Il passaggio

Spazio dedicato alla Gara stagionale d'estate 2025.

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Yakamoz
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Il passaggio

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leggi documento Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.

"Non importa quanto stretto sia il passaggio,
Quanto piena di castighi la vita.
Io sono il padrone del mio destino:
Io sono il capitano della mia anima."

William Ernest Henley (Invictus)

1.
«Malijè, la sveglia ha già suonato! Devi prepararti per la scuola! La zuppa di latte ti aspetta in cucina!» tuona mamma Nunzia. Amalia però fatica a riemergere dal suo sonno, o forse da un sogno, e indolente risponde:
«Mammà, ancora cinque minuti…» I cinque minuti si dilatano pigramente, diventando dieci, quindici, fino a quando lei stropiccia gli occhi con le mani chiuse a pugno, sbadiglia, stirando le braccia, scosta le coperte e scende dal lettino in mutandine e maglietta da pigiama.
La madre la intravede dal corridoio, si affaccia alla porta e, a bassa voce, la riprende:
«Malijè, copri quelle gambe. Se papà ti vede così, ti sgrida! Sai com'è fatto: appena si sveglia, è già di umore traverso e, come sempre, ha il suo solito mal di testa.»
Ma Amalia se ne infischia di ciò che dice mamma Nunzia e degli eventuali rimproveri del padre. D'istinto, afferra lo smartphone sul comodino, apre WhatsApp, scorre rapidamente i messaggi, e un sorriso le increspa le labbra leggendo quelli di Ciro. Perché, anche se lui scrive frasi corte e un poco fesse, tipo: TVB, TVTB o TVUMDB, con mille cuoricini scoppiettanti, uno appresso all'altro come un piccolo plotone di soldatini innamorati, lei ne è comunque contenta. Per di più, il suo fidanzatino, che di sera con lo scooter fa il rider in una pizzeria per guadagnare qualche euro, le ha regalato pure un anello con una rosa di Francia: tenuto nascosto, gelosamente, in un taglio fatto nel materasso, perché, guai se i genitori lo venissero a sapere, chissà quante storie farebbero, e lei ci rimedierebbe di sicuro qualche schiaffone.

Infila i pantaloni del pigiama, sgattaiola in cucina e trova il padre a tavola, intento a sfogliare Il Mattino, ma l'edizione del giorno prima e recuperata chissà dove. Essendo lui un uomo che, anche se non è vecchio, vuole restare all'antica: legge solo cose stampate su carta e beve unicamente caffè espresso del bar. L'atmosfera, come spesso accade, è leggermente tesa.

«Buongiorno, papà» borbotta Amalia. Lui distoglie lo sguardo dal giornale, la esamina con spocchia dalla testa ai piedi, e subito, senza rispondere, torna alla sua lettura.
«Mangia, Malijè, che oggi hai pure il compito in classe!» la sprona la madre, quasi a scusare il marito. Amalia si siede e inizia a mangiare in silenzio, ma a un tratto Mario posa il giornale e irrompe con piglio severo:
«Senti un po', signorinella. Testa a posto e niente distrazioni a scuola, chiaro? Ti hanno già bocciata due volte. E la sera, mi raccomando, poche passeggiate con le amiche e a casa presto a studiare, perché questo non è il Grand Hotel Vesuvio! Hai quasi diciassette anni, e io e mamma tua, a venti, eravamo già sposati. Io coi calli alle mani a fare il carpentiere, e lei a pulire scale e portoni tra Chiaia e San Ferdinando, per tenere su la baracca. E le rate del mutuo dell'appartamento le stiamo tuttora pagando, mese dopo mese, con la stessa fatica di allora.» Amalia annuisce, evitando di incrociare il suo sguardo, e di malavoglia ingurgita le ultime cucchiaiate di latte, ormai freddo, e fette biscottate. "Che palle! Sempre la solita solfa!" poi pensa.

Impaziente di uscire da casa, va in bagno per una veloce sciacquata, quindi indossa intimo pulito, jeans, camicetta, un pulloverino verde e, ai piedi, le sue sneakers bianche un po' consumate. Si ferma davanti al grande specchio del corridoio e, siccome ha i capelli sciolti fino alla vita e tutti scompigliati, chiede alla madre:
«Mi fai la treccia? Non sono tanto brava…»
Nunzia sorride e prende la spazzola dalla credenza. «Piccolina mia, vieni qua…» Amalia si accomoda sullo sgabello basso e la madre inizia a pettinarla.

Le lunghe ciocche bionde e serpentelle scivolano tra le dita, morbide e setose, proprio come quando era piccina. Ora però sono così tante… così lunghe… Mentre divide la chioma in tre per intrecciarla, la scruta riflessa nello specchio.

"Quanto è cresciuta questa bambina in questi pochi anni!" pensa con un misto di malinconia e orgoglio. Perché Malijè, come la chiama lei, ha grandi occhi verdi e dispettosi che sembrano cambiare tono a seconda della luce: a volte chiari e limpidi, simili a vetro d'acqua; altre, quasi azzurrini, increspati di grigio come un mare che si specchia sotto un cielo di nuvole, e incorniciati da lunghe ciglia scure che le donano uno sguardo dolce e sognante. Certo, il viso è pur sempre da ragazzina, con guance pienotte e un'espressione pulita e innocente, ma le labbra sono già turgide, ben definite, e di una sensualità percettibile. E intanto che le dita lavorano tra i capelli e lo sguardo scivola più in basso, non può fare a meno di notare, con un sospiro apprensivo, come lo stretto maglioncino le sottolinei i seni già formati, i fianchi, e i jeans, altrettanto attillati, mettano in evidenza anche tutto il resto. "Sta diventando proprio una bella signorina, come un fiore che sboccia", riflette sempre tra sé, stringendo più forte la treccia che sta ultimando: quasi a volerla trattenere. "Speriamo solo che stia attenta…" continua a rimuginare e, a tal proposito, le chiede: «Dimmi una cosa, Malijè… i ragazzi della tua età ti guardano? Con qualche scusa ti fermano per parlarti? E tu, bella di mamma, ci pensi mai ai maschietti?» Ma lei, frettolosa, fa la gnorri: si alza, indossa il piumino bianco e lo zainetto a tracolla con i libri dentro, spalanca la porta d'ingresso, saluta a voce alta il padre (che non risponde neanche stavolta, indaffarato a prepararsi per il negozio di ferramenta in cui lavora), poi volta la testa, lancia un'occhiata alla madre e, con un mezzo sorriso, aggiustandosi lo zaino sulla spalla, replica alla domanda di prima:
«Mica ai maschietti, mammà, io penso di più alle femminucce!»

2.
Scesa in strada, tra le vie del Vomero, cammina spedita verso la fermata dell'autobus, distante solo cinque minuti a piedi e accanto a 'O Bar d''o Pazzo. A metà strada, passando davanti a Frutta Shop, afferra al volo una mela verde e lucida da una cassetta inclinata su un cavalletto, e come una gatta furtiva scappa via. Ma il proprietario, con la coda dell'occhio, l'ha colta in flagrante e, precipitandosi fuori, le abbaia contro:
«Guagliuncella, questa è la quinta mela! Quando viene mamma tua a fare la spesa, gliele segno tutte sul conto!»
«E mettile sul conto di famiglia… e poi vai pure affanculo!» ribatte lei, insolente, ma accorta a non farsi troppo sentire.

Appena il chiasso svanisce alle sue spalle, rallenta il passo e, mentre un sorriso sfrontato le affiora sulle labbra, affonda i denti bianchi e forti nella mela con un morso netto e scrocchiante, col succo dolce-acidulo che le riempie la bocca. Giunta alla fermata del 15 per l'ITC A. Serra, nota – parcheggiata vicino al bar, come ormai capita da un paio di settimane – la Maserati Ghibli di Gennarino Coppola, detto lo "Sciantoso" per il suo stile da "guappo", tra spacconeria e ostentazione di abiti griffati, orologi costosi e accessori di lusso, frutto della ricchezza del padre, titolare di una prestigiosa concessionaria di auto: Mercedes, Audi, BMW e, su richiesta, pure Maserati e Bentley. Lo Sciantoso non è esattamente un ragazzo ma uno scapolone di trentasette anni, ben conservato grazie a una vita agiata e con un debole dichiarato, oltre a molti altri vizi, per le belle femmine, senza alcun ritegno nel provarci finanche con quelle poco più che adolescenti.

