La Méduse

Spazio dedicato alla Gara stagionale d'autunno 2022.

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Namio Intile
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La Méduse

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«Théodore Géricault» lesse dalla didascalia sotto la tela il professore e fece due passi indietro per abbracciare, con un’unica occhiata, l’intero dipinto.
Fece cenno ai ragazzi di avvicinarsi e riunì sotto le sue ali la IV H del commerciale David Ricardo come una chioccia fa con i pulcini.
«Questi chi sono, prof?» Domandò Kelli Bordon.
Silvio Mambelli, professore di diritto di lungo corso, titolare di cattedra dal '98, e di uno studio legale per interposta persona in quel di Lainate, sobbalzò.
La sua immaginazione scivolò su di un barcone di migranti alla deriva, poi su di un film di Roman Polanski visto tempo prima in TV.
Senza incertezze e a testa alta, come era sua abitudine fare quando non sapeva cosa dire, sentenziò. «Pirati. Sono dei pirati, ragazzi.»
E pensò bene di passare ad altro, un po’ per l’innata prudenza dell' assiduo frequentatore di aule giudiziarie un po’ perché riteneva l’attenzione degli adolescenti volatile non meno della cenere vulcanica.
«Guardate questo Cavaliere qui accanto. Delacroix...» continuò.
E subito gli venne il dubbio che quel nome si riferisse al soggetto del dipinto, piuttosto che al suo artefice.
«Andiamo a vedere le mummie» propose annoiato Aldo Serravalle.
«Le mummie, prof» approvò Valentina, dal nome appropriato al suo fare da civetta.
«Ma che fanno queste persone sedute davanti ai quadri? Stanno forse male?» Chiese ansiosa Alycia, e siccome non ricevette risposta ingurgitò una Sereupin per far scemare la tensione.
«Io sto benissimo, signorina» la tranquillizzò l’uomo avanti con l’età seduto proprio di fronte all’opera di Géricault. «Non è splendida?» E indicò col bastone l’imponente tela che dominava quel tratto della sala.
«Le radeau de la Méduse, la zattera della Medusa» aggiunse.
«Veramente sono pirati» lo corresse il professor avvocato Silvio Mambelli.
«Ma no» obiettò l’uomo col bastone.
Si spostò di fianco al gruppo e si rivolse a loro. «Il vostro insegnante avrà voluto prendersi gioco di voi, e mi perdonerà se ho ascoltato quanto diceva. Quelli non sono pirati, ma naufraghi. E questo dipinto è opera di Théodore Géricault, che lo terminò nel 1819. Era un ragazzo allora, poco più grande di voi, ventotto anni, e sarebbe morto cinque anni più tardi. Ecco, osservate le dimensioni della tela... E il tratto, all’apparenza confuso, le tinte fosche: eppure ogni figura, se ci fate caso, è ben delineata e reale, viva; questo è il suo capolavoro, la sintesi della sua breve vita...»
«Perché naufraghi?» Domandò uno di loro.
«Perché Géricault ha voluto immortalare una storia realmente accaduta ai suoi tempi, e che allora fece molto scalpore. Il naufragio della Medusa.»
«Ma la Medusa non è un animale mitologico?» Obiettò pignolo il professor Mambelli.
Il quale non faceva sconti a nessuno, a scuola come nella libera professione.
L’uomo col bastone sospirò e si spostò in avanti, poi fece cenno ai ragazzi di piegarsi sulle ginocchia e di disporsi attorno a lui.
Obbedirono docilmente, solo Mambelli rimase in piedi, sorpreso ma per nulla incuriosito, indeciso sull'atteggiamento da adottare tra la benevolenza, la sufficienza o l’ostilità.
«Sono vecchio, dovete perdonarmi, e do molte cose per scontate. La Medusa è effettivamente una figura mitologica legata al mare» ammise.
E, con un sorriso beffardo, allargò il braccio destro a indicare il professor Mambelli, come a volergli concedere lo scettro della conoscenza.
«È una Gorgone, cara a Poseidone, il dio greco dei mari; nel corso dei secoli fu d’ispirazione a tanti pittori... Rubens e Caravaggio per citarne un paio. Ed è anche l’animale marino dai tentacoli urticanti che di sicuro conoscete.»
«Urca» si lamentò Ahmed, un ragazzo dai tratti mediorientali, forse memore dell’incontro avvenuto in mari d’altre latitudini.
«Ma la Méduse di Géricault è una nave, seppur dal nome mitologico. Più precisamente era una fregata della flotta di sua maestà Luigi XVIII, re di Francia. Salpata dal porto di Rochefort nel 1816, con al seguito una piccola flottiglia di navi militari, tra cui il brigantino Argus. Questo qui, vedete?» E alzò il bastone a indicare il vascello sul dipinto, ben visibile all’orizzonte. «A bordo della Méduse si trovavano, oltre all’equipaggio, circa trecento tra coloni, militari e funzionari con direzione il Senegal. Lo scopo del viaggio il riprendere possesso di quelle lontane terre, occupate dalla marina britannica dopo la Rivoluzione e ormai prossime alla restituzione. Ma in realtà, ragazzi miei, la Méduse è un’allegoria.»
«Un’allego... che?» Scappò a Michelangelo Salvini, un ragazzo con i capelli lucidi di gel sollevati in numerose creste oblique divergenti tra loro.
«Un’allegoria è una figura retorica» intervenne Mambelli, pensando di far bella figura. «Ne riparleremo in classe con calma...»
«Oh, non dovete avere paura delle parole, e non dovrete attendere tanto. Quando vedete questa zattera» continuò il vecchio col bastone, «a cosa pensate?»
«Ai clandestini» disse Aldo Serravalle.
«All’isola dei famosi» rispose Alycia Biancofiore.
