Una bella giornata - (autore: Ombra #2)

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Una bella giornata - (autore: Ombra #2)

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leggi documento Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.

La neve caduta nei giorni precedenti scintillava alle prime luci dell’alba. Aveva ricoperto i tetti delle case del paese, le macerie degli edifici crollati, la piazzetta silenziosa e i campi deserti, accumulandosi negli angoli più esposti al vento. Era scivolata giù dai rami degli alberi scossi dai corvi che spiccavano il volo. Aveva resistito impigliata sulle cime degli abeti nel bosco che ricopriva la collina, si era fatta calpestare diventando insanguinata e sporca oltre il versante, dopo la battaglia del giorno prima.

Sui viottoli e sui passaggi si era indurita, schiacciata dai passi degli uomini, mostrando brevi creste di ghiaccio tra i solchi e sul contorno delle orme. Nel sottobosco invece era ancora candida e soffice, aveva ricoperto i ciuffi d’erba e i cespugli trasformandoli in innumerevoli, piccoli rilievi lungo tutto il pendio, conservando le tracce delicate del passaggio di volpi e di lepri e quelle più decise di lupi e di cervi in fuga dai rumori degli spari e delle cannonate.

Tre giovani armati marciavano senza entusiasmo verso la collina, in fila uno dietro l’altro, in obbedienza agli ordini ma senza poter cancellare una stanchezza che si trascinava da giorni, né ignorare un freddo che le braccia strette al torace e le spalle ingobbite davano l’illusione di controllare. Ogni tanto lanciavano sguardi al paese in basso, immaginando il tepore di una stanza in cui risvegliarsi e indugiare senza dover saltar giù dal letto.

A una ventina di metri dentro al bosco c’era un’ombra ai piedi degli alberi, più fitta e più grande dei cespugli; sui suoi contorni si era appoggiata appena un po’ di neve, forse scivolata durante la notte dai rami più in alto.

Se ne accorse il primo dei tre soldati che avanzavano sul sentiero. Si fermò di colpo, tirò giù il fucile dalla spalla e lo puntò verso l’ombra. Allarmati, i compagni ripeterono le sue mosse e per qualche istante anche il bosco trattenne il fiato in attesa. Lontano, da qualche comignolo, si levava un sottile filo di fumo, intimidito dal freddo e i corvi gracchiarono, spostandosi sui rami scuri. L’ombra non si mosse.

— Sembra un uomo seduto. — mormorò il più giovane dei tre, tenendolo sempre sotto tiro mentre gli altri scrutavano intorno col fucile puntato. Le nuvolette del loro fiato si dissolvevano nell’aria gelida.

— Forse è uno del paese che non è riuscito a rientrare.

Alla fine il primo soldato abbassò il fucile: — Se è un uomo, allora è morto. E non è dei nostri.

— Un nemico in meno. — puntualizzò il secondo — Ma non capisco cosa ci faccia qui. Non li abbiamo ricacciati indietro ieri, oltre la collina?

Il più giovane prese l’iniziativa, lasciò piano il sentiero e si addentrò nel bosco.

— Stai attento, Piccolo.

Il ragazzo si girò verso il secondo soldato: — Chiamami ancora così e uno di questi giorni ti rompo il naso!

L’altro ridacchiò. Anche se ora portava la divisa, non poteva fare a meno di quell’appellativo, dopotutto era suo fratello minore e si era sempre rivolto a lui in quel modo. Sentì lo sguardo dell’altro compagno e si girò verso di lui: — Qualcosa da dire, Brontolo?

— Ha ragione lui. Ora siamo tutti uguali. — osservò il primo soldato, seguendo Piccolo.

Con una smorfia in risposta il giovane avanzò dietro i due compagni avvicinandosi all’ombra. Gli scarponi affondarono nel terreno soffice, lo strato di neve scricchiolava e l’erba sottostante frusciava come paglia secca.

Si fermarono a circa un metro. Era proprio un uomo, molto giovane, raggomitolato alla base dell’albero, con la testa china, appoggiata di lato al tronco. L’elmetto gli era caduto in grembo e un po’ di neve si era fermata tra i capelli, gli era entrata nel colletto e nelle pieghe della stoffa. Indossava la divisa nemica e teneva il braccio destro infilato nel cappotto lievemente aperto. Quello sinistro, invece, era abbandonato lungo il fianco, come se gli fosse scivolato dal corpo.

