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voce:
(nessuna voce opzionale)
«Ma come ti è venuto in mente, fratello Thomas? Hai attirato su di te un intero stormo di corvi!»
«E non l'hai nemmeno ucciso, combatto con quelle bestiacce tutti i giorni per darvi da mangiare e tu…»
«Reverendo padre» il Maestro troncò subito l'intromissione del burbero padre Séverin «Ci sto già pensando io».
Quello se ne andò mugugnando qualche parola incomprensibile.
«Padre Maestro, non potevo mica lasciarlo lì! È poco più di un pulcino, ha ancora gli angoletti rossi vicino al becco! Però ha già tutte le piume nere, ormai dovrebbero dargli da mangiare… Ma niente! E allora ho pensato che non si fossero accorti, e dovevo farglielo vedere, per quello l'ho portato in cima alla collinetta. Quando sono arrivati tutti quei corvi ero contento, ero sicuro che se lo sarebbero portato a casa, ma hanno fatto solo un gran baccano. Forse è perché avevano paura di me?»
Il Maestro stava facendo fatica a trattenere il sorriso: era davvero buffo l'entusiasmo di quel bimbetto. I suoi occhi dicevano che era segretamente contento che il piccolo corvo fosse ancora là, dove poteva tornare a coccolarlo.
«Tu in effetti sei ancora tutto bianco, non meriti le attenzioni dei corvi».
«Già. Sono amici solo dei veri monaci, che sono neri come loro. Ma ho pensato che almeno posso essere amico dei corvi abbandonati, perché anche io…» gli occhi verdi si spensero all'improvviso, mentre la testa del bimbo sprofondava tra le spalle irrigidite «Qui nessuno si veste di nero, nemmeno voi reverendi padri. Quindi non vale».
«Fratello Thomas, cerca di non scatenare più quella baraonda. Noi reverendi padri siamo veri monaci e in effetti abbiamo bisogno che i corvi rispettino il nostro silenzio perché possiamo ricevere il vero cibo spirituale… Ed è difficile per loro se qualche ragazzino troppo curioso continua a tormentarli».
«Io non ho tormentato nessuno! Quel povero pulcino morirà di fame…»
«Solo se continui a stare appostato vicino a lui come un gatto annoiato. Gli animali sanno quello che fanno, lasciali in pace e vedrai che il pulcino vivrà la vita che deve vivere».
«Se non faccio più allarmare lo stormo, posso continuare a guardarlo?»
Il maestro sbuffò, si alzò, si voltò verso la porta che dal refettorio portava al cortile e sorrise senza che Thomas potesse accorgersene.
«Non far capire a padre Séverin che allevi la progenie dei suoi nemici e non disturbare le preghiere del coro. Per il resto sei libero».
«Ma… padre Maestro!» anche Thomas si era alzato dal suo sgabello, e si era avvicinato a lui con uno sguardo alto che non si addiceva per nulla all'abito da piccolo monaco che indossava.
«Che altro c'è?»
«No, non c'è niente, è solo che…» lo sguardo gli ricadde subito sui piedi del Maestro «I corvi sono importanti, se no non ci raccontavate sempre quella storia del pulcino che deve liberarsi dalle piumette bianche dell'orgoglio per poter essere sfamato…»
«Mi puoi guardare, Thomas. Che vuoi dirmi?»
«Non capisco perché padre Séverin può dire tante cattiverie sui corvi, e il cattivo sarei io».
Questa volta il Maestro non riuscì a trattenere una risata, ma rimediò abbracciando forte la testa del fanciullo e scombinandogli tutta la capigliatura.
«Non capisci… Perché ancora hai tante piumette bianche che ti devi lasciar staccare via. Ma cattivo non è nessuno di voi due».
* * *
Era quasi il tramonto, e Thomas era ormai sicuro che nessun corvo avrebbe nutrito il suo pulcino.