«Bene, così facendo potete usare la nostra zattera per immaginare altre cose e quindi rappresentare a chi ascolta cose diverse da quelle che essi vedono. Questa, molto semplicemente, è un’allegoria. Géricault ha adoperato la Méduse per parlarci della Francia dei suoi tempi e per parlare alla Francia del suo tempo. Perché si può parlare con le parole, ma anche con le immagini...»
«Fichissimo, prof» esclamò Luigi Di Maggio.
«Mica scemo ‘sto pittore» fece Salvini.
«E i naufraghi?» Domandò Gina Sein, una ragazza minuta, dai lunghi capelli corvini raccolti in una moltitudine di trecce.
«La fregata si arenò nel golfo di Arguin, ben noto anche allora per l’intrico dei suoi bassi fondali, mentre cercava un braccio di mare abbastanza profondo per raggiungere la costa senegalese. La vicenda ci è stata riportata minuziosamente da uno dei quindici sopravvissuti della zattera: Henry Savigny, il medico di bordo della Méduse. Savigny, dopo esser tornato in patria, scrisse un resoconto in forma di diario di viaggio dell’avventura che aveva vissuta. Allora, se il vostro insegnante è d’accordo, vi racconterò questa storia» propose il vecchio col bastone.
«Veramente, il programma della giornata prevede di terminare la visita del Louvre entro... l’una» eccepì l'avvocato Mambelli.
«Silenzio, prof» lo zittì, con un tono che non ammetteva repliche, Gessica Letta, e ripose gli auricolari in un marsupio legato in vita.
«Sì, vogliamo sentire come va a finire» s’unirono gli altri in coro, e fissarono il professor avvocato Mambelli, come a sfidarlo.
«E va bene» acconsentì Mambelli a malincuore.
«Se è così...» riprese il vecchio col bastone, «il comandate della fregata Méduse, e della flottiglia che la scortava, era il visconte Hugues Duroy de Chamareys. Il quale, sebbene avesse un passato da ufficiale di marina, a quel tempo era vecchio quasi quanto me e, per di più, non metteva più piede sopra una nave da oltre un quarto di secolo. Era un nobile, scampato alla ghigliottina ai tempi di Robespierre.»
E con un dito imitò la lama, che cadde con un secco schiocco sul palmo aperto della mano che reggeva il bastone.
«Fuggito in Inghilterra, era rimasto fedele alla monarchia e ai Borbone. Ma è lecito supporre che de Chamareys fosse rimasto devoto soltanto alle proprie idee, al ricordo degli antichi privilegi e alla nostalgia di un mondo che non esisteva più, spazzato via dalla Rivoluzione dell’ottantanove.
Comunque sia, quale ricompensa della sua incrollabile fedeltà, il re della restaurazione gli affidò il comando della spedizione, e del convoglio, che aveva per scopo di riportare la Francia in Africa Occidentale.
L'uomo nutriva una cieca fiducia nelle proprie capacità, alimentata da un’indole irragionevole, ed era solito mascherare le proprie mancanze con l’arroganza.
E nessuno si domandò se potesse essere adatto a governare una flotta, seppure non avesse avuto altro merito se non quello di aver frequentato salotti alla moda e tutte le persone giuste al momento giusto.
Insomma, de Chamareys era l'equivalente di un raccomandato di ferro. Ne conoscerete, credo.»
«Eh, se ne conosciamo... ne conosciamo tanti» fu il commento di più d’uno in mezzo a battute e risolini.
«Ed era talmente avvezzo a farsi strada con il corteggiamento e l’adulazione da lasciarsi consigliare, anche in quell’occasione, soltanto da chi era stato in grado di blandirlo, nella speranza di ricavarne ulteriori favori. Chi è causa del suo mal...»
«Pianga se stesso» completò il motto un Mambelli sopra pensiero.
«Da ammirare» si sbilanciò, tra lo stupore di tutti, Adelmo Silvano, noto per il suo lucido cinismo.
«A me, invece, ricorda qualcuno» rammentò un altro, e lo disse in modo tale da suscitare l’ilarità generale.
«Vi spiegherò perché de Chamareys non è da ammirare» li interruppe il vecchio col bastone.
E continuò, con la stessa voce limpida di prima. «Il nostro capitano non solo ascoltò chi non sapeva nulla di navigazione, ma, peggio, non tenne in nessun conto i consigli degli ufficiali di bordo, ben più esperti di lui; i quali lo avevano avvertito in maniera esplicita della pericolosità delle acque del golfo di Arguin; pericoli che era necessario evitare per non correre il rischio di un naufragio. De Chamareys, invece, per risparmiare tempo e far bella figura con il governatore della colonia che trasportava a bordo, e con gli inglesi che non l'attendevano prima di una certa data, decise di attraversarlo. Era convinto che ci fosse un passaggio, ossia un braccio d'alto mare tale da consentire di superare i bassi fondali sparsi un po' ovunque. Le sue carte nautiche, vecchie quanto lui, riportavano infatti, nel mezzo del golfo, uno stretto passaggio di mare aperto che tuttavia, al di là di ogni considerazione, sarebbe stato molto arduo da seguire. A nulla valse la messa in guardia delle altre navi della flotta, le quali, dopo aver segnalato invano il pericolo, alla fine mutarono rotta e sparirono oltre l’orizzonte, per non seguire la Méduse in quella tragedia annunciata. Quel che prevalse sulla Méduse fu solo la cieca caparbietà e l’arroganza del potere.»
«E quindi?» Chiese Alycia, sempre più ansiosa.