Beep! Un colpo secco di clacson. Amalia si volta verso la lussuosa auto rosso fuoco con lo Sciantoso alla guida, ma subito riporta lo sguardo davanti a sé, fingendo indifferenza e continuando a mangiucchiare la sua mela – ormai ridotta a un torsolo – che poi con noncuranza getta in strada. Beep! Beep! Insiste. Lei si gira ancora e vede che lui le fa segno di avvicinarsi.

«Signorina Amalia, vuole un passaggio stamattina?» chiede lo Sciantoso, con un sorriso beffardo sotto i Ray-Ban specchiati.
«Davvero, signor Coppola? Con questa modestissima auto? Quasi quasi preferisco farmi una passeggiata a piedi. E poi, non vorrei disturbarle la pennichella mattutina, no?» risponde lei, ironica e spigliata, da finta ragazza "in gamba", ridacchiando sottovoce, e gli volge le spalle per tornare alla sua fermata.
Prima però che possa fare un passo, la voce di Gennarino, fredda e sarcastica, la blocca:
«Signorinella! Aspetta un attimo…» Amalia, meravigliata dal cambio di tono, si volta di nuovo. Lo Sciantoso, alzati gli occhiali all'attaccatura dei capelli, la fissa negli occhi in segno di sfida, il gomito sinistro comodamente poggiato sullo sportello e il Rolex d'oro in bella mostra, e al suo sorriso si è sostituito un ghigno sottile di superiorità. Nella mano destra tiene un iPhone, e riprende a dire: «Visto che preferisci la passeggiatina, magari ti farà piacere guardare questo nel frattempo che cammini.» E alza lentamente il telefono in maniera tale che lei a un certo punto possa mettere bene a fuoco il display e riconoscere qualcosa di molto familiare: un'immagine ravvicinata del suo ombelico, con quel piccolo neo inconfondibile proprio lì.

Un'ondata di calore le sale al viso mentre un ricordo la assale: la gita scolastica fra diversi istituti a Sorrento, nel giugno dell'anno scorso. Lì aveva conosciuto Ciro. E le torna in mente anche la sera nella sala dell'albergo: piena di ragazzi festanti, musica a palla e le birre bevute di nascosto per sentirsi grandi. Poi quel gioco stupido in camera, spinto dalla spensieratezza, dall'euforia e dall'alcool; e lei, troppo ingenua, che si era lasciata convincere da Ciro a fare quegli scatti, credendo, appunto, che fosse solo un gioco segreto tra loro. Perché lui glielo aveva promesso, giurando addirittura sul padre morto, che li avrebbe subito cancellati. Invece no! Eccoli lì, sullo schermo di Gennarino. E non si trattava solo della foto dell'ombelico; ce n'erano altre, in cui si vedeva di più: le gambe, il sedere, il seno, e quella in mutandine con la camicetta aperta, in una posa ammiccante.

«Ora non parli più? Ti è caduta la lingua?» le sputa lui addosso. Lei abbassa lo sguardo, le guance rosse di vergogna, e si allontana, decisa a non andare a scuola quel giorno. Ma lo Sciantoso avvia la Maserati, la tallona a passo d'uomo e insiste dal finestrino: «Il passaggio non lo vuoi, ma le foto da zoccola per far sbavare i tuoi amichetti sì, eh?» Lei stringe le braccia al petto, muta. «E credevi davvero che quell'insetto di Ciro, che lava i cessi all'autosalone di papà per due spicci, ti avesse regalato l'anello? Quello è oro vero, con una pietra autentica! Comprato di mia persona alla gioielleria Anzovino: seicento euro. Mica cianfrusaglie da bancarella! E sai cosa ha chiesto Ciro per consegnartelo e passarmi le foto? Cento euro! Quindi sali. Altrimenti le faccio girare, e tutti sapranno chi è davvero la signorina Amalia col buco da signora!» incalza volgarmente lui; con lei che in quel momento non sa cosa fare, né come rispondere. Perché quelle di Gennarino sono soltanto sue sconce fantasie, conclusioni errate che la sua mente ha tratto guardando le foto. In quanto Amalia, a Ciro aveva dato di sé solo quelle immagini del suo corpo e nulla più. E mai nulla di più intimo, nemmeno un bacio che andasse oltre l'innocenza di un saluto, aveva concesso a un ragazzo. «Hai una settimana di tempo per deciderti.» Ma lei, silenziosa, tira dritto per la sua strada, continuando a ignorarlo, e lui termina il suo sproloquio: «Mi trovi sempre accanto al bar di mattina presto. Pensaci bene. Perché io so' pazzo, e se mi gira, le faccio vedere pure a mamma tua e tuo papà!» E dopo una risata sguaiata, affonda l'acceleratore e sgomma via.

Trafelata, dopo aver fatto le scale a piedi, arriva davanti alla porta di casa e suona il campanello. Mamma Nunzia, rimasta sola a sbrigare le faccende domestiche, interrompe il suo lavoro e apre.
«Malijè, e a scuola non ci sei andata più?» dice, sorpresa nel vederla tornare così in anticipo.
«Non mi sento bene oggi!» esclama Amalia, ansimando, con poca voce.
«Oddio! Piccolina, vieni con me, ti stendi un po' sul lettino.»

Amalia si lascia condurre per mano, si adagia lentamente sul materasso e tira su le gambe, girando la faccia verso il muro. La madre le aggiusta con cura il cuscino sotto la testa, le carezza i capelli e dice:
«Sarà un po' di febbre o un calo di pressione. Ora ti porto il termometro e un po' d'acqua zuccherata, così ti riprendi.»
«Sì, mi passa…» sussurra lei, gli occhi fissi alla parete. Nunzia la guarda con apprensione, ma cerca di non farlo troppo vedere.
«Va bene, amore mio. Riposati. Mamma c'è, eh?» risponde infine piano uscendo dalla stanza per andare in cucina a prendere l'acqua e a cercare il termometro nel cassetto del mobile. E quando Amalia sente il suono dei passi della madre spegnersi appena, avverte dentro di sé che quel "malore" non sarà passeggero: quel letto diventerà il suo rifugio forzato, e la sua mente, la sua prigione, per i giorni a venire.

3.
Per sei giorni Amalia si è chiusa in casa, fingendosi malata. Niente scuola, niente uscite con le amiche e, per ovvie ragioni, nessuna risposta ai messaggi di Ciro che, stupidi e brevi, hanno continuato ad affollarsi sullo schermo del suo smartphone. Quegli stessi messaggi che solo una settimana prima le facevano battere il cuore, e che ora le appaiono vuoti, privi di qualsiasi senso. Perché, dopo aver tradito la sua fiducia e ferito i suoi sentimenti, cosa lui poteva mai sperare di ottenere ancora da lei? Un perdono? Una giustificazione? Una sua risposta frivola e sciocca, come se nulla fosse accaduto? Amava sul serio talmente poco se stesso, e soprattutto lei, da voler ridurre quel legame che c'era stato tra loro, e che col tempo sarebbe potuto diventare molto di più, a un gioco così meschino e vigliacco? Era poi davvero così sempliciotto e fesso da non rendersi neppure conto del male che le stava causando?