Era infatti rimasto ad osservarlo da dietro la roverella solitaria per dei lunghissimi minuti e, ogni volta che il piccolo aveva timidamente gracchiato, i grandi si erano limitati a disegnare un lungo ovale nel cielo, per poi tornarsene sui grandi alberi dove la colonia nascondeva i suoi nidi.
Padre Johannes gli aveva detto che se aveva già provato a lasciare del cibo al corvo, e questo non aveva mangiato, significava che era malato e non c'era nulla da fare: presto qualche predatore sarebbe arrivato a porre fine alle sue sofferenze. Probabilmente durante la notte. Eppure il polletto sembrava arzillo: non volava, è vero, ma prima che riuscisse a prenderlo per portarlo sulla collinetta gli era sfuggito molte volte con quei buffi saltelli! Se i genitori non lo volevano più, non rimaneva che una soluzione: doveva insegnargli lui a volare. Se fosse stato capace di volare, di certo sarebbe sopravvissuto. Doveva almeno provarci.
Si fece avanti quindi, e vedendolo il piccolo corvo gracchiò. Thomas si immobilizzò temendo che lo stormo sarebbe tornato, avvertendo il Maestro che di certo l'avrebbe trascinato fino al dormitorio tirandolo per le orecchie, per poi costringerlo a stare chiuso là dentro per una settimana. Ma soltanto un corvo rispose alla chiamata, gracchiò a sua volta e poi scomparve tra gli alberi.
Forse si erano arresi? O era soltanto troppo buio per loro?
«Piccolo, non devi avere paura di me. Non vedi che sono l'unico a cui importa qualcosa di quello che ti succede?»
Si avventò su di lui, ma inciampò sulla tunica e quello lo schivò con un semplice balzello, per poi gracchiargli in faccia in segno di sfida. A Thomas venne da ridere.
«E tu saresti malato? Sei più agile di me!»
Si divertì per un po' a lasciarlo saltellare davanti a sé, mentre lo inseguiva a passi svelti: la realtà è che ogni volta che provava a chinarsi quello riusciva ad approfittarne per sgusciare via, quindi era necessario metterlo all'angolo, e precisamente contro la quercia, dove le radici della pianta avrebbero reso più difficili le manovre dell'animale.
E in effetti ci fu un momento in cui il piccolo corvo sembrò perplesso, come se non sapesse decidersi se aggirare l'albero a destra o a sinistra, e Thomas ne approfittò per agguantarlo con le due mani.
«Ecco, ahah! Ti ho preso di nuovo! Ma adesso devi smettere di aver paura e dare retta a me, io non voglio farti del male, guarda!»
Per dimostrare le sue buone intenzioni si limitò a sostenerlo sull'addome, lasciandogli le ali libere. Che bello era veder finalmente le due ali spiegate, e così vigorose! L'uccello subito ne approfittò per gettarsi a terra, ma nel farlo provò a farsi forza con le ali.
«Ci sei quasi! Adesso dobbiamo provarci di nuovo!»
Questa volta l'animale non oppose molta resistenza: si fece raccogliere e sollevare. E subito si gettò a terra di nuovo, e a Thomas parve che avesse sbattuto le ali più di prima.
«Sì, sì, così! Vedi che ce la fai? Altro che malato, presto potrai volare fino alla luna!»
Lo raccolse di nuovo, e questa volta le zampe del corvetto gli si avvinghiarono salde sulle dita.
«Oh, ti piace?! Vuoi stare un po' così, ti piace perché ho le mani calde?»
Non riuscì a resistere alla tentazione di accarezzargli la gola, e il becco, e la testa. E pure il dorso tra le ali. Non pensava che le penne dei corvi fossero soffici, e che potessero essere così docili. Neppure una volta aveva provato a beccargli le dita, e anche gli artigli erano molto delicati. Forse perché era ancora poco più che un pulcino? O forse perché erano amici?
Camminò per un po' qua e là, sorreggendo l'uccello tra le due mani a coppa, finché questo non decise di provare un altro volo… Che finì inesorabilmente a terra.