Brontolo lo osservava in silenzio. Piccolo si accucciò per riuscire a vedergli meglio il viso: la pelle era liscia e strana quasi fosse stata di cera, grigia come la cenere, gli occhi non erano chiusi ma guardavano in basso, verso la neve ai piedi dell’albero.

— Ha uno sguardo triste. — mormorò.

— Riesci a vedere se ha qualche ferita? — chiese suo fratello.

Piccolo allungò la mano guantata e scostò un poco il lembo del cappotto fino a scorgere la mano del soldato che il sangue rappreso e gelato teneva incollata al fianco. Tra le dita si vedevano i rivoli rossi che dovevano essere usciti caldi dalla ferita e che lui non era stato capace di bloccare, gli erano scivolati sul dorso della mano e poi verso il polso, gocciolando sulla gamba piegata.

— Siamo stati noi? — chiese Piccolo, quasi a se stesso.

Gli altri non risposero. Magari no, non personalmente, ma certo erano stati loro a sparargli. La battaglia aveva respinto la linea nemica abbastanza lontano e tutti e tre rammentavano bene il senso di euforia per il successo raggiunto, l’adrenalina che li aveva fatti gridare per la vittoria contro le figure senza volto che li avevano attaccati. Questa figura, al contrario, aveva un volto, uno sguardo che era stato vivo, un corpo fragile, una testa simile alla loro, una volta perduto l’elmetto.

Improvvisamente sembrò non aver importanza il fatto che fosse un nemico. Così vicino, esposto ai loro sguardi, nonostante la divisa, era solo un ragazzo, a cui era andata male.

Forse aveva perso l’orientamento, si era trovato lontano dai compagni e aveva proseguito verso la direzione sbagliata finché non ce l’aveva più fatta ed era crollato vicino all’albero, in compagnia della paura e del suo dolore.

Qualcosa che sarebbe potuta accadere anche a loro, nella confusione del combattimento. Il fratello di Piccolo si chinò e indicò il nome straniero sul taschino: — Guardate qua. Decisamente non è dei nostri. — toccò col dito il taschino rigonfio e lo aprì tirandone fuori una scatolina di latta.

Tutti e tre si avvicinarono per guardarne il contenuto: una foto gualcita, una lettera non finita, delle sigarette. Piccolo prese la foto cercando di capire chi vi fosse ritratto, nonostante le molte pieghe e scoloriture: — Chissà quante volte l’avrà piegata e ripiegata, magari ha preso la pioggia, la neve, gli sarà caduta nel fango. Si vedono delle facce, non si capisce, potrebbe essere la sua ragazza o sua nonna.

— Non importa. — disse il fratello — tutti noi abbiamo foto come questa e ci sono molto care.

Piccolo ripiegò accuratamente la foto e la rimise nella scatolina.

— Questa parola la conosco. — disse Brontolo, tenendo in mano la lettera — Significa “Cara”. Il resto non lo capisco. Non conosco la sua lingua. Ma non è riuscito a finire di scrivere. E queste macchie sulla carta sono lacrime.

I tre soldati si guardarono, ciascuno pensando alla scena che la mente suggeriva. Il fiato usciva in piccoli sbuffi di vapore nell’aria fredda. L’uomo ai loro piedi scriveva una lettera a casa, tra una pausa e l’altra. Non l’aveva finita ma sperava di farlo dopo la battaglia, rassicurando i suoi cari, dicendo che stava bene, che anche quella volta ce l’aveva fatta. Lo immaginarono vergare le parole destinate a una madre, una moglie, una sorella. Forse avrebbe finito la lettera chiedendo di esser aspettato. Non erano uguali a quella anche le loro lettere, scritte a fatica, nel buio delle cuccette o alla luce dell’alba, in un’altra lingua ma con le stesse parole, macchie comprese?

Con delicatezza anche la lettera incompiuta fu ripiegata e messa accanto alla foto. Prima di morire doveva avere senz’altro pensato a quelle parole che ancora voleva dire e non poteva più scrivere, a quell’ultimo saluto che si sarebbe perso con lui.

I tre ragazzi rimasero un po’ in silenzio a fissare la testa china, il lato del collo esposto al freddo dove non si scorgeva più nessun battito sotto la pelle. Ognuno gli dedicò un pensiero, un saluto per proprio conto perché avevano la strana sensazione che non se ne fosse andato del tutto, che qualcosa di lui fosse rimasto ancora lì ad ascoltare.