Tanto che persino alcune sue amiche sono andate a trovarla, preoccupate per le sue assenze improvvise e inspiegabili, senza però scoprirne il motivo. Anche il padre, Mario, seppure a suo modo, ha mostrato una certa agitazione. Ma lui non è certo il tipo da scervellarsi in troppi pensieri. Si è fatto subito due idee: o la figlia è impazzita di colpo, come succede a certe ragazzette che si riempiono la testa di strane fantasie, e già si cruccia per lo spreco di denaro che gli costerà curarla; oppure, ipotesi per lui più probabile, sta fingendo, per giustificare la sua indole poco incline allo studio e l'ennesima bocciatura. Nunzia, invece, ha intuito qualcosa guardandola negli occhi. Una scintilla, forse, un'ombra. Ha intuito, sì, ma senza riuscire a comprenderla del tutto. Perché lei non può sapere cosa sia realmente successo la mattina di sei giorni fa, o magari anche prima. Immagina un brutto incontro, una parola tagliente, possibili scene che Amalia non avrebbe dovuto vedere, ma ha visto, rimanendone spaventata. Ha provato più volte a domandare. Ma Amalia, scuotendo il capo o abbassando gli occhi, si è chiusa a riccio in un silenzio ostinato. Così Nunzia ha smesso di chiedere. Ma non di osservare, seguendola con lo sguardo in ogni minimo gesto: delle mani, nel modo in cui fissa il vuoto, in certe espressioni del viso. Come se da quei dettagli potesse, in qualche modo, cogliere una risposta su ciò che sta capitando alla figlia. E non dimentica, da brava donna di chiesa, di rivolgersi alla Madonna di Pompei, pregandola ogni giorno perché la faccia rinsavire. Naturalmente, anche il medico di famiglia si è presentato, liquidando il tutto con una diagnosi sbrigativa: i soliti problemi adolescenziali, ansia e preoccupazioni eccessive. Nulla, insomma, di particolarmente allarmante. Eppure, l'inquietudine, la rabbia e la collera, in quei giorni, le hanno annodato lo stomaco, impedendole di mangiare, ed è riuscita a buttare giù solo qualche bicchiere di succo di frutta e poco altro.

4.
E adesso, dopo l'ennesima notte passata insonne a rimuginare su quel tormento costante, la vergogna di quelle foto, che le pulsa nella testa come una ferita aperta e via via più dolorante. Anzitutto, a causa di quel domani ormai prossimo e di fronte alla scelta che la attanaglia: accettare o meno il passaggio dello Sciantoso. Dove lei stessa si vede come intrappolata in un labirinto troppo complicato per indovinare una reale via d'uscita. Con solo un "sì" o un "no" da pronunciare, e parimenti infamanti, se non peggiori del primo errore, e senza nemmeno la speranza, né per volontà o miracolo, di sospendersi in un forse. Restando in attesa di una sentenza inevitabile: come una corda già stretta al collo, pronta a strangolarla su un patibolo. E se avesse invece il coraggio di affrontare la verità e parlarne con mamma e papà, per dire cosa? "Mi spiace, ho fatto una cazzata e ora un uomo più grande mi ricatta?" E loro, che potrebbero mai rispondere o fare? La madre scoppierebbe in lacrime, e il padre, ottuso com'è e con quel carattere burbero, le farebbe muro e direbbe solo: "Schifosa!" E giù botte.

Allo squillo della sveglia, si alza prima che il padre possa anticiparla, la spegne e si sposta in cucina, dove la madre è intenta a preparare la colazione, che lei non mangerà. Nunzia la osserva preoccupata intanto che Amalia versa un bicchiere d'acqua dalla bottiglia.
«Malijè, stai un poco meglio oggi? Se hai bisogno di parlare, mamma è qui…» insiste a dire, ma la ragazza, come sempre, la interrompe:
«Mammà, sono solo giù, niente di grave. Lo ha detto anche il medico che è solo un po' di stress, no? Stai pure tranquilla!»

Va in seguito in bagno, chiude la porta a chiave, per essere sicura che nessuno possa entrare. Prende le forbici dallo stipetto, si guarda nello specchio e fa un sorriso amaro, perché le dispiace ancor prima di farlo, e gli occhi verdi per questo le si bagnano, diventando più accesi. Si concede giusto un ultimo istante di silenzio per ascoltare bene il vuoto oltre le pareti. Solleva quindi tra le dita una delle tante ciocche dei suoi lunghi, biondi e riccioluti capelli che, una dopo l'altra, vengono recise, e lente e soffici cadono, simili a spighe di grano falciate, sopra i suoi piedi. Quando non c'è più nulla da tagliare, scorge sulla mensola il rasoio a mano libera del padre: quello usato dai barbieri, perché lui è un uomo che, anche se non è vecchio, non ama la modernità. Lo afferra, lo apre e, dalla parte esterna dell'occhio sinistro fino a poco sotto l'angolo delle labbra, lo preme facendolo scivolare contro la pelle della guancia. Immediatamente dopo, infila l'anello regalatole da Ciro all'anulare della mano sinistra, come la fede di una sposa. Esce di scatto dal bagno e, in punta di piedi, apre la porta d'ingresso, oltrepassandola in pigiama e ciabatte, senza richiuderla. Perché ormai è quasi ora. Non ha tempo per vestirsi. E lei ha deciso: andrà.

Una volta in strada, tra le vie del Vomero, dove ora tutti possono vederla in quello stato, però nessuno, per pudore o indifferenza, osa avvicinarsi, passo dopo passo, si dirige, sola, verso la sua fermata dell'autobus: non più di cinque minuti a piedi e a lato del bar. E lì ritrova Gennarino, lo Sciantoso, che dal finestrino abbassato della sua Maserati all'istante si accorge di lei: magra, senza capelli, il volto pallido, gli occhi lividi e un taglio aperto a forma di falce sulla guancia sinistra; sfregiata, come un marchio. Non la riconosce, e mentre lei si accosta sempre più alla vettura, lui, sbigottito, si spaventa e a momenti sta per ricacciarla, ma Amalia lo blocca, poggiando la mano sinistra sul bordo della portiera per mettere bene in vista l'anello d'oro con quella stupenda rosa di Francia, che pare quasi contenta, dopo essere sbucata dal covo in cui era stata riposta, di poter ora sbrilluccicare al sole di quel mattino; e con un filo di voce, piano piano, gli dice:

«Sono venuta per il passaggio.»
Ultima modifica di Yakamoz il 05/07/2025, 22:24, modificato 1 volta in totale.
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Messaggio da leggere da FeliceF »

Buongiorno.
Il testo non sembra presentare grossi problemi dal punto di vista della struttura grammaticale e sintattica, al netto di refusi e punteggiatura.
Il registro si mantiene costante, con alcuni eccessi di lirismo che, per quanto corretti nella forma, stonano con il resto del racconto, dando una sensazione di forzatura.
La trama è lineare, i personaggi sono delineati, forse anche troppo, sfociando in una tipizzazione fin troppo forzata. Stupisce come, nell'economia del racconto, una adolescente non si relazioni con i coetanei.
Il messaggio arriva, la conclusione è potente.
Personalmente, sfrutterei la narrazione esterna per rendere il racconto più elevato dal punto di vista dell'architettura: gli esercizi di stile, che al momento sono fini a loro stessi, potrebbero, se gestiti in maniera coerente e continuativa, divenire uno dei punti di forza. Al contempo, spoglierei un po' i personaggi dalla loro caratterizzazione eccessiva, sfaccettandoli e lavorando di più sulle interazioni che sugli stereotipi.
Ciao.
Yakamoz
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Re: Il passaggio

Messaggio da leggere da Yakamoz »

Già il primo commento? Rispondo brevemente:

Felice,
apprezzo la lettura attenta, ma il tuo approccio da "chirurgo" letterario uccide la carne viva del racconto. Gli "eccessi lirici" che critichi sono cicatrici di storie vere.
La "tipizzazione/stereotipizzazione" che condanni è la gabbia di ferro in cui vivono i miei personaggi.
Quando dici "manca interazione coi coetanei" tradisci di non aver colto che Amalia è in guerra contro un mondo che vuole divorarla: perché non ha tempo per chiacchiere da liceo (o ITC).
Il mio stile non è un esercizio: ma un coltello.
E tu mi chiedi di smussarne la lama?
Per il resto, grazie.
Quell'unica verità, a mio modo di vedere, che hai detto ("la conclusione è potente") mi basta.
Perché significa che il coltello ha tagliato.