«Dai, forza, ce la puoi fare! Un ultimo sforzo prima che si faccia buio!»
Proprio mentre diceva queste parole, sentì la campana del vespro. Era ancora piccolo, e i monaci non pretendevano che facesse proprio tutte le preghiere, ma per la cena doveva essere puntuale. Raccolse allora di nuovo l'uccello, sperando che potesse farcela con un ultimo tentativo: questo si voltò verso di lui prima ancora che potesse prenderlo e, sollevato, dalla mano gli saltò subito sulla spalla.
«Oh, guarda che non posso mica portarti in dormitorio! Lo so che vorresti restare con me, ma…»
Il polletto scivolò e rovinò alle sue spalle in maniera scomposta. Thomas si sentì mancare il fiato: il corvo non si era ancora rimesso in piedi. Che si fosse rotto una zampa? O un'ala? Non era colpa sua, era stato lui a volergli saltare sulla spalla!
Lo raddrizzò, e subito l'animale riprese a passeggiare, con suo grande sollievo. Doveva essere stata una giornata lunga per lui, tutto quel tempo lontano dal nido, a saltellare qua e là, per non parlare delle prove di volo! Era ora di andare a dormire.
«Piccoletto, tu resta qua, tra le radici della quercia. Io domani mattina tornerò, e finalmente ti insegnerò a volare, basta che non ti fai mangiare durante la notte. Qui siamo dentro il recinto del monastero, quindi tanti animali non dovrebbero passarci… Ma non ti allontanare, intesi?»
Il corvo non rispose.
Lui lo spinse verso il lato dell'albero più riparato dalla conformazione delle radici e dagli arbusti che ci crescevano intorno. Da lontano il corvo non si vedeva, quindi doveva andar bene. Ora bisognava andare a mangiare e a dormire, e forse domani…
* * *
Thomas non era riuscito ad aspettare domani. Voleva essere sicuro che il suo piccolo amico stesse bene, e che nessuna bestiaccia se lo fosse mangiato. Anche se era nella natura delle cose che gli animali si mangiassero l'un l'altro, ormai voleva bene a quel piccolo corvo. E poi c'era la luna piena, si vedeva tutto bene anche di notte. Nessuno si sarebbe accorto se si fosse allontanato solo per qualche minuto.
E con sua grande gioia lo ritrovò proprio lì dove l'aveva lasciato. Braccia e petto gli si strinsero in uno strano pizzicore, nel vederlo appallottolato con la testa nascosta sotto l'ala. Era così tenero e soffice, e fragile… Rimase a vegliarlo per una buona mezz'ora, incantato per la meraviglia davanti al suo cucciolo addormentato.
«Fratello Thomas, hai deciso di farmi arrabbiare?»
«Oh, m… Maestro, no…»
«Che stai facendo qui?»
«Volevo solo essere sicuro che non ci fosse nessun pericolo…»
«Sei tu il suo pericolo, fratello. Vai subito a dormire se non vuoi che ti metta in punizione fino a quando non potrai trovare in giro i figli di quest'animale».
«No, ti prego. Domani devo…»
«Allora muoviti! È tardi, vedi qualcun altro in giro a fare la guardia ai corvi?»
«Sì reverendo padre, ubbidisco…»
* * *
Alla preghiera del mattino, Thomas non riuscì a concentrarsi. Avrebbe voluto andare a vedere il suo corvo prima della preghiera, ma la stanchezza gli aveva impedito di alzarsi in tempo, e adesso i salmi cantati sembravano più lunghi del solito… Ma di certo il Signore poteva capire, lui sa cosa c'è nel cuore degli uomini, e dei bambini. È un po' come il Maestro, il Signore: si starà facendo una risata di nascosto, e non se la prenderà con il povero pulcino per le sue distrazioni.
Libero dal coro, corse subito a riempire una bacinella d'acqua: sulla collinetta non ce n'era, e la primavera si era già fatta così calda…
Gli si illuminarono gli occhi quando lo vide già da lontano che passeggiava all'ombra della quercia: aveva superato la notte! Non era destinato ad essere sbranato, avrebbero avuto un giorno intero per esercitarsi nel volo!
