Così è deciso, la seduta è tolta.
A telecamere spente, Filippo si avvicinò a Donata: - Oggi è stata semplicemente meravigliosa, signora Giudice. - Disse, con voce tremante, - Quando ha parlato del nuovo ruolo della Chiesa mi sono anche commosso. - E si asciugò una piccola lacrima, con un gesto della mano. - Avremo fatto un'audience da paura, ne sono sicuro, vedrà!
- Me lo auguro, caro, me lo auguro. - Fece Donata, non troppo convinta.
Le squillò il cellulare: - Amore, come stai? E l'allattamento? Ah, benissimo.
Al termine della chiamata Filippo, che le era rimasto accanto, volle informarsi: - Sua moglie sta bene? Ho saputo che aveva un'infiammazione al capezzolo.
- Niente di grave, caro. Capita, alle puerpere.