Brontolo prese un’unica sigaretta poi chiuse la scatola e la infilò al suo posto, nel taschino dell’uomo morto. Si schiarì la gola e con voce bassa e lenta disse: — Come soldato nemico, noi ti onoriamo. Come te anche noi abbiamo fatto il proprio dovere e per questo sei morto. — accese la sigaretta e la posò tra le dita della mano gelata del soldato nemico, poi si frugò nel taschino e tirò fuori una delle sue sigarette, l’accese, tirò una boccata e la passò agli altri — Ora però non sei che un ragazzo come noi, precipitato in questi giorni tremendi. Ti auguro buon viaggio, amico, vattene in pace.

— Buon viaggio, amico! — disse Piccolo, portando la sigaretta alle labbra e passandola poi al fratello.

— Buon viaggio! Forse, prima o poi ci incontreremo di nuovo.

Lo spirito del soldato morto osservava la scena in piedi, accanto al suo cadavere. Aveva camminato a lungo artigliandosi il fianco per fermare il sangue e resistere al dolore, senza sapere dove stava andando, poi era crollato. Era rimasto a respirare con fatica, a tremare per il freddo, sognando di essere tornato a casa, accolto con calore e poi, verso mezzanotte, aveva chinato la testa contro l’albero e tutto era finito. Nel buio e nel silenzio aveva provato a inalare l’aria e non ne aveva più sentito il gelo. Con lieve meraviglia era rimasto a osservare l’uomo che era stato, un grumo di ghiaccio senza più dolore, senza più rimpianti, e l’aveva compatito. Si sentiva libero ma ancora non sapeva dove andare, così aveva aspettato il sorgere dell’alba e poi erano arrivati i tre soldati.

Aveva guardato le loro divise, le armi puntate, ma non aveva provato nessun interesse per quelle cose. La guerra era ormai un’ombra dimenticata, un vago odore di fumo lontano. Aveva seguito i loro gesti, ascoltato le loro parole espresse in una lingua diversa dalla sua e si era sorpreso di riuscire a capirle. Aveva sentito la loro pietà e aveva considerato il pensiero che, incontrandoli giorni prima, anche lui avrebbe alzato l’arma verso di loro. Quello che gli aveva scostato il cappotto aveva proprio un viso da bambino e comprese l’ansia che il fratello doveva provare per lui.

Avrebbe voluto dire loro che non era più triste, che lui non c’era più dietro quello sguardo fisso, che era lontano da quel corpo congelato e ferito, ma era lieto che fossero stati lì con lui, tre ragazzi vivi che lo salutavano come un amico.

Li guardò uno a uno per cercare di ricordarsi i loro volti mentre si passavano la sigaretta accesa in piedi vicino a lui e guardò il filo di fumo che saliva da quella posata nella sua mano. Si spense piano, lasciando un po’ di cenere sulla neve. Il tempo si fermò per un po’ sotto un cielo sereno. Poi sentì il rumore dei loro passi che ritornavano sul sentiero e capì che anche per lui era ora di andare.

Il sole cominciava a farsi strada tra gli alberi facendo splendere la neve come una distesa di diamanti. Qualche uccellino cinguettò tra i rami spogli e le fronde verdi degli abeti; in basso tra i tronchi una volpe passò, guardinga e bellissima.

“Che bella giornata!” pensò il soldato morto, scelse un raggio di sole e vi si aggrappò leggero, dissolvendosi in esso.
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Re: Una bella giornata - commento 1

Messaggio da leggere da Il Guru »

Un racconto che ho trovato ben cadenzato, equilibrio tra descrizione dell'ambientazione paesaggistica e stati di animo dei protagonisti. Anche il soldato rimasto seduto al tronco pare fa parte dell'intero paesaggio. I pensieri dei personaggi e le loro parole nei discorsi diretti sono congrui con tutta la scena e il racconto intero. L'ho trovato senza mai fretta di anticipare, lasciando che il lettore arrivasse ai passaggi successivi e si immedesimasse. Ottimo lo stile, a mio avviso scritto davvero bene. Il messaggio contenuto ribadisce che dinanzi alla guerra nessuno vince e chi la combatte sono uomini con storie ed affetti, accomunati dallo stesso destino. Per sottrarsi e godere di una bella giornata occorre entrare in altra dimensione.