Tante belle cose, FeliceF,

Antonio Giordano
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Re: Il passaggio

Messaggio da leggere da FeliceF »

Yakamoz ha scritto: 21/06/2025, 11:40 Già il primo commento?
C'è un racconto, perché non dovrei poterlo commentare? Pensi che l'abbia letto con poca attenzione e superficialità?
Yakamoz ha scritto: 21/06/2025, 11:40 il tuo approccio da "chirurgo" letterario uccide la carne viva del racconto.
Perché dici ciò? Non siamo qui per farci giudicare e per farci dare consigli? Uno scritto non va giudicato solo per la sua idea di base, ma va visto nel suo insieme e l'analisi di un testo implica anche l'eviscerazione dal punto di vista gramamticale, strutturale, sintattico, stilistico, psicologico, formale ecc.
Yakamoz ha scritto: 21/06/2025, 11:40 Gli "eccessi lirici" che critichi sono cicatrici di storie vere.
Forse non ci capiamo sul significato di "lirico" e allora chiedo aiuto al vocabolario Treccani: "toni alati di linguaggio, ad accenti ispirati o anche soltanto enfatici".
Ti faccio un esempio: "Le lunghe ciocche bionde e serpentelle scivolano tra le dita, morbide e setose, proprio come quando era piccina. Ora però sono così tante… così lunghe… Mentre divide la chioma in tre per intrecciarla, la scruta riflessa nello specchio." Questo passaggio mi piace da morire!, ma è slegato dal resto del corpo narrativo. Ciò che intendevo dire è che, a mio avviso, varrebbe la pena ridisegnare il testo, impreziosendolo con questi giochi di stile. Per contro, metterne due o tre, sparsi nel nulla, danno solo l'effetto di renderli inappropriati.
Yakamoz ha scritto: 21/06/2025, 11:40 La "tipizzazione/stereotipizzazione" che condanni è la gabbia di ferro in cui vivono i miei personaggi.
E' chiaro che la caratterizzazione attraverso lo stereotipo è la tua maniera di dipingere i personaggi, ma (e lo ripeto sono solo personali impressioni) rischiano di rendere il racconto eccessivamente pesante: si ha già una idea di cosa farà chi, in ogni momento. Vedi, per contro, l'azione finale della ragazza, che fino all'ultimo sembra dover usare quella lama in altro modo, colpisce proprio perché, finalmente, agisce in maniera un po' meno prevedibile. Il finale mi è piaciuto molto, difatti.
Yakamoz ha scritto: 21/06/2025, 11:40 Quando dici "manca interazione coi coetanei" tradisci di non aver colto che Amalia è in guerra contro un mondo che vuole divorarla: perché non ha tempo per chiacchiere da liceo (o ITC).
Rileggi quanto ho scritto: non ho asserito che "manchi" interazione con i coetanei, ma che "stupisce la mancanza di". Sono due cose completamente differenti.
Yakamoz ha scritto: 21/06/2025, 11:40 Il mio stile non è un esercizio: ma un coltello.
E tu mi chiedi di smussarne la lama?
Vedo che non mi sono fatto capire. Comunque, se proprio vuoi usare questa metafora, io non sti sto dicendo che non devi smussare i coltelli, ma proprio il contrario! Li devi affilare molto di più, devono poter recidere al primo tocco e nel momento in cui si tolgono dalla ferita, devono poter lacerare le carni.
Yakamoz ha scritto: 21/06/2025, 11:40 Quell'unica verità, a mio modo di vedere, che hai detto
Quindi mi stai dicendo che l'unica cosa che ti è piaciuta la prendi come verità e tutto il resto, per te, sono falsità? Qualche problemino nella gestione delle critiche?

Penso di poter esprimere liberamente il mio giudizio, critico e personale, presentato sempre con il massimo del rispetto, per dare spunti di riflessione, perché ritengo che il confronto possa essere costruttivo. Se invece i commenti devono servire solamente ad incensarci a vicenda, non vedo possibilità di dialogo.
Yakamoz
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Re: Il passaggio

Messaggio da leggere da Yakamoz »

Felice,
va bene così. Abbiamo due visioni del racconto molto diverse e distanti, e va bene che convivano.
Il tuo punto di vista mi ha fatto riflettere, ma rivendico con la stessa forza il mio.
Alla fine, conta solo ciò che resta dopo l'ultima riga.

Buona gara!
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Massimo Baglione
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Re: Il passaggio

Messaggio da leggere da Massimo Baglione »

FeliceF ha scritto: 21/06/2025, 12:45Qualche problemino nella gestione delle critiche?
Per cortesia, evitiamo di innescare polemiche.
FeliceF ha scritto: 21/06/2025, 12:45Perché dici ciò? Non siamo qui per farci giudicare e per farci dare consigli?
Certamente siamo/siete qui per questo, ma ciò non significa che la critica debba essere accettata come tua verità assoluta solo in quanto tale.
L'autore si espone -> tu lo scritichi costruttivamente -> lui ti risponde.
Se dalla sua controrisposta nasce un dibattito costruttivo, ben venga, altrimenti fermatevi lì, felici in ogni caso di aver compiuto entrambi la vostra parte ed esservi espressi liberamente.

Non fatemi tornare su queste faccende e godetevi l'estate letteraria :smt079 :smt024
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Come al solito sei molto bravo a immergere il lettore nel racconto: le tue descrizioni, ambientali e psicologiche, sono molto accurate, e non posso che lodarle. Quanto alla trama: ci si attende la soluzione al problema dell'odioso ricatto dello Sciantoso, e Amalia opta per una decisione drastica: rendersi così indesiderabile da sfuggire alle attenzioni dell'aguzzino. Una scelta estrema, anche se non come quella, poniamo, di togliersi la vita (accaduto in casi simili, nella realtà); coraggiosa, disperata, forse anche un po' folle, ma che altro poteva fare? Cedere alle lusinghe del viscido? Il racconto pone l'accento anche sul malcostume moderno di certi comportamenti dei giovani (soprattutto), con questa mania di fotografarsi e farsi fotografare, senza pensare alle conseguenze,
Un ottimo lavoro, complimenti!
Yakamoz
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Vittorio Felugo ha scritto: 22/06/2025, 11:41 Come al solito sei molto bravo a immergere il lettore nel racconto: le tue descrizioni, ambientali e psicologiche, sono molto accurate, e non posso che lodarle. Quanto alla trama: ci si attende la soluzione al problema dell'odioso ricatto dello Sciantoso, e Amalia opta per una decisione drastica: rendersi così indesiderabile da sfuggire alle attenzioni dell'aguzzino. Una scelta estrema, anche se non come quella, poniamo, di togliersi la vita (accaduto in casi simili, nella realtà); coraggiosa, disperata, forse anche un po' folle, ma che altro poteva fare? Cedere alle lusinghe del viscido? Il racconto pone l'accento anche sul malcostume moderno di certi comportamenti dei giovani (soprattutto), con questa mania di fotografarsi e farsi fotografare, senza pensare alle conseguenze,
Un ottimo lavoro, complimenti!
Ciao, Vittorio,

ti ringrazio di cuore, come si dice a' Napule, per il tuo bel commento. Hai colto perfettamente, nella tua sintesi, il senso più autentico/vero del mio racconto: la denuncia della violenza di genere. Al di là di eventuali difetti o limiti tecnici, che come in ogni opera possono esserci (e forse è un bene, perché nulla è perfetto, e per fortuna!), ciò che conta davvero, soprattutto in questo caso, è il messaggio che si vuole trasmettere. E sapere che ti sia arrivato con chiarezza è per me motivo di grande soddisfazione.

Anche la scelta del registro linguistico, sospeso tra il colloquiale e il dialettale da una parte, e il lirico-descrittivo dall'altra, è assolutamente voluta. Una polifonia, come direbbero quelli che parlano bene, che riflette e non contrasta l'anima partenopea, sia nell'ambientazione che nei personaggi. Archetipi, non stereotipi: nel senso puro della Maschera. Un'epifania, sempre come dicono quelli che parlano bene, dei suoi contrasti: dolce e amaro, chiaro e scuro, freddo e caldo, e di tutta la complessità e il sapore della mia terra.

Un caro saluto,

Antonio

P.S. In origine, il racconto era scritto in napoletano, e tradurlo mi è costato una certa fatica, proprio per renderlo accessibile a tutti. Grazie anche per il voto. Ricambierò presto la visita, come faccio sempre. Ora però sono un po' in difficoltà e, purtroppo, non posso. La gara è appena iniziata, comunque, quindi c'è tempo per leggere e commentare.

Aggiungo solo una cosa:

Mai muri, ma ponti! (soprattutto in questi tempi!)
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Ishramit
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""Che palle! Sempre la solita solfa!" poi pensa."