«La Méduse si arenò, come era prevedibile, e subito cominciò a imbarcare acqua, mentre le onde dell’oceano provvedevano a demolire lo scafo. La situazione si fece presto disperata, anche perché a bordo vi erano sei scialuppe in tutto. Sei scialuppe che avrebbero permesso di mettere in salvo, a malapena, la metà delle persone imbarcate. A quel punto, secondo voi, chi doveva decidere chi fosse destinato a vivere e chi a morire? Un bel problema, non trovate?»
«Sciamarè doveva decidere» replicò, ad alta voce, Laura Cocuzzoni, una ragazza dai capelli lisci e biondi e gli occhi sporgenti da miope.
«Sciamarè» sussurrò, con la sua voce roca, Maurizio Lo Russo, che teneva nel portafogli, come fosse la fidanzata, una foto del duce.
«Come nel Titanic» ricordò Giandomenico Versani, e si strinse la sua sciarpetta scolorita al collo.
E poi, tutti in coro: «Sciamarè, Sciamarè, Sciamarè.»
«Già» sussurrò il vecchio col bastone. «La responsabilità della scelta era del capitano. Questo è il dilemma che de Chamareys e i suoi ufficiali dovettero risolvere immediatamente. Un problema atroce, per chi dà valore alla vita, per chi sente l’enorme peso di una decisione tale da incidere sull’esistenza di decine di altri suoi simili. Ma, credetemi, per de Chamareys i dubbi furono d’altro genere.»
«Cioè?» Chiese Mambelli, con rinnovata partecipazione, interessato più ai risvolti funzionali di una decisione, che a quelli etici.
«Evitare che la maggioranza delle persone a bordo, che però era minoranza quanto a rappresentanza, s’impadronisse delle scialuppe. Insomma, per de Chamareys il vero problema era quello di tutelare l’élite che egli rappresentava. Ideò allora uno stratagemma per alimentare la speranza e tenere buono sia l’equipaggio che i coloni: costruire una zattera. E per costruirla propose di utilizzare le sovrastrutture del ponte della fregata e l’opera dei numerosi carpentieri presenti a bordo, sotto la direzione dell’ingegnere destinato alla colonia, insieme al lavoro degli altri coloni e dei membri dell’equipaggio. La zattera, sostenne il capitano, doveva contenere chi non poteva — o doveva — salire a bordo delle scialuppe. E il patto che fu stretto tra de Chamareys, il governatore della colonia Schmaltz, gli ufficiali di Sua Maestà Luigi da una parte, i coloni e l’equipaggio della Méduse dall’altra era semplice. Questi ultimi non avrebbero discusso a chi spettasse la precedenza nel salire sulle scialuppe. Avrebbero accettato il posto sulla zattera senza protestare. In cambio gli occupanti delle scialuppe si sarebbero fatti carico di rimorchiare l’ingombrante e pesante zavorra verso la terraferma distante quasi duecento chilometri.»
«Fichissimo questo Sciamarè» commentò Lo Russo, deciso a fare il tifo per lui.
«Bravo ragazzo» si compiacque il professor Silvio Mambelli. «Sopravvivono solo i migliori! Quelli con le idee migliori e la volontà di seguirle» commentò convinto.
«Pacta servanda sunt» fece il vecchio col bastone. «Gli accordi devono essere rispettati. È un principio generale di lealtà e rispetto reciproco. Semplice, ma fondamentale, tanto da essere contenuto nella madre di tutti i trattati internazionali, oltre che nei codici civili di mezzo mondo. De Chamareys strinse un patto d’onore con gli uomini della zattera. Purtroppo, raramente chi è investito del potere non per aver adoperato virtù, ma per averne abusato, per aver ossequiato in modo insensato e furbesco antichi padroni o nuovi signori, è in grado di compiere scelte onorevoli, suggerì il vecchio col bastone. «Infatti il nostro de Chamareys, mentì e spergiurò...»
«Per sopravvivere» lo interruppe il professor Mambelli. «Sopravvivere è il dovere di ogni individuo. Senza il presupposto della sopravvivenza individuale non v’è nulla» pontificò, rosso in viso.
«Ed è sempre il più forte a sopravvivere, cazzo» gli venne incontro Salvini.
«Insegna questo ai suoi ragazzi?» Lo rimbrottò il vecchio col bastone, e diresse contro il suo sguardo accigliato e triste. «Dunque se i ragazzi truccassero i voti del suo registro, facendola fesso, in fondo lei sarebbe contento.»
«Beh, ma questo che c’entra…»
«Ah, ho capito. Allora lei insegna loro l’arte della doppia morale. Se imbrogli e ti fai beccare sei un perdente, ma se nessuno ti scopre, allora sei degno di menzione. La sopravvivenza del più furbo, insomma.»
«Lei mi offende, e ha frainteso le mie parole…»
«Ne sono sicuro. Ma a lei non è venuto il dubbio se ciò che operiamo come individui, e che a volte mascheriamo dietro l'ambiguo termine di sopravvivenza, in realtà non sia ciò che serve per garantirla? A ogni modo, anche i naufraghi della Méduse fraintesero de Chamareys e strinsero un patto con chi s’attrezzava per non rispettarlo. La zattera venne messa in mare con a bordo centocinquanta persone. Operai, artigiani, marinai, tutti uomini e donne del popolo. Sulle scialuppe invece presero posto il governatore della colonia con la famiglia, tutti gli ufficiali e i funzionari e i pochi altri marinai necessari a governarle, oltre ai militari necessari a proteggerle. Tutte le armi e i viveri vennero caricati sulle scialuppe. Solo il medico di bordo e l’ingegnere che aveva progettato la zattera non vollero salirvi, benché invitati a farlo.»
«Perché?» Domandò Kelli Bordon.