Voto:5
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Re: Una bella giornata - commento 2

Messaggio da leggere da Il Guru »

Trovo che tutto di questo racconto funzioni molto bene: la scrittura, molto elegante, con belle e chiare descrizioni, i dialoghi, come sono stati gestiti i tempi della narrazione, i personaggi. Trovo particolarmente bella l’immagine di apertura, molto minuziosa ma affatto pesante.

Mi è piaciuta anche la descrizione delle sensazioni legate alla morte del soldato, questo distaccarsi dalla realtà che porta via le sensazioni e fa vedere tutto con un’altra prospettiva.

Il messaggio è molto chiaro e viene trasmesso in modo discreto, non eccessivo.

Due cose non mi convincono: i nomi dei due soldati, che mi ricordano troppo la fiaba di Biancaneve (anche se la foresta e l’ambiente naturale risultano fiabeschi, la serietà del tema non mi sembra proprio in linea), e il fatto che il tutto risulta un po’ troppo piatto e non mi colpisce particolarmente. Anche il discorso di commiato al morto mi sembra un po’ forzato. Per questi motivi non do il voto massimo.

Voto 4
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Re: Una bella giornata - commento 3

Messaggio da leggere da Il Guru »

Sei riuscito a parlare di guerra, o meglio, di tutte le guerre, parlandone solo di una e non dichiarando di quale si tratta. Il lettore può immaginarsi una delle tante che si sono svolte negli ultimi duecento anni, in un qualsiasi continente in cui cada la neve. Un colpo da maestro.

Hai parlato di guerra senza retorica, raccontandola dal punto di vista di tre ragazzi, non di tre soldati. Un fronte o l’altro non farebbero differenza. Un messaggio intenso.

La scrittura è scorrevole, la lettura è resa facile dall’impaginatura corretta. Non ci sono errori e nemmeno refusi, mi pare. Impeccabile, quindi, dal punto di vista formale.

Ci sono, tuttavia, alcune cose che mi disturbano un po’. Prima tra tutte la scelta di dare dei nomignoli e di parlarne proprio durante la catarsi dell’azione: fa un po’ CSI, NCIS, insomma fiction americana in cui, nel bel mezzo di una azione dinamica, i personaggi si mettono a parlare dei propri problemi personali. Se, ad esempio, il fratello maggiore avesse usato quel nomignolo solo nei suoi pensieri e il narratore avesse eseguito una digressione, descrivendo un momento nel passato in cui i tre vivevano in un contesto non militare, avrebbe aiutato molto a spezzare il ritmo, senza abbassare il climax.

La scelta di usare il punto di vista del soldato morto è interessante, ma spiegarla subito la sminuisce. Se avessi introdotto il punto di vista di uno spettatore che assiste alla scena e che man mano si scopre essere lo spirito del cadavere, avrebbe avuto una potenza crescente e avrebbe ricreato un nuovo climax.

Alla luce di queste ultime considerazioni, non ti posso dare il massimo dei voti, ma, per me, resta un lavoro di alta qualità. A mio avviso, potrebbe diventare un lavoro più ampio, più articolato.


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Re: Una bella giornata - commento 4

Messaggio da leggere da Il Guru »

Secondo me il racconto è scritto bene, scorre senza sbavature né intoppi e fino a un certo punto ho apprezzato anche la storia. Non mi piace molto a partire dall’episodio della sigaretta in poi, ma in fondo è una questione di gusti. “Noi ti onoriamo”, “hai fatto il tuo dovere come noi”, “buon viaggio amico, ci incontreremo di nuovo”. Mi sembrano frasi eccessivamente retoriche.

Chi ha scritto il racconto affida allo spirito del soldato caduto il rifiuto della morte, l’idea che si continua anche se il corpo ci abbandona. D’altra parte, chi accetta davvero completamente la morte?



L’aggettivo possessivo PROPRIO sostituisce solamente SUO e LORO.



“E mentre marciavi con l’anima in spalle vedesti un uomo in fondo alla valle

che aveva il tuo stesso identico umore ma la divisa di un altro colore.”