Credo non ci sia bisogno di specificare "poi pensa", soprattutto perché hai già distinto con virgolette di diverso tipo il dialogo reale da quello interiore… Credo che la fluidità del racconto guadagnerebbe dall'omissione di questo genere di indicazioni.

" «E credevi davvero che quell'insetto di Ciro, che lava i cessi all'autosalone di papà per due spicci, ti avesse regalato l'anello? Quello è oro vero, con una pietra autentica! Comprato di mia persona alla gioielleria Anzovino: seicento euro. Mica cianfrusaglie da bancarella! E sai cosa ha chiesto Ciro per consegnartelo e passarmi le foto? Cento euro! Quindi sali. Altrimenti le faccio girare, e tutti sapranno chi è davvero la signorina Amalia col buco da signora!»"

Questa frase invece la rileggerei, personalmente ho dovuto riattraversarla più volte per venirne a capo, puntualmente mi ci annodavo. Credo soprattutto dove scrivi "per consegnartelo e passarmi le foto", non è chiarissimo il passaggio logico.

A parte questi dettagli, comunque, il racconto mi è piaciuto molto: in poco spazio rende bene un doloroso spaccato di vita, con un finale che senz'altro sorprende. Credo però che sia partito molto bene e dopo un po' sia andato scemando, principalmente per la scelta di raccontare cos'è successo nei giorni d'isolamento della ragazza invece che farcelo vedere con altri dialoghi. Forse l'hai fatto per guadagnare spazio (ed è comprensibile essendoci un limite di caratteri), ma la cosa si sente e il racconto ci perde un po' (mi riferisco soprattutto alla parte 3.
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Ishramit ha scritto: 23/06/2025, 1:13 ""Che palle! Sempre la solita solfa!" poi pensa."

Credo non ci sia bisogno di specificare "poi pensa", soprattutto perché hai già distinto con virgolette di diverso tipo il dialogo reale da quello interiore… Credo che la fluidità del racconto guadagnerebbe dall'omissione di questo genere di indicazioni.

" «E credevi davvero che quell'insetto di Ciro, che lava i cessi all'autosalone di papà per due spicci, ti avesse regalato l'anello? Quello è oro vero, con una pietra autentica! Comprato di mia persona alla gioielleria Anzovino: seicento euro. Mica cianfrusaglie da bancarella! E sai cosa ha chiesto Ciro per consegnartelo e passarmi le foto? Cento euro! Quindi sali. Altrimenti le faccio girare, e tutti sapranno chi è davvero la signorina Amalia col buco da signora!»"

Questa frase invece la rileggerei, personalmente ho dovuto riattraversarla più volte per venirne a capo, puntualmente mi ci annodavo. Credo soprattutto dove scrivi "per consegnartelo e passarmi le foto", non è chiarissimo il passaggio logico.

A parte questi dettagli, comunque, il racconto mi è piaciuto molto: in poco spazio rende bene un doloroso spaccato di vita, con un finale che senz'altro sorprende. Credo però che sia partito molto bene e dopo un po' sia andato scemando, principalmente per la scelta di raccontare cos'è successo nei giorni d'isolamento della ragazza invece che farcelo vedere con altri dialoghi. Forse l'hai fatto per guadagnare spazio (ed è comprensibile essendoci un limite di caratteri), ma la cosa si sente e il racconto ci perde un po' (mi riferisco soprattutto alla parte 3.
Ciao,

in merito a questa parte qui, non è difficile, forse complicata per via dell'intercalare dello Sciantoso:

"«E credevi davvero (tu Amalia) che quell'insetto di Ciro (per denigrarlo), che lava i cessi all'autosalone di papà per due spicci, ti avesse regalato l'anello? (lo Sciantoso sta dicendo che Ciro è un suo dipendente e che non può permettersi di fare regali molto costosi) Quello è oro vero, con una pietra autentica! Comprato di mia persona (di mia persona: da me, ma come si usa dire da noi) alla gioielleria Anzovino: seicento euro. Mica cianfrusaglie da bancarella! E sai cosa ha chiesto Ciro per consegnartelo (consegnarti l'anello, e quindi svela il tradimento di Ciro) e passarmi le foto? Cento euro (dice il soldi che ha preteso Ciro)! Quindi sali (dà un ordine ad Amalia di salire in auto). Altrimenti le faccio girare (le foto), e tutti sapranno chi è davvero la signorina Amalia col buco da signora! (buco da signora: è un'espressione abbastanza volgare napoletana per dire, attraverso un giro di parole: puttana molto giovane che non lo dà' a vedere, perché lo fa di nascosto)»"

Per quanto riguarda la terza parte, hai ragione, poteva essere migliore. Dialogica no, perché Amalia non parla, non ha un'amica del cuore con cui confidarsi; la madre è una figura protettrice ma inadeguata. Potevo farla parlare da sola? Difatti, pure io avevo dei dubbi sulla III parte e più volte ho pensato di costruirla su qualcosa di diverso: ma tante alternative, anche per limitare le battute, non ne ho trovate. Terza parte che comunque è funzionale, pure nell'economia e struttura del racconto, a creare attesa/suspense e introdurre la scena finale (il climax): un po' da tragedia greca, come Antigone. Necessaria quindi una terza parte, per dare "spazio e attesa" al finale.

Grazie per avermi letto, che ti sia piaciuto il racconto, e del tuo prezioso commento, e anche del voto, Ishramit.

Cari saluti,

Antonio

P.S. dice, afferma, pensa, rimbrotta… è un mio vizio, di usare verbi dichiarativi, quando scrivo dialoghi non molto serrati.

Spiego una cosa, una curiosità:

"La parola napoletana "sciantosa" deriva direttamente dal francese "chanteuse" (cantante). E si riferiva alle cantanti dei caffè-concerto parigini di fine '800, che erano viste come donne affascinanti, un po' eccentriche, eleganti e ammirate. Col tempo, a Napoli, il termine si è evoluto per descrivere (anche al maschile, "sciantoso") una persona vanitosa, che si veste in modo vistoso ed elegante e che ostenta un'aria di superiorità e fascino, proprio come il personaggio del mio racconto."
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Racconto scritto in stile colloquiale "verace" per renderlo più genuino, una scelta che ho apprezzato (se fosse stato in napoletano stretto lo avrei apprezzato anche di più, però coi sottotitoli :)).
Ammetto che la scelta della ragazza di sfregiarsi mi ha sorpreso, dunque un punto di merito in più. Ciò che colpisce è il totale isolamento della protagonista, incapace di confidarsi con chiunque, persino con la madre.
Se devo fare un'osservazione di costume, è che purtroppo (vedi i casi recenti di cronaca) episodi del genere colpiscono i pre-adolescenti, tanto che 17 anni si è ormai considerati vecchi.
Infine, una curiosità: la poesia che apre il racconto, riferita al film biografico su Nelson Mandela, è stata utilizzata anche da me in un altro racconto, "L'anima indomabile". Perdonatemi l'auto-citazione.
Saluti, a rileggerti
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Andr60 ha scritto: 23/06/2025, 17:08 Racconto scritto in stile colloquiale "verace" per renderlo più genuino, una scelta che ho apprezzato (se fosse stato in napoletano stretto lo avrei apprezzato anche di più, però coi sottotitoli :)).
Ammetto che la scelta della ragazza di sfregiarsi mi ha sorpreso, dunque un punto di merito in più. Ciò che colpisce è il totale isolamento della protagonista, incapace di confidarsi con chiunque, persino con la madre.
Se devo fare un'osservazione di costume, è che purtroppo (vedi i casi recenti di cronaca) episodi del genere colpiscono i pre-adolescenti, tanto che 17 anni si è ormai considerati vecchi.
Infine, una curiosità: la poesia che apre il racconto, riferita al film biografico su Nelson Mandela, è stata utilizzata anche da me in un altro racconto, "L'anima indomabile". Perdonatemi l'auto-citazione.
Saluti, a rileggerti
Cia', Andr60, so' cuntento ca te piaciuto 'o presepe!