«Perché intuirono la verità e preferirono unire il loro destino a quelli maggiormente in pericolo. Pensate alla combinazione» aggiunse il vecchio col bastone. «La suddivisione dei posti, tra la zattera e le scialuppe, era il riflesso fedele della società francese di quei tempi. I francesi avevano tentato di spezzare le catene della servitù, invano. La Francia era uscita distrutta dalla Rivoluzione trasformata, dall’ambizione illimitata di alcuni, in avventura imperiale, in una guerra senza fine. E in quegli anni si apprestava a tornare indietro, verso gli oscuri lidi della restaurazione. Come la madrepatria, la zattera venne trainata lontano dalla nave semiaffondata; poi, quando ogni ritorno verso di essa sarebbe stato impossibile, de Chamareys ordinò di tranciare le funi che legavano le scialuppe alla zattera stessa. Badate bene, non era in gioco la sopravvivenza immediata degli occupanti delle scialuppe. Ma de Chamareys non volle mettere in gioco neanche un po' di fatica per salvarli.»
«Pezzo di merda d’un Sciamarè» s’infuriò Kelli Bordon.
«A testate sul naso dovevano prenderlo» proruppe Nicola Landucci, e agitò il pugno del braccio sinistro in aria.
«Ragazzi, che sono questi termini, smettetela» tuonò indignato il professor avvocato Silvio Mambelli.
«Li lasci dire» lo interruppe il vecchio col bastone. «Lasci loro la libertà di sfogare la rabbia. È giusto, e de Chamareys non merita apologie. E poi, non mi è sembrato granché offeso quando i ragazzi si davano al turpiloquio gratuitamente. Perché lo è adesso, quando è giustificato? Mi dica... sono sicuro che lei, per una qualche sua supposta abilità, o perché glielo hanno fatto credere, pensa di essere uno di quelli ad aver diritto alla scialuppa.»
«Ma insomma, che modi sono» si schermì Mambelli, con un diavolo per capello.
«Silenzio. Vogliamo sentire come continua la storia» li interruppe Valentina.
«Senza acqua e senza viveri, sulla zattera presto si scatenò l’inferno per impossessarsi delle poche risorse disponibili. Si crearono fazioni, gruppi, bande. Ciascuno si armò come poteva contro il proprio fratello, tutti decisi a sopravvivere singolarmente, come individui, a danno degli altri. A nulla valsero gli sforzi di Savigny e dell’ingegner Corréard, che avevano scelto di non scappare. I loro sforzi e la loro fiducia nella salvezza collettiva riuscirono per qualche giorno a tenere l’ordine in una situazione esplosiva, e a far collaborare tutti per la comune salvezza. Tuttavia, la nona notte di deriva, abbandonati da chi li doveva proteggere, senza legge né speranza, i naufraghi scatenarono la guerra nella zattera della Méduse. I più forti aggredirono i più deboli: uccisero, stuprarono, saccheggiarono e gettarono in mare chi era ferito. La decima notte, vinti dalla sete, bruciati dal sole, mentre la zattera lentamente si dissolveva tra le onde, nuovamente scoppiò il caos. Esaurite le poche riserve, i sopravvissuti si cibarono delle carni dei loro compagni e ne bevvero il sangue, in un’orgia di violenza e di follia. Regnava sovrana la legge della sopravvivenza del più forte voluta da de Chamareys e da quelli come lui. L’undicesima notte i pochi superstiti attendevano la morte per mano del vicino, del compagno, del figlio, del fratello di fianco a essi...»
I ragazzi si fermarono a guardare il vecchio col bastone con occhi sgranati. Sui loro volti si leggeva la curiosità, la commozione o chissà, la voglia di un riscatto.
«Ecco, ora osservate» disse il vecchio col bastone e si alzò, spostandosi alle loro spalle, dinanzi al dipinto. «All’alba del dodicesimo giorno Théodore Géricault ci mostra il suo racconto. A lungo, prima di procedere all’opera definitiva, il giovane pittore si era chiesto quale momento del naufragio avrebbe dovuto scegliere tra i tanti.»
«Già, quale momento, mica uno scherzo da poco» mormorò uno dei ragazzi.
«Esatto» concordò il vecchio col bastone. «Quale circostanza? Quale istante fotografare con i colori? Géricault parlò con alcuni sopravvissuti, con lo stesso Savigny, studiò a lungo gli avvenimenti... poi scelse il momento dell’avvistamento della zattera da parte del brigantino Argus. Il cane fedele che mai aveva abbandonato la speranza di trovare superstiti e per giorni, con pazienza, aveva setacciato la zona di mare intorno al banco. Il momento scelto da Géricault è quello in cui alcuni naufraghi scorgono la nave e segnalano la loro presenza. Venite...» li invitò il vecchio col bastone, e puntò l’indice destro sulla figura dipinta. «Il primo naufrago a vedere l’Argus è un ragazzo di colore. Vedete? È anch’esso un simbolo. Un simbolo di fratellanza. E ci dà il segno di una Francia multirazziale che allora era ancora di là dal venire, ma che già era possibile scorgere in lontananza. E qui, a sinistra in basso, è raffigurato Savigny, l'eroico medico, mentre discute con l’uomo al suo fianco, l’ingegnere Corréard, che più tardi inchioderà alle proprie responsabilità il vecchio de Chamareys in un processo che fece epoca nella Francia della prima restaurazione e sommerse di disapprovazione una classe dirigente irresponsabile. Allora, come forse anche oggi, vi era stata l’impressione che soltanto nelle aule giudiziarie si potesse stabilire un briciolo di verità. In realtà il processo mostrò una realtà già evidente e conosciuta a tutti, ma le conferì l’autorevolezza dell’esempio.»