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Re: Una bella giornata - commento 5

Messaggio da leggere da Il Guru »

Parafrasando una vecchia pubblicità, viene da pensare “Ti piace vincere facile?” Nel senso che quando si parla di morte, guerra o qualcosa di fantastico/romantico/trasognato si cerca assolutamente di catturare l’attenzione e le emozioni del lettore. Preferisco però passare sempre oltre, in questi casi, e analizzare il racconto da un punto di vista tecnico, in cui si tenga più conto dello svolgimento e dell’originalità piuttosto che del sentimento. Mi dispiace ma il racconto, analizzato da questo punto di vista, non mi ha colpito favorevolmente.

I tre fratelli (tutti e tre, guarda caso, nella stessa compagnia?) vengono introdotti in modo minore, chiamandoli semplicemente “tre giovani armati”: si potrebbe pensare che siano delle comparse e invece sono i veri co-protagonisti del racconto. Fossero stati introdotti come “Piccolo, Brontolo e (non è mai scritto come si chiama il terzo), tre fratelli che il caso aveva portato sulla battaglia…” ci sarebbe stato sicuramente un’aspettativa diversa.

Il racconto è diviso in tre parti distinte: la descrizione della neve nella prima parte, il ritrovamento del cadavere in quella centrale, l’anima del povero soldato caduto nella parte finale; sono piuttosto slegate e a sé stanti, mi sarei aspettato un po’ più interazione (ad esempio, non so, che una sigaretta venisse presa dall’anima, fra lo stupore generale ecc…). Le emozioni quindi, benché cercate, non riescono mai a concretizzarsi.

Passiamo infine a un commento sulla scrittura. Dal punto di vista squisitamente grammaticale non ho notato grandi errori ma mi sembra tutto molto scolastico e poco curato, con un numero incredibile di ripetizioni. Solo nelle prime dieci righe, ad esempio, il verbo “ricoprire” viene ripetuto ben tre volte. Le descrizioni non sono male, a dire il vero, e lo stile mostra nel primo blocco qualche abilità ma poi ritorna tutto piuttosto piatto e anonimo. Le frasi, ad esempio, sono tutte costruite allo stesso modo, denotando, a mio avviso, una scarsa fantasia e capacità di dominare la lingua e generando altre ripetizioni a non finire. Faccio un esempio: “L’elmetto gli era caduto in grembo e un po’ di neve si era fermata tra i capelli, gli era entrata nel colletto e nelle pieghe della stoffa”. Tutti e tre i verbi sono al trapassato prossimo, dunque retti da tre “era”. Non si poteva rendere con “Teneva l’elmetto in grembo, caduto lì chissà quando, e un po’ di neve si era fermata tra i capelli, entrando nel colletto e nelle pieghe di stoffa”?

Forse mi sono dilungato un po’ troppo ma penso che certi particolari vadano spiegati con cura per giustificare un voto che, mi dispiace per l’autore, ma non riesco a rendere positivo.

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Re: Una bella giornata - commento 6

Messaggio da leggere da Il Guru »

Quando l'ho letto la prima volta mi pareva di aver intuito dove
andasse a finire il racconto. Ed è stato proprio così, La storia però
è esposta tanto bene che mi ha ricordato un ritrovo di amici lì
riuniti per raccontare esperienze vissute da altri sulla guerra, da
far dimenticare di averla già sentita, da far dimenticare che sia la
solita solfa. Inframmezzata da dialoghi calati e calanti nella scena.
Questo quello che mi è piaciuto.
Non mi è piaciuta la figura dello spettro (il soldato morto) perché l'ho
vissuta come una scusa per parlare di ragazzi, non di arruolati.
Descrizioni del paesaggio avvolgenti.
Finale molto legato alle impressioni naturali della scrittrice\scrittore-
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Re: Una bella giornata - commento 7

Messaggio da leggere da Il Guru »