Ti posto l'incipit originale:

"«Malijè, 'a sveglia è già sunata! Sosete! Te hà 'a prepàrà p'a scola! 'A zupp' 'e latte t'aspèt 'ngòpp' o' tavule 'e cucina!» allucca Mamma Nunzia.
Amalia però fatìca a scippàrse d' 'o ninnillo, e storduta arresponne:
«Mammà, n'at' cinche minùte…» 'E cinche minùte se ne stànne lunghe e langhe, addiventano diece, quìnd'ce, nfin' a quanno sfreve ll'uocchie cu 'e mmane 'a ppugno, sbadiglia, stènne 'e vrazze, se leva 'a cunzeglia e scenn' 'o lettino cu tutte o cosce a' fore e 'a maglietta d' 'o p'giamm'."

Come avrai modo di notare non è molto comprensibile per chi non è madrelingua. E poi si può scrivere in tanti modi il napoletano, non essendoci una codifica unica su come farlo. Di solito, io sono stretto nella parlata: tant' è ca manco "un' 'e Napule a' vot o' capisce" (o capisch, si legge con e finale muta e la "s" che sibila). Cioè, quasi tutto non si legge come si scrive. Insomma! Tutto un burdello (casino).

Pure qui:

"Scippàrse d' 'o ninnillo" = staccarsi dal giocattolo, ma "ninnillo" vuol dire pure bambino; quindi, in un certo senso, bambolotto o bambola che si dà a un/a bambino/a per farlo/a acquietare e addormentare. Espressioni idiomatiche che in italiano non esistono proprio. Perciò "Scippàrse d' 'o ninnillo" nella frase ha valore di una cosa tipo così: «Amalia però fa fatica a strapparsi via dal dolce tepore del sonno/dal comfort del letto.»

Finita la lenziocina :)

Ora che resta da dire? Resta da dire che scrivere può essere anche una ricerca linguistica, a dispetto dei puristi, dei pignoli, dei tronfi, che ti dicono come dovrebbe essere e non com'è. Com'è nella realtà vera, viva, vissuta e quotidiana; d'altronde nessuno parla come un personaggio di un libro, lo stesso vale per un film e altro. E discutere, dissertare, se sia meno nobile aderire a una forma idiomatica più "controllata" o meno è un esercizio sterile e vacuo, perché la varietà dipende da quello che si vuole fare e dal contesto.

Sì, Invictus, che non ti ho copiato, ma che è stata fonte d'ispirazione, essendo molti i passaggi nel testo e quindi non è un puro ornamento. Questi, sette:

a) Il passaggio dall'infanzia/adolescenza all'età adulta;

b) Il passaggio dalla fiducia al disincanto;

c) Il taglio dei capelli: passaggio dalla bellezza alla disidentificazione;

d) Il passaggio dal dolore silenzioso alla denuncia visibile;

e) Il passaggio dalla sottomissione alla sfida finale;

f) Il passaggio che offre lo "Sciantoso";

g) Il passaggio delle foto.

E scavando, con occhi attenti, ci sono ancora altri riferimenti ad altri "passaggi".

Con una scrittura uniforme più verista/realista sarebbe stato, forse, più coerente/forte il racconto. Ma io scrivo d'istinto. Sono pur sempre un dilettante della scrittura, e per me va bene così!
Mi fermo, altrimenti divago troppo e magari poi, non sapendo dove mi può portare il vento, finisco col parlare delle Guerre puniche tra Roma e Cartagine.

È notte ormai e anche un altro giorno sta passando…

Cari saluti, Andr60, grazie di avermi letto e di tutto il resto.

Antonio
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Messaggio da leggere da Laura Traverso »

Ciao Antonio, ho letto con piacere, e non senza una sensazione crescente di disagio, il tuo bel racconto che affronta tanti temi importanti. Infatti spazia dai rapporti familiari, con l'ottuso e insopportabile padre, principale responsabile, a mio parere, della tragedia poi avvenuta, (ma anche la madre ha la sua colpa, per aver permesso al marito di trattare costantemente a pesci in faccia la figlia); alla profonda solitudine degli adolescenti nonostante l'indossata corazza da emancipati (comune a tutte le epoche, più o meno); al tradimento del fidanzatino; ai pericoli della rete. Sino al bullo e prepotente di turno. Insomma, come dicevo, gli argomenti che affronti sono seri e purtroppo comuni in tante famiglie e situazioni. Devo dirti, però, che il finale l'ho trovato di grande impatto ma forse un poco inverosimile.
Mi spiego, se la ragazzina aveva così tanto timore del padre, e pure tutto sommato dalla madre, giudicata incapace di difenderla (al punto da tacere il suo tormento) come sarebbe stato poi possibile giustificarsi con lui/loro dopo essersi sfregiata, rasata e resa irriconoscibile da un digiuno protratto? Ho ben capito che lo ha fatto per punire il trentenne rendendosi indesiderabile (che poi non è detto, in quanto non lo spieghi, se il tipo l'abbia comunque caricata come da consenso della ragazza). Avrei compreso di più se, come la cronaca sovente riporta, si fosse tolta la vita (anche perché, penso che dopo, la vita gliela avrebbe tolta il padre bifolco) ma così, il sacrificio di accettare il passaggio, con le scontate conseguenze, mi è parso inutile, salvo pensare a una ragazzina con forti tendenze masochistiche, che non pareva avere nella prima parte del racconto, dove appariva pavida e sicura, ma capisco anche, ripeto, che gli atteggiamenti descritti sono comuni tra adolescenti. Quindi si, il finale del racconto è una variante al suicidio, assai peggio dal mio punto di vista. I dialoghi sono molto incisivi e veri, il racconto è scorrevole e avvincente. Fa riflettere, provoca tristezza, almeno a me. Un caro saluto. Voto 4
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Laura Traverso ha scritto: 24/06/2025, 23:11 Ciao Antonio, ho letto con piacere, e non senza una sensazione crescente di disagio, il tuo bel racconto che affronta tanti temi importanti. Infatti spazia dai rapporti familiari, con l'ottuso e insopportabile padre, principale responsabile, a mio parere, della tragedia poi avvenuta, (ma anche la madre ha la sua colpa, per aver permesso al marito di trattare costantemente a pesci in faccia la figlia); alla profonda solitudine degli adolescenti nonostante l'indossata corazza da emancipati (comune a tutte le epoche, più o meno); al tradimento del fidanzatino; ai pericoli della rete. Sino al bullo e prepotente di turno. Insomma, come dicevo, gli argomenti che affronti sono seri e purtroppo comuni in tante famiglie e situazioni. Devo dirti, però, che il finale l'ho trovato di grande impatto ma forse un poco inverosimile.
Mi spiego, se la ragazzina aveva così tanto timore del padre, e pure tutto sommato dalla madre, giudicata incapace di difenderla (al punto da tacere il suo tormento) come sarebbe stato poi possibile giustificarsi con lui/loro dopo essersi sfregiata, rasata e resa irriconoscibile da un digiuno protratto? Ho ben capito che lo ha fatto per punire il trentenne rendendosi indesiderabile (che poi non è detto, in quanto non lo spieghi, se il tipo l'abbia comunque caricata come da consenso della ragazza). Avrei compreso di più se, come la cronaca sovente riporta, si fosse tolta la vita (anche perché, penso che dopo, la vita gliela avrebbe tolta il padre bifolco) ma così, il sacrificio di accettare il passaggio, con le scontate conseguenze, mi è parso inutile, salvo pensare a una ragazzina con forti tendenze masochistiche, che non pareva avere nella prima parte del racconto, dove appariva pavida e sicura, ma capisco anche, ripeto, che gli atteggiamenti descritti sono comuni tra adolescenti. Quindi si, il finale del racconto è una variante al suicidio, assai peggio dal mio punto di vista. I dialoghi sono molto incisivi e veri, il racconto è scorrevole e avvincente. Fa riflettere, provoca tristezza, almeno a me. Un caro saluto. Voto 4
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Ciao, Laura,

nei miei racconti, anche se semplici, sono presenti molti elementi psicologici e simbolici. Non sempre si vedono in modo evidente, ma dovrebbero comunque essere percepiti dal lettore attraverso l'inconscio o una riflessione più profonda. Amalia, in effetti, rappresenta la perdita dell'innocenza e il tentativo di riconquistare se stessa. Un corpo, per bello o brutto che sia, è la nostra vera casa. Qualcosa di profondamente "soggettivo", che ci appartiene e definisce la nostra identità, come un "contenitore" che ospita la nostra anima. Ma, oltre alla nostra, esiste anche una visione "oggettiva" del corpo, quella che nasce dallo sguardo insinuoso degli altri. Nel racconto, Ciro e lo "Sciantoso" rappresentano proprio questo sguardo, trasformando il corpo di Amalia in un oggetto di desiderio, qualcosa da possedere. E il "passaggio delle foto e il ricatto" simboleggiano un'invasione, atti di appropriazione indebita: come entrare in un territorio che non ti appartiene, perché anche l'amore fisico tra due persone nasce da una concessione reciproca, da un consenso consapevole.