I ragazzi rimasero in silenzio e aspettarono che il vecchio col bastone continuasse.
Ma rimase in silenzio nell'attesa di qualcuno di loro.
«La zattera sembra una piramide» si decise a parlare Nicoletta Minucci, una ragazza con il viso rovinato dall’acne.
Il vecchio col bastone sorrise. «Brava! La piramide c'è, ed è uno schema. Anzi, Géricault adopera due schemi per mostrarci la zattera. Nel dipinto esistono due piramidi...»
«Due?» Borbottò stupita la Minucci.
«Vi faccio vedere» disse il vecchio col bastone. «La prima piramide parte dall’uomo disteso nell'apice di sinistra e si alza, attraverso il movimento di queste figure, fino al ragazzo di colore che segnala la sua presenza alla nave. La seconda piramide, invece, ha come base la zattera stessa e culmina con l’albero che sorregge la vela quadra. Cosa notate di particolare?» Chiese ancora il vecchio col bastone. «Niente di ciò che osservate è il frutto del caso.»
«Il vento soffia in direzione opposta alle onde del mare» osservò il ragazzo dai capelli di gelatina.
«Non male» li rincuorò il vecchio col bastone. «La zattera, per Géricault, è la Francia del suo tempo. La Francia uscita distrutta dalle guerre napoleoniche. Il suo popolo è affranto e senza speranza, ha i medesimi sentimenti dei naufraghi della zattera. Per Géricault la Francia è vittima di un naufragio: le idee nate dalla rivoluzione vengono travolte dai marosi della restaurazione. Osservate la prima piramide» li esortò il vecchio col bastone, e si voltò verso i ragazzi. «Parte dal basso, da quest’uomo esanime, esangue, e si alza attraverso il groviglio dei corpi. Essi si fanno via via più partecipi e consapevoli, man mano che la prospettiva si sposta verso l’alto, via via che essi guardano avanti, verso la salvezza. Il vertice della piramide è rivolto verso l’Argus. Tutti guardano davanti a loro: solo il vecchio, che giace con un ragazzo immobile tra le braccia, guarda indietro. Volta le spalle alla speranza. È un padre, con il figlio morto tra le braccia. Osservatelo. Porta con sé una medaglia: è una croce della Legion d’Onore, la massima onorificenza francese. Questo vecchio ha creduto nella Rivoluzione e in Napoleone, ha combattuto per entrambi su tanti campi di battaglia. Rappresenta la Francia ancora legata al console corso, ossessionata dal ricordo della perduta grandezza, e preferisce guardare indietro piuttosto che avanti.
La seconda piramide, invece, nasce dal mare e si spinge, come il vento, in direzione opposta, verso l’oceano all'assalto della zattera con alte e spumose onde. Pure quest’immagine non è casuale... un segno, come se la natura sia sempre in grado di abbattere le speranze umane. Due triangoli sovrapposti, due spinte contrapposte, tra voglia di voltar pagina e nostalgia, fedeltà al passato e necessità di rinnegarlo per andare avanti. Due visioni della vita e della storia che si incrociano e si scontrano: le idee della Rivoluzione e quelle della restaurazione.
Géricault compose numerose bozze di questo quadro, finché non trovò la giusta misura in ciò che vedete qui rappresentato. Fu ispirato da David e aiutato dall’ottimo Delacroix, grandi pittori suoi contemporanei, le cui opere sono esposte in queste sale. A proposito, Delacroix fu anche suo modello, lo ritrovate qui» disse il vecchio col bastone, e indicò il ragazzo sdraiato esanime tra le braccia dell’uomo più anziano.
«E io che mi credevo che era solo un quadro» borbottò meravigliato Serravalle.
«Veramente fichissima l’arte» commentò Kelli Bordon. «Dovevamo vedere tutto il museo in una mattina e neanche abbiamo visto il primo quadro.»
Il vecchio col bastone guardò i ragazzi intenti a scambiarsi impressioni tra loro su quanto avevano sentito e visto e annuì contento, si scostò e poi li salutò: «La lezione da trarre da questa vicenda è di non combattersi, ma di collaborare se si vuole sopravvivere. Gli uomini della zattera si sarebbero salvati quasi tutti se avessero lavorato insieme invece di scannarsi a vicenda. Voi siete l'umanità del nuovo millennio. E se non volete che questo sia anche l’ultimo, dovrete imparare ciò che i vostri padri e i vostri maestri non vi sanno insegnare.»
Il vecchio col bastone si allontanò in direzione opposta alla loro, e si confuse tra la folla. Uno dei ragazzi si separò dal gruppo e lo seguì. Quando fu distante abbastanza dagli altri, tanto da non farsi notare, lo fermò.
«Ho visto la croce» mormorò Ahmed, e indicò la vecchia medaglia che s’intravedeva uscire dal taschino dell’uomo col bastone. «È identica a...»
«Shhh» fece l’uomo, e portò l’indice alle labbra, poi si voltò nuovamente verso Le Radeau de la Méduse e disse: «Tu sei come quel ragazzo che saluta la speranza. Sei tu stesso speranza, ma i tuoi compagni questo non lo sanno ancora. Non guardare indietro, come ho fatto io. Guarda avanti. Guarda sempre avanti, qualunque cosa intorno a te succeda.»
Ahmed seguì gli occhi del vecchio volgersi indietro, e per un attimo gli sembrò di essere sulla zattera della Medusa.
Si girò, e il vecchio col bastone era sparito.
Ultima modifica di Namio Intile il 04/10/2022, 10:42, modificato 1 volta in totale.
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Messaggio da leggere da Macrelli Piero »