Veramente bello questo racconto. Quando un lavoro come questo mi fa spaziare a cose belle che già conosco, vuole dire che mi ha convinto. E il lavoro di questa Penna mi ha portato a ben due citazioni (in realtà la terza sarebbe Biancaneve), vale a dire “Il Sergente nella Neve” di Mario Rigoni Stern e la bellissima canzone “Gérard Duval, tipografo “ dei Bededeum. È tutto perfetto, dunque, in questo lavoro? No, non ne abbia a male la Penna. Nella forma “racconto” occorre una sfrondatura del superfluo, ancorché bello. Ecco, l’introduzione con la descrizione della neve è veramente bella e poetica, ma troppo lunga per un racconto breve che “chiede “ al più presto “azione”. E poi, senza veramente giustificare con dei flashback la scelta, perché chiamare due dei personaggi con nomi che richiamano i sette nani? Il finale, poi, è delizioso, con quel riferimento escatologico, con quel “che succede alla nostra anima quando moriamo”? E poi quel bel finale che ci riporta all’incipit, alla neve, lo trovo un espediente valido e di buon gusto. Forse i dialoghi sono un po’ troppo forzati, retorici. Ma qualche piccola mia perplessità sulla punteggiatura e su alcune ripetizioni, oltre ai dubbi già sopra segnalati, che ho riportato per onestà di recensore, non voglio che incidano su un bel racconto, anche in considerazione che siamo qui a imparare nel mentre che proviamo a sorprendere con le parole, e che tanta pedanteria trova il tempo che trova.

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Re: Una bella giornata - commento 8

Messaggio da leggere da Il Guru »

Commento

Un racconto sviluppato davvero bene in tutte le sue componenti: uno stile sicuro per descrizioni ricche ma senza eccessi/ripetizioni; personaggi ben gestiti in una storia difficile e purtroppo di attualità, un’attualità che si ripete da millenni. Personaggi che raccontano altro oltre questo momento, in cui l’essere vivi fa diventare una giornata dura una bella giornata.

In guerra uomini si combattono contro uomini, quasi che siano entità non tangibili, oggi quasi personaggi da videogame coi filmati che girano sul web, fino a quando non ne incontri uno, uno solo: spaurito come te, infreddolito e affamato come te, morto come potresti essere di lì a un giorno o anche solo a un’ora. E allora comprendi l’assurdità della guerra, dove nessuno, alla fine, vince o perde veramente. Quello è per la Storia: per il popolo una guerra è sempre persa, portatrice di lutti e distruzione.

Una storia questa che si potrebbe replicare in ogni epoca: spade al posto dei fucili, bastoni al posto delle spade, ma penso che sempre ci siano stati ragazzi che hanno affrontato e affrontano momenti come questo. Momenti fatti di fotografie, di lettere, dell’ultimo respiro.

Momenti in cui pensi che potresti essere al posto dell’altro.

Complimenti all’autore anche per la bella scrittura e per aver saputo dare il giusto ritmo per arrivare alla fine del racconto senza perdere una sola immagine

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Re: Una bella giornata - commento 9

Messaggio da leggere da Il Guru »

Un racconto con un minimo di sviluppo, se non altro per la presenza di una piccola sequenza munita di dialoghi.

Il narratore rimane estraneo alla storia raccontata e, a mio avviso, data la brevità del testo e il contesto è un errore. Un narratore di tal genere appesantisce la struttura senza arrecare benefici. Non sarebbe stato più facile ed efficadce far raccontare la stessa storia da uno dei tre protagonisti, o dallo spirito del soldato morto.

Banali i dialoghi e un poì fuori registro, come i nomi: Piccolo, Brontolo... ci mancava Mammolo e Biancaneve.

Il finale con lo spirito che vede il suo corpo è un déja vù. Si poteva osare di più, non mi pare una riflessione sugli orrori della guerra efficace, se questa voleva essere tale.

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Re: Una bella giornata - commento 10

Messaggio da leggere da Il Guru »

Bel racconto che, senza troppi fronzoli e senza scadere nel retorico, descrive l’assurdità della guerra, in particolare per coloro che si ritrovano a combattere su quei maledetti campi di battaglia dove, da millenni ormai, si compiono inutili carneficine. La lettura scorre fluida, non ho trovato refusi, formalmente ineccepibile. Ho apprezzato la scelta di non contestualizzare da un punto di vista storico le situazioni descritte: il messaggio lanciato dall’autore è universale, cambiano, come da lui stesso indicato, solo i colori delle divise, nient’altro.

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Re: Una bella giornata - commento 11

Messaggio da leggere da Il Guru »

Questo testo ha un'ottima narrazione ma anche un’ottima abilità descrittiva.
Il titolo che in realtà riguarda solo il lato più marginale del racconto permette di entrare in una storia direttamente nel suo scenario più limpido.
Non c’è molto da dire se non qualche pensiero personale tipo che forse si sente un pò la mancanza di esperienza personale nel racconto e quindi manca un pò di carica emotiva nella lettura , ma questa è stata una mia lettura personale oltretutto riguardo ad un testo che probabilmente se ampliato potrebbe diventare ancora più completo se non pure un libro.
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Re: Una bella giornata - commento 12

Messaggio da leggere da Il Guru »

Un gran bel racconto, seppure il soggetto richiami prepotentemente alla mente quella “guerra di Piero” che tutti conosciamo.