Per questo motivo, il gesto finale di Amalia non è davvero autodistruttivo, anche se in apparenza può sembrarlo. È piuttosto un tentativo di riappropriarsi del proprio corpo, di sottrarlo allo sguardo degli altri. Quel corpo non deve più essere visto come oggetto di desiderio, ma tornare a essere semplicemente "la casa della sua anima". Il taglio dei capelli e sul viso diventano un confine, e l'anello è il sigillo: gesti simbolici per tornare padrona del "proprio destino e capitano della propria anima", perché all'inizio del racconto, infatti, per una crudele/amara ironia, Amalia non lo è affatto.

Comunque, Laura, la tua analisi è appropriata, lucida. Hai colto un altro punto fondamentale e importante: il problema affonda anche nelle radici, nella famiglia. Un padre che la sminuisce trattandola da stupida/incapace, e una madre che sa essere soltanto affettuosa e la infantilizza: la vuole tenere con sé come una bambina; per questo le tira la treccia. Se Amalia, nel racconto, avesse avuto genitori più equilibrati, in particolare una madre con maggiore forza e carattere, forse non avrebbe sentito il bisogno di mortificarsi e di rendersi brutta. E Lo "Sciantoso", queste cose le intuisce. Forse le ha ascoltate da Ciro. È come un leone che osserva le fragilità e sceglie prede sole e facili. Non sfida chi ha forza, non disturba l'elefante o chi fa gruppo. Ma non sempre il predatore riesce a divorare la sua preda. Amalia è la mia Antìgone: la figlia di Edipo che sceglie la morte, qualcosa di ancora più crudele e assoluto, per rimanere fedele a se stessa; così Amalia sceglie di "uccidere" la sua vecchia immagine per salvare la sua anima. Entrambe, di fronte a un "passaggio tanto stretto" da non poter essere attraversato altrimenti.

Il merito a questa parte qui, la questione che mi poni:

"(che poi non è detto, in quanto non lo spieghi, se il tipo l'abbia comunque caricata come da consenso della ragazza). Avrei compreso di più se, come la cronaca sovente riporta, si fosse tolta la vita (anche perché, penso che dopo, la vita gliela avrebbe tolta il padre bifolco)"

In realtà il finale l'avevo scritto, ma poi ho preferito toglierlo e lasciare che fosse il lettore a immaginarlo. Detto questo, c'è un dettaglio importante: l'appuntamento avviene di mattina presto, vicino a un bar. Ora, anche se è presto, è un momento in cui la città si sveglia: gente che prende il caffè al volo prima del lavoro, studenti che aspettano l'autobus, motorini che sfrecciano, traffico che comincia a ingolfarsi. Insomma, il solito tran tran quotidiano. E poi non siamo in un vicolo isolato, ma al Vomero: un quartiere vivo, benestante, pieno di gente, attività. Napoli è una metropoli super-abitata. Ed è verosimile pensare che qualcuno la noti per strada, o magari la veda salire sull'auto. Quindi è parimenti credibile che lo "Sciantoso" se ne vada e che, poco dopo, qualcuno si accorga di Amalia e la soccorra.
Per quanto riguarda il padre: sì, è severo, burbero, distante, ma non un mostro. Non credo che arriverebbe a farle del male. Amalia ha più paura del giudizio degli altri, della sua famiglia, della comunità in cui vive. E per cose che, tra l'altro, non ha nemmeno fatto. Nel racconto si dice chiaramente che è ancora pura/illibata:

"Perché quelle di Gennarino sono soltanto sue sconce fantasie, conclusioni errate che la sua mente ha tratto guardando le foto. In quanto Amalia, a Ciro aveva dato di sé solo quelle immagini del suo corpo e nulla più. E mai nulla di più intimo, nemmeno un bacio che andasse oltre l'innocenza di un saluto, aveva concesso a un ragazzo."

Perciò quella di Amalia è una lotta di dignità/libertà per affermare la verità di fronte alla menzogna.
Ultima cosa: sulla possibilità che Amalia possa essere un po' masochista, è probabile; infatti, il bar non a caso si chiama 'O Bar d''o Pazzo.

Scusa la lunghezza di questa risposta, ma la tua riflessione meritava un'analisi articolata.

Sono un po' "filosofo", scusami ancora, Laura Traverso.

Cari saluti, e grazie della tua attenzione al mio piccolo racconto,

Antonio

P.S. Pure il nome di Amalia è simbolico: ricorda il verbo "Ammaliare". La mela, il peccato. Sono un po' kafkiano quando scrivo.
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Re: Il passaggio

Messaggio da leggere da Laura Traverso »

Ciao Antonio, complimenti per la minuziosa spiegazione, (davvero da filosofo) dove hai ben evidenziato tutti gli aspetti psicologici del tuo racconto, alcuni dei quali non li avevo considerati. Che Amelia (ammaliatrice) si fosse sfigurata per essere accettata al di là della propria avvenenza e bellezza proprio non lo avevo messo in conto. Comunque bravo sì ad aver messo in campo tanti aspetti, davvero tanti. Il padre, però, resta per me un simil -mostro, su questo personaggio abbiamo idee diverse... Buona serata, qui si muore dal caldo... E' Estate... :-) :-)
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Re: Il passaggio

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Caro Antonio, ti ringrazio per l'interessante lezione di dialetto napoletano: in effetti, alcune espressioni dialettali sono intraducibili se non con giri di parole che però non rendono appieno l'idea, ed è un atto meritorio conservare il più possibile questo patrimonio culturale come si fa con gli animali a rischio di estinzione. L'omologazione della lingua va di pari passo con quella del pensiero, ed è il fine ultimo del potere. Per questo la letteratura è, o potrebbe essere, uno dei modi per resistere a ciò.
Saluti
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Messaggio da leggere da Gino Savian »

Trovo che i personaggi siano ben caratterizzati. Rendono il racconto molto vivido. Si nota molto del carattere di Amalia attraverso i suoi gesti, le sue battute, sembra quasi tridimensionale. Il trasporto nella drammaticità della situazione è inevitabile.
Ho apprezzato il punto più intenso della storia in cui Amalia si chiude in bagno, il punto in cui la tensione sale fino a far credere che forse voglia farla finita, ma poi invece no. Stupisce tutti e dona un finale spettacolare alla vicenda che io, personalmente, ho apprezzato.
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Re: Commento

Messaggio da leggere da Yakamoz »

Grazie, Gino Savian, per aver apprezzato il mio racconto e per il buon voto :) Ho letto con cura "Attacco a sorpresa" e ti ho anche commentato.