La prima cosa che ho fatto è stata quella di vedere se pittore e quadro fossero reali o frutto della fantasia. Sono reali e la lettura del quadro sotto forma di racconto è bella. Trovo invece deboli i dialoghi e la figura del professore. Mi sembra che i personaggi parlanti siamo troppo stereotipati, ma il finale è buono.

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Massimo Baglione
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Re: La Méduse

Messaggio da leggere da Massimo Baglione »

Namio, dovresti limare 463 battute dal testo, perché nella scheda generale risulta eccedente oltre il massimo di 25.000 (risulta essere di 25.463).
So che il contatore immediato nell'inserimento del testo indica poco meno di 25.000, ma purtroppo c'è una discrepanza nel sistema di conteggio delle battute e mi devo affidare a quella della scheda riassuntiva.
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Re: La Méduse

Messaggio da leggere da Namio Intile »

Fatto, adesso ho chiara la differenza, ne prendo nota.
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Messaggio da leggere da Andr60 »

Il cuore del racconto è la descrizione del celebre quadro, ed è un racconto anch'esso. I ragazzi sono rapiti dalle forti immagini evocate dall'anziano critico d'arte improvvisato (o forse no?), a dimostrazione che, se una lezione è fatta con passione e competenza, anche la generazione Z (no, i Russi non c'entrano!) può lasciare da parte il telefonino e ascoltare con interesse un adulto che parla.
La tragedia provocata dall'incompetenza di Sciamaré come metafora del destino della Francia è potente, e rimanda inevitabilmente anche ai naufragi contemporanei. Ho però l'impressione (anzi, la certezza) che la Francia del 19° secolo fosse più civile di quella contemporanea, visto che Sciamaré venne processato, mentre lo Sciamaré che occupa attualmente l'Eliseo non lo sarà mai. Tralascio la situazione italica: qua gli Sciamaré non solo non verranno mai processati, ma sono e saranno sempre premiati.
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Messaggio da leggere da Marino Maiorino »

Chapeau!

Uff... francamente, è piuttosto seccante anziché no, dover raggiungere tot battute altrimenti il voto non è valido.
Non ho assolutamente nulla da dire: sono estasiato dal brano, un pezzo "alto", mi fa venir voglia di andare a nascondermi!
E così soddisfatta la numerica tirannia dell'algoritmo, posso ritirarmi.