Quando lo raggiunse, l'animale non corse via, e questo un po' dispiacque a Thomas. Avrebbe voluto vederlo correre, e invece sembrava fin troppo tranquillo, che fosse ancora addormentato? Gli posò la bacinella di fianco, ma quello non diede segno di considerarla. Proprio come il giorno prima, che non aveva nemmeno guardato le molliche di pane che gli aveva lanciato vicino. Ma ora erano amici! Era impossibile che ancora non si fidasse.
«Sei pronto? Facciamo qualche altra prova di volo!»
Lo prese in mano, ma prima di lanciarlo lo guardò per bene. Aveva proprio un becco fiero, ed erano molto curiose le sue palpebre, una sorta di velluto bluastro che copriva e scopriva gli occhietti scorrendo in orizzontale. L'animale sembrava starsene comodo, quasi disteso sulla sua mano, con le ali mezze distese verso il basso e la testa protesa in avanti. Forse non aveva tanta voglia di provare a volare. Che l'avesse fatto stancare troppo il giorno prima?
«Uffa, fa già caldo… Non ti fa male stare al sole, vestito così di nero? Forse dovresti riposare un po' all'ombra».
Diede uno scossone con il braccio, e quello si decise a lanciarsi, ma questa volta non sbatté più di tanto le ali. Sembrava proprio stanco, che avesse dormito male?
«Ma tu hai fame!»
Il polletto aveva infatti spalancato la bocca, e sembrava aspettare che qualcosa ci cadesse dentro per magia: che fosse così che si faceva sfamare dalla mamma? Ma dov'era la mamma? Perché non venivano a controllare che stesse bene?
«Aspettami qui, ci penso io. Spero solo che padre Séverin abbia da fare lontano dal pollaio…»
Corse al capanno e fu sollevato nel trovarlo vuoto: senza cerimonie prese un pugno di becchime e sgattaiolò via di nuovo. Il suo amico era ancora lì, nella stessa posizione.
«Ecco, ecco. Prendi qualche semino».
Gli fece cadere qualche piccolo seme in bocca. Qualcuno si fermò sulla linguetta rossa, altri scesero giù nella larga gola. Ma era strano: l'uccello aveva chiuso il becco solo per un attimo, ma poi era tornato nella stessa posizione senza nemmeno inghiottire, e vari pezzetti d mangime gli rimanevano attaccati sulla lingua e sul palato. Qualcosa non andava, forse perché non si decideva a bere qualcosa? Come si fa a non bere in giornate così calde?
Aveva una soluzione anche per quello. Si avvicinò la bacinella che aveva portato prima e ci immerse le dita, poi le sollevò sopra l'uccellino e gli bagnò il becco e la testa. Si aspettava che alzasse il capo per bere, ma niente. Allora bagnò di nuovo le dita e le avvicinò al becco aperto. Non aveva paura che gliele pizzicasse, non sembrava infastidito. Gli fece colare diversi goccioni d'acqua in bocca, ma l'animale non sembrò reagire.
«Piccolo, che stai facendo? Avanti, devi bere, devi mangiare…»
Ma l'animale rimaneva immobile, con quei pezzetti di cibo ancora fermi nel becco. La lingua stava perdendo il suo colore acceso. Forse sta male davvero, forse non aveva fame.
«Ti porto in un posto più riparato dal sole e da tutto il resto, poi magari chiamo qualcuno che può capire cos'hai».
Lo strinse tra le mani, questa volta tenendogli chiuse le ali, voleva affrettarsi e risolvere subito il problema. Ma il corvo era sempre più strano, ora stava abbassando lentamente la testa verso il basso, come se stesse per addormentarsi.
«Oh no, piccolino che hai?»
