
Albeggia
Albeggia

Re: Albeggia
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Il passaggio "non ho mai amato tanto pulire i piatti" rompe un poco il tono solenne, ma proprio per questo funziona come contrasto.
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Mi piace molto l'incipit "Albeggia", che introduce immediatamente nell'atmosfera del tuo scritto, livida, malinconica e, al tempo stesso, quasi allucinata.
Quest'atmosfera, pur non essendomi chiaro in modo immediato e completo il senso di tutte le tue parole, mi ha certamente coinvolto.
A proposito di coinvolgimento, ho apprezzato il giustapporsi di immagini e pensieri, in parte astratti, in parte molto concreti e quasi "squallidi" (i piatti, il faretto, la prostituta).
Tra queste immagini, ho trovato - tra le altre - particolarmente ispirate e ben riuscite quelle della sirena tra i raggi delle tende e anche quella delle tende "fumose" (ma anche il faretto che si "illumina" delle sostanze consumate sotto la sua luce).
Bello il finale che tronca il tutto in modo improvviso, come un pensiero o un ricordo scacciati via dalla concretezza di un ritorno alla normalità (e all'obbligo di adattarsi alla normalità).
Complimenti per l'ottimo lavoro.
Per quanto concerne le alternative che avevi concepito, sono andato a leggerle e le ho apprezzate.
Quando avrò tempo, tenterò di scrivere un commento anche a quelle.
Qui mi limito a dirti che questa versione è quella che ho preferito perché più "immediata" (benché - ripeto - non di piana e chiara comprensione, per quanto mi riguarda; non che sia un difetto: ciò che si scrive deve avere senso per chi lo scrive prima che per gli altri e, in ogni caso, l'interpretare e interrogarsi sul senso di ciò che si legge fa parte dell'esercizio della lettura).
Ho comunque apprezzato anche le altre versioni.
Alla prossima, saluti.
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Non mi trovo mai a mio agio con queste non metriche. Il testo è sibillino. Vita da sguattero su una nave? Il finale mi sfugge, perdonami, proprio non ci arrivo a capire: c'è stato un incontro tra lui e una prostituta, il cui nome è Kata? Perdonami ma non riesco a venirne a capo, sarà un mio limite.
Re: Albeggia
Re: Albeggia
Re: Albeggia
Non sono particolarmente affezionato alla metrica perché ritengo che la poesia contemporanea, oltre a essere povera (come quasi tutta l’arte) da numerosi punti di vista, abbia perso la forma mentis per poetare in metrica. Spesso non si comprende che la metrica e le rime non sono qualcosa che va calato dall’alto in un componimento artificiosamente, ma sono una musicalità che deve scattare nella mente del poeta nella costruzione stessa del verso, stanti i fisiologici aggiustamenti che in fase di limatura chiaramente subentrano. Credo che la maggior parte della poesia contemporanea, per riscattarsi da una ‘problematica’ (?) non metrica, finisca per cadere in un terreno ancor più scivoloso, ossia quello della metrica artificiosa, che lì veramente produce opere illeggibili, mentre la non metrica, può piacere o no, ha prodotto nel Novecento (e produce, a tratti, ancora) liriche degne di nota. Infine, io stesso ho scritto componimenti in metrica, in particolare sonetti, e ogni tanto mi sono anche ritrovato a collezionare qualche rima, e sono fermamente convinto che un poeta, se veramente è tale, difficilmente può produrre due opere di qualità troppo difforme scrivendo in metrica e non in metrica, a riprova del fatto che essa è una forma mentis ‘musicale’, ‘ritmica’ che è connaturata alla poesia stessa, ed è presente anche dove sembra assente. Quello che noto è un allineamento delle figure del poeta prosastico banale e del poeta metrico artificioso, il secondo visto come traguardo perseguito dalla stessa prima figura, che pensa di nobilitare la propria scrittura prosastica trasformandola in poetica con qualche rima o endecasillabo. Purtroppo o per fortuna non funziona così.
Quanto all’ambiguità del testo, devo dire che in effetti sono colpevole! Spesso scrivo testi ambigui ed autoriferiti, nella speranza che questa combinazione (forte soggettività, ma ambigua) possa generare comunque un’universalità comunicativa. Mi spiace quando ciò non accade, ma non è forse il mio intento primario. Non sono solito pertanto spiegare i componimenti, e cercherò di non fare un’eccezione. Mi limito a dire che questo fa parte di uno di tre testi scritti di getto in una notte che lentamente scivolava in mattina, al termine di un viaggio particolarmente intenso con due amici che reputo fratelli, e ripercorre alcune esperienze, sensazioni, emozioni e discorsi di questo breve frammento di vita vera, vissuta intensamente nell’emozione dell’affetto e del rapporto umano, dimenticandosi di tutto ciò che c’è fuori. Non c’è metafora (apparente, inventata) nell’albeggiare, nei tuoni e nei lampi, nella stanza fumosa, nel pulire i piatti, nell’aereo in rullaggio che in poche ore avremmo preso per far ritorno a casa, nella nave che il giorno dopo mi aspettava per un altro viaggio. Credo che il poetare, forse nel mio caso, quindi non voglio generalizzare più di tanto, non consista solamente (o forse nient’affatto) nell’immaginare, ma nel modo di guardare ad alcune cose. Io vedo la poesia come una fotografia: l’arte sta nello scegliere, nel giustapporre (questa è l’operazione che più faccio), nell’analizzare nel senso di scindere e nel sintetizzare nel senso di comporre, non nel creare. Ciò che ne deriva è una generazione, a partire dalla Creazione, che è Una ed è opera di Dio solo.
Re: Albeggia
Ciò era chiaro.

Ok, almeno ho capito che c'era un motivo per cui non ne venivo facilmente a capo.Piramide ha scritto: 08/07/2025, 13:12 Mi limito a dire che questo fa parte di uno di tre testi scritti di getto
Grazie della spiegazione e di aver condiviso il tuo interessante punto di vista sulla poesia.
Unica cosa che mi sento di aggiungere è che in questa gara d'estate ho già visto un paio di poesie che, pur non avendo metrica e non giocando con le rime, riescono a parlare al cuore e ciò mi rende felice.
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