Ah, no, una cosa volevo osservarla:
ti sei messo a istruire i nostri parlamentari? :-D
Quando erano giovani forse qualcuno avrebbe potuto accendere in loro la sacra fiamma dell'interesse, per qualsiasi cosa, poi sarebbe venuto quello per il bene comune. Ma oggi che hanno già tutti assaporato quanto si sta bene col sedere al caldo...
«Amare, sia per il corpo che per l'anima, significa creare nella bellezza» - Diotima

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ImmagineRacconti alla Luce della Luna

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Namio Intile
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Andr60 ha scritto: 04/10/2022, 12:56 Il cuore del racconto è la descrizione del celebre quadro, ed è un racconto anch'esso. I ragazzi sono rapiti dalle forti immagini evocate dall'anziano critico d'arte improvvisato (o forse no?), a dimostrazione che, se una lezione è fatta con passione e competenza, anche la generazione Z (no, i Russi non c'entrano!) può lasciare da parte il telefonino e ascoltare con interesse un adulto che parla.
La tragedia provocata dall'incompetenza di Sciamaré come metafora del destino della Francia è potente, e rimanda inevitabilmente anche ai naufragi contemporanei. Ho però l'impressione (anzi, la certezza) che la Francia del 19° secolo fosse più civile di quella contemporanea, visto che Sciamaré venne processato, mentre lo Sciamaré che occupa attualmente l'Eliseo non lo sarà mai. Tralascio la situazione italica: qua gli Sciamaré non solo non verranno mai processati, ma sono e saranno sempre premiati.
Ciao, Andr. Grazie. Nelle battute finali il vecchio col bastone rivela ad Ahmed , il ragazzo maghrebino, e ai lettori chi egli sia in realtà. Un passaggio al surreale, all'onirico, che mi è servito per connettere per via causale l'incontro tra i ragazzi e il vecchio, affinché anche il lettore possa dare una direzione al racconto al di là delle sequenze narrative dal sapore didattico.
Se il meccanismo sia riuscito o meno deve essere il lettore a dirmelo.
Quanto a Sciamarè... un moderno Schettino. Riconosciuto colpevole di aver causato la morte degli occupanti della zattera da una Corte Marziale il 3 marzo del 1817 venne condannato a ben tre anni di prigione e gli venne ritirata la Legion d'Onore.
Morì ricco nel castello di famiglia nel 1841 ormai ottantenne.

La differenza tra Francia e Italia è evidente però. Loro a Luigi Capeto la testa gliela tagliarono. Noi al re dell'otto settembre e del ventidue ottobre al referendum del 1946 gli abbiamo regalato dodici milioni di voti. Ah, già... a suo figlio, lui aveva abdicato il mese prima.
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Marino Maiorino ha scritto: 04/10/2022, 18:31 Chapeau!

Uff... francamente, è piuttosto seccante anziché no, dover raggiungere tot battute altrimenti il voto non è valido.
Non ho assolutamente nulla da dire: sono estasiato dal brano, un pezzo "alto", mi fa venir voglia di andare a nascondermi!
E così soddisfatta la numerica tirannia dell'algoritmo, posso ritirarmi.

Ah, no, una cosa volevo osservarla:
ti sei messo a istruire i nostri parlamentari? :-D
Quando erano giovani forse qualcuno avrebbe potuto accendere in loro la sacra fiamma dell'interesse, per qualsiasi cosa, poi sarebbe venuto quello per il bene comune. Ma oggi che hanno già tutti assaporato quanto si sta bene col sedere al caldo...
Ciao, Marino. Grazie. Sì, hai ragione. Ho provato a dare una lezione alla nostra classe dirigente ancora adolescente. I risultati li vediamo. È andata bene, no?
Un caro saluto
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Re: La Méduse

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Ciao, Francesco. Le analogie si DEVONO cogliere, altrimenti quel che ho scritto non vale nulla.
Non seguo il calcio, ma la politica sì. Però ogni riferimento a persone e fatti è puramente casuale. Di solito si scrive così, ma in un racconto, sai bene quanto me, nulla è casuale e tutto costruito.
Il finale è un finale surreale è vero, ma è anche l'unico modo che ho trovato per tener viva la speranza. L'incontro tra il passato e il presente, tra Savigny e Ahmed, l'ho visto come un passaggio di testimone legato da un rapporto di simiglianza. Savigny è vittima di un naufragio in terra africana causato da un potere arrogante che non considera un problema il loro sacrificio, un po' come le centinaia di migliaia di ragazzi africani che in Europa vanno alla deriva per giorni o settimane perché nessuno considera un problema la loro morte in mare, proprio come per i naufraghi della Méduse.
Grazie per il passaggio
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Premessa: io amo i racconti storici dove l'autore parte da un accadimento reale e inserisce personaggi o vicende di fantasia. Questo racconto ne è un bellissimo esempio.
Lungo? Non si sente, minuzioso quanto basta, personaggi reali che agiscono e parlano in modo credibile, chiusura a parte. Trasparenti le analogie con il presente, la chiusa stende un velo di mistero su tutto il racconto.

Cos'altro dire? Piaciutissimo, massimo dei voti.
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Re: Uao!