Saluti, :)

Antonio
Ultima modifica di Yakamoz il 27/06/2025, 10:51, modificato 1 volta in totale.
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Re: Il passaggio

Messaggio da leggere da Massimo Baglione »

Per cortesia, evitate di citare interi messaggi solo per rispondere brevemente o ringraziare, grazie.
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Re: Il passaggio

Messaggio da leggere da Yakamoz »

Lo avevo dimenticato, scusa, Max :)

Aggiusto…
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Re: Il passaggio

Messaggio da leggere da Massimo Baglione »

Yakamoz ha scritto: 27/06/2025, 10:50Aggiusto…
grazie :-)
Scusate se sembro pedante per queste cose, ma devo fare i conti con le dimensioni del database, che si sta avvicinando alla soglia oltre la quale dovrei acquistare un pacchetto annuale aggiuntivo... e vorrei evitare. Infatti sto spurgando qua e là cose vecchie e obsolete per alleggerire un po' il tutto.
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Questo racconto riesce, in poche scene, a tratteggiare un’intera atmosfera e una protagonista memorabile. Lo stile è sicuro, il ritmo ben calibrato. La narrazione è semplice ma incisiva, con alcuni momenti brillanti, come il ribaltamento di potere tra Amalia e lo Sciantoso. Anche l’inserimento della citazione finale, che in altri contesti rischierebbe di risultare retorico, qui risuona giustamente.
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Re: Il passaggio

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Ma come "protagonista memorabile" e poi mi dai un voto di "cortesia"? :)

Boh! Premetto che la "gara" non l'aspetto preminente per me: 1, 2, 3, 4, 5, per me va bene qualsiasi voto. Ma almeno in minimo di coerenza, senza fare polemiche inutili, tra commento e voto ci dovrebbe essere, no?

Grazie per il commento, Corrado, :)

A rileggerci…

P.S. Non puoi dare voti come si distribuiscono le caramelle ai bambini: perché hai votato, a parte il racconto di fantascienza, tutti con 3. Cosa che non capisco, ma va bene così!
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Yakamoz ha scritto: 07/07/2025, 16:24 Ma come "protagonista memorabile" e poi mi dai un voto di "cortesia"? :)

Boh! Premetto che la "gara" non l'aspetto preminente per me: 1, 2, 3, 4, 5, per me va bene qualsiasi voto. Ma almeno in minimo di coerenza, senza fare polemiche inutili, tra commento e voto ci dovrebbe essere, no?

Grazie per il commento, Corrado, :)

A rileggerci…

P.S. Non puoi dare voti come si distribuiscono le caramelle ai bambini: perché hai votato, a parte il racconto di fantascienza, tutti con 3. Cosa che non capisco, ma va bene così!

Non te la prendere, piuttosto copia quel messaggio e anche il racconto in uno di quei siti che rilevano l'uso di IA e... capirai.
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Re: Il passaggio

Messaggio da leggere da Yakamoz »

Ishramit ha scritto: 07/07/2025, 21:42 Non te la prendere, piuttosto copia quel messaggio e anche il racconto in uno di quei siti che rilevano l'uso di IA e… capirai.
Ciao, ma si capisce leggendolo che "non è del tutto umano" (salvo smentite dell'autore). Bastava dirlo o fare una piccola premessa: "Mi sono avvalso di… per scriverlo." Non sarebbe cambiato nulla. Alla fine, sempre un racconto rimane. Io, ad esempio, mi sono ispirato "nella scena in cui Amalia si taglia i capelli" alla canzone di Ivan Graziani: "Canzone per Susy". Non è plagio, ma solo una fonte d'ispirazione, interpretata in modo diverso. E poi non me la sono presa. Mi è sembrata solo un po' ingiusta la cosa, anche verso gli altri partecipanti.

Buona serata, Ishramit! :)

P.S. A Napule se rice "Ca nisciuno è fess!" :)
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Massimo Baglione
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Re: Il passaggio

Messaggio da leggere da Massimo Baglione »

Purtroppo in questa sede non esiste un sistema efficace per discriminare testi umani da quelli generati da IA.
Tuttavia una cosa è certa: se qualcuno è così idiota da farsi scrivere un testo dall'IA (sia esso un racconto o un commento) e postarlo come se fosse suo, questo sito non è il suo posto.
Quindi:
- se un autore non intende sprecare un grammo di fantasia umana per noi, almeno lo renda noto;
- se un autore pensa di aver ricevuto un commento scritto da una IA, lo legga, lo digerisca e amen.
L'unica cosa che purtroppo all'autore umano resta, è il voto dell'autore sfaticato. Su questo possiamo farci poco, ma il calcolo della media ponderata cui vengono sottoposti i voti di ogni singolo testo serve proprio a mitigare queste esatte circostanze.
In ogni caso, evitate polemiche, accuse o sospetti, tanto è fatica sprecata. Il tempo aggiusterà tutto, fidatevi.
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Re: Il passaggio

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Ma è soltanto una piccola riflessione (non polemica) tra me e Ishramit: sbagliato, forse, farla qui, dove abita il mio racconto. Diciamo che eravamo più curiosi di sapere che preoccupati. A me nulla toglie, credo che lo stesso valga per Ishramit, che qualcosa sia scritto in un modo o in un altro. Come dice Totò: bazzecole, quisquilie, pinzellacchere.
Dice poi Bukowski:

"Procurati una grossa macchina per scrivere / e come i passi che vanno su e giù / fuori dalla tua finestra / picchia quella cosa / picchiala duro / fanne un combattimento da pesi massimi / fanne il toro quando carica la prima volta…"

Quindi, il processo creativo che porta alla "creazione" di qualsiasi cosa è importante: non affrontarlo è come (faccio un esempio strano) conquistare una bella donna senza averla desiderata, amata, corteggiata… e ogni cosa che ne segue.

E ho detto tutto! Come dice Peppino.

Ciao, Max :)
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Ciao, Antonio.
Un racconto corposo e scritto in maniera impeccabile. Il registro è colloquiale, il narratore segue la protagonista passo dopo passo, ma ogni tanto si ferma per illuminare la scena con qualche squarcio sui genitori di Amalia, sullo Sciantoso, con qualche riflessione di carattere più generale. La sintassi del tuo italiano è quella corrotta dal dialetto (preferisco il termine lingua), o viceversa. Da siciliano comprendo perfettamente l'intento di Antonio e non ho problemi nel mettere a fuoco il significato di ogni frase, la sua costruzione. Devo dire che il registro linguistico, anzi il linguaggio che adoperi per descrivere la tua gente, è la parte più vera e meglio riuscita del racconto. Anche quel lirismo un po' barocco che alle volte viene fuori come acqua che sgorga dalla nuda roccia lo comprendo bene perché fa parte anche del mio retaggio culturale e del mio modo di scrivere. E comunque è un segno distintivo del proprio modo di scrivere. Non tutti siamo capaci, o lo vogliamo, d'essere asciutti e sintetici.
Il racconto presenta dei topoi piuttosto adoperati. La madre di Amalia è la classica mamma chioccia che fa di tutto per proteggere la figlia e a diciassette anni le chiede se le piacciono i maschietti, come se di anni ne avesse dieci la cocca, o meno. Il padre è l'uomo di casa, che stabilisce regole e impone la sua volontà perché è lui a portare il pane a casa. Lo Sciantoso è il classico viscido capace pure di rischiare venti anni di galera per farsi la ragazzina, accecato dalle proprie pulsioni. Ciro è anch'esso un corrotto o quanto meno un debole, non certo una figura positiva. Tutti gli adulti che circondano Amalia sono in definitiva personaggi negativi.
Detto questo credo che però il tema portante del racconto sia l'evoluzione di Malijé, la piccola di casa, un po' svogliata, viziata, apatica, indifferente e ripetente, strafottente, da ragazzina a donna. Il racconto è quello di una metamorfosi che da Malijè ci porta ad Amalia. La ragazza diventa improvvisamente adulta e sfida lo Sciantoso in pubblico e nel suo stesso campo. Il sarcasmo, la cattiveria, la sfrontatezza. Tanto che a vederla, senza capelli e sfregiata questo si mette paura. L'adulta Amalia capisce che non si può fidare e soprattutto non può delegare la propria difesa ad altri. La vecchia Malijé stava chiusa in casa, si nascondeva, alla fine quella Malijé avrebbe confessato a Mammà e tutto sarebbe finito malissimo in Tribunale o al Campo Santo. Amalia invece decide da sola, cresce e sfida lo Sciantoso, che probabilmente batterà in ritirata. A lui piacciono le ragazzine manipolabili, non le donne adulte colla cazzimma.
Quello che forse manca è il perché. Perché questa mutazione in un senso piuttosto che in un altro? In questo senso ti limiti a mostrare il cambiamento, non a farcelo capire a descrivercene i passaggi. Parlo dei motivi profondi, che pure la piccola Malijé/Amalia doveva possedere dentro di sé.
Dunque è un ottimo racconto, leggibilissimo, ambizioso ma non velleitario.
A rileggerti
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