La descrizione del paesaggio è suggestiva, i dialoghi perfetti per intuire i caratteri dei personaggi, lo stile affascinante, con un classicismo che rende scorrevole la lettura.

Forse l’unico appunto (che dipende esclusivamente dai gusti) riguarda quel finale da commento del fantasma; anche se offre un nuovo punto di vista, inserendo la figura del soldato morto, tutto quanto affermato era già stato messo in luce con la storia dei tre.


VOTO: 4
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Noir + Drammatico + Psicologico
Rosa + Erotico + Narrativa generale

La brevità va a pari passo con la modernità, basti pensare all'estrema sintesi dei messaggini telefonici o a quelli usati in internet da talune piattaforme sociali per l'interazione tra utenti. La pubblicità stessa ha fatto della brevità la sua arma più vincente, tentando (e spesso riuscendo) in pochi attimi di convincerci, di emozionarci e di farci sognare.
Ma gli estremismi non ci piacciono. Il nostro concetto di brevità è un po' più elastico di un SMS o di un aforisma: è un racconto scritto con cura in appena 2500 battute (sì, spazi inclusi).
A cura di Massimo Baglione.

Contiene opere di: Fausto Scatoli. Giorgio Leone, nwAnnamaria Vernuccio, Luca Franceschini, nwAlphaorg, Daniel Carrubba, nwFrancesco Gallina, nwSerena Barsottelli, nwAlberto Tivoli, Giuseppe C. Budetta, nwLuca Volpi, Teresa Regna, Brenda Bonomelli, nwLiliana Tuozzo, nwDaniela Rossi, Tania Mignani, nwEnrico Teodorani, nwFrancesca Paolucci, nwUmberto Pasqui, nwIda Dainese, nwMarco Bertoli, nwEliseo Palumbo, nwFrancesco Zanni Bertelli, nwIsabella Galeotti, Sandra Ludovici, nwThomas M. Pitt, nwStefania Fiorin, nwCristina Giuntini, nwGiuseppe Gallato, Marco Vecchi, nwMaria Lipartiti, nwRoberta Eman, nwLucia Amorosi, nwSalvatore Di Sante, nwValentina Iuvara, Renzo Maltoni, nwAndrea Casella.

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BReVI AUTORI - volume 5

BReVI AUTORI - volume 5

collana antologica multigenere di racconti brevi

BReVI AUTORI è una collana di libri multigenere, ad ampio spettro letterario. I quasi cento brevi racconti pubblicati in ogni volume sono suddivisi usando il seguente schema ternario:

Fantascienza + Fantasy + Horror
Noir + Drammatico + Psicologico
Rosa + Erotico + Narrativa generale

La brevità va a pari passo con la modernità, basti pensare all'estrema sintesi dei messaggini telefonici o a quelli usati in internet da talune piattaforme sociali per l'interazione tra utenti. La pubblicità stessa ha fatto della brevità la sua arma più vincente, tentando (e spesso riuscendo) in pochi attimi di convincerci, di emozionarci e di farci sognare.
Ma gli estremismi non ci piacciono. Il nostro concetto di brevità è un po' più elastico di un SMS o di un aforisma: è un racconto scritto con cura in appena 2500 battute (sì, spazi inclusi).
A cura di Massimo Baglione.

Contiene opere di: nwMarco Bertoli, nwAngela Catalini, nwFrancesco Gallina, nwLiliana Tuozzo, nwRoberto Bonfanti, nwEnrico Teodorani, nwLaura Traverso, nwAntonio Mattera, Beno Franceschini, nwF. T. Leo, nwFausto Scatoli, Alessandro Chiesurin, nwSelene Barblan, Giovanni Teresi, Noemi Buiarelli, Maria Rupolo, Alessio Del Debbio, Francesca Gabriel, nwGabriele Iacono, Marco Vecchi, nwSmilingRedSkeleton, nwAlessandro Pesaresi, nwGabriele Iacono, Gabriele Laghi, nwIlaria Motta.

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