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Rosmary ha scritto: 20/10/2022, 6:05 Entri nel quadro attraverso il racconto e poi entri e ti immagini insieme ai ragazzi seduti in ginocchio ad ascoltare la storia.
Una storia carica di sentimento ma anche riflessiva
I caratteri principali sono ben strutturati proprio nel loro carattere: il professore antipatico che segue solo" il programma" e non " conoscere" e né di informa
I ragazzi gruppo di adolescenti con le loro paure e le loro fisse…
Ahmed un ragazzo entrato da poco nel gruppo che ha già un passato da difendere
E il vecchio che in effetti non è solo un passaggio ma è la memoria
Voto 9 e mezzo
Ciao, Rosmary, io non avrei potuto dirlo meglio. Savigny è la memoria del passato. Una memoria che diventa viva grazie all'opera di Gericault.
Anche se non sei nuova qui su Bravi Autori, mi pare che manchi da molto e quindi ti do il mio benvenuto.
Ho notato che non sei ancora in gara, nonostante i commenti. Perché siano validi, e di conseguenza sia valido anche il voto, devono comunque superare le 200 battute. Il sistema mi segnala che tu non mi hai né commentato né votato.
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Mariovaldo ha scritto: 20/10/2022, 8:06 Premessa: io amo i racconti storici dove l'autore parte da un accadimento reale e inserisce personaggi o vicende di fantasia. Questo racconto ne è un bellissimo esempio.
Lungo? Non si sente, minuzioso quanto basta, personaggi reali che agiscono e parlano in modo credibile, chiusura a parte. Trasparenti le analogie con il presente, la chiusa stende un velo di mistero su tutto il racconto.

Cos'altro dire? Piaciutissimo, massimo dei voti.
Ho provato a unire la mia passione per la storiografia con quella per la pittura, con un occhio alla becera situazione attuale. L'elemento tragico, lo scrivo a beneficio di tutti, anzi farsesco, è che questo racconto l'ho scritto credo una quindicina di anni or sono. Non ho dovuto cambiare neanche i nomi, o forse soltanto un paio, dei simpatici componenti la IV H del commerciale David Ricardo. A dimostrazione di un vecchio assioma, caro a Sciamaré e a quelli pari a lui, che vuole il potere in grado di perpetuare se stesso non solo nelle forme, ma anche nelle stesse fisionomie, che invecchiano ma non cambiano.
Un caro saluto
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BladeRunner ha scritto: 22/10/2022, 11:53 Due anni fa ho avuto la fortuna di sentire la descrizione di questo quadro da un oratore d'eccezione: Massimiliano Cannoletta. Devo dire che le vostre descrizioni si assomigliano, quasi nel dettaglio ad eccezione di qualche macabro dettaglio che qui non viene riportato.
Mi piace l'idea divulgativa, anche se i personaggi sono eccessivamente stereotipati, a mio avviso. I dialoghi risultano un po' troppo forzosi e questo, a mio avviso toglie smalto alla storia.
Finale interessante.
L'intento "morale" è evidente, forse eccessivo e si rispecchia nella forzatura dei dialoghi. Credo che il punto debole del racconto siano proprio i dialoghi.
E' un racconto, comunque, risulta scorrevole, ben strutturato, si lascia leggere con facilità.
Ciao, e grazie per il passaggio.
Cannoletta non so chi sia. Il mio racconto ha una quindicina d'anni e l'ho postato in una manciata di siti da allora. Su Bravi Autori giace nella mia pagina da almeno tre anni non letto e non recensito da alcuno.
La tela di Géricault ha oltre due secoli e di saggi sull'argomento ne sono stati scritti a dozzine.
Io sono riuscito a reperire le memorie di Savigny, il medico di bordo, in lingua originale e le ho adoperate come fonte, insieme a un altro saggio di pittura romantica depositato da decadi nella mia libreria.
Quanto ai personaggi, i ragazzi e il professore, come ho avuto già altre volte modo di sottolineare, si tratta VOLUTAMENTE di idealtipi, non di una certa gioventù, ma di una specifica classe dirigente, come si può evincere dai loro nomi, camuffati è evidente. Un'allegoria nell'allegoria se vuoi. Il fine del racconto è dunque proprio l'allegoria morale, allo stesso modo della tela di Géricault; non arriva per caso o si tratta di un errore, di una imperfezione, tanto per intenderci.
Io mi sono rivolto al lettore con questo intento e non l'ho nascosto, sono stato sincero, dall'inizio alla fine.
Che poi piaccia o meno, o sia riuscito o meno, questo è un altro discorso che lascio al lettore.
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Complimenti, Namio! Il tuo è un testo narrativo ben riuscito. La vicenda si svolge al Louvre tra la classe lV H, il loro professore, Mambelli, e un vecchio visitatore che ha in mano un bastone. Lo stile narrativo è di qualità. Il racconto avvincente.
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Complimenti, Namio! Il tuo è un testo narrativo ben riuscito. La vicenda si svolge al Louvre tra la classe lV H, il loro professore, Mambelli, e un vecchio visitatore che ha in mano un bastone. Lo stile narrativo è di qualità. Il racconto avvincente.
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