Lo posò a terra, ma quello si accasciò su un fianco. Forse, forse il cibo che aveva in bocca gli stava impedendo di respirare. Thomas prese un bastoncino e cercò di liberargli la lingua dai semini rimasti nel becco. Ma l'animale ebbe un brivido, ritrasse e allungò le zampe per un istante. Poi smise di lottare.
…
…
…
Anche Thomas aveva smesso di respirare, e quando si accorse di aver bisogno d'aria singhiozzò e si bagnò tutta la faccia di lacrime.
Aveva sbagliato tutto.
Forse doveva chiedere a padre Séverin cos'era successo, lui se ne intendeva di animali. Ma di certo si sarebbe preso una tirata di orecchi. Di certo gli avrebbe detto che era tutta colpa sua, che l'aveva ucciso lui, soffocandolo con il cibo e l'acqua. E che l'aveva avvertito di lasciarlo stare dov'era.
Forse sarebbe stato meglio, se padre Séverin l'avesse ucciso per vendicarsi dei corvi che gli rubavano le uova. Ma padre Séverin non l'avrebbe mai fatto davvero, mentre lui ora l'aveva ucciso. L'aveva ucciso perché gli voleva bene. Perché voleva aiutarlo, ma non sapeva niente.
Ora sapeva tante cose, ma a quale prezzo?
«Io non volevo farti soffocare… Volevo solo che tu mangiassi, che stessi bene… Io volevo che tu imparassi a volare, e poi saremmo stati amici…»
Disse queste cose con un filo di voce, poi venne del tutto sopraffatto dal dolore, che gli chiuse lo stomaco e la gola. La gioia del giorno prima se n'era andata per sempre, e ora i ricordi dei suoi giochi erano diventati quelli di una grande arroganza malvagia. Era più cattivo dei genitori che l'avevano abbandonato, perché l'aveva fatto affezionare a lui per poi ammazzarlo. Era più cattivo di sua madre, che l'aveva abbandonato. Almeno lui non era finito nelle mani di un bimbetto stupido che lo avrebbe soffocato per fare l'eroe. E adesso non poteva fare più niente.
Molto tempo dopo stava ancora lì, seduto sui polpacci, tutto bagnato di sudore e di lacrime, lo sguardo fisso sull'animale esanime. Una mano gli toccò una spalla.
«Vattene via! Non lo toccare!» gridò, e per poco non si strozzò nel muco che intanto gli aveva riempito la gola.
«Fratellino, nessuno ti porterà via il tuo amico».
Era la voce ruvida di padre Séverin, che Thomas non aveva mai sentito così delicato e dolce.
«Voglio stare da solo. Voglio stare qui da solo a guardarlo finché non muoio».
«Non dire sciocchezze, Thomas. Purtroppo la vita è così, si nasce e si muore. Tu gli hai voluto bene, e questo ti fa onore».
«No! Non mi fa onore per niente!» strillò «Io l'ho ucciso, padre Séverin! Io gli ho messo in bocca il becchime e l'acqua, e poi è soffocato! Chi vuole bene a qualcuno non lo uccide, io sono solo un assassino e un traditore…»
«Sapevi che facendo così lo avresti ucciso?»
«No… Non lo sapevo… Adesso lo so e vorrei solo nascondermi sotto terra e non esistere più».
«Questo succede quando si vogliono mangiare i frutti acerbi dell'albero della conoscenza… Ma bisogna rialzarsi, coprirsi le vergogne con gli abiti che il Signore ha preparato per noi e impegnarci per diventare più saggi e più buoni. Tu hai solo bisogno di diventare più saggio».
Thomas si voltò verso di lui un momento, poi si mise il cappuccio e si rannicchiò tutto, come se avesse freddo.
«Padre Séverin… Sei contento adesso? C'è un corvo in meno…»
«Contento? Di vedere il tuo bel faccino ridotto così? No, Thomas, mi dispiace tanto per te…»
«Io sono ancora vivo, non dovrebbe dispiacerti per me».
«Quel corvo non può più soffrire… Sono troppo vecchio per piangere per un animale, ma ricordo bene come ci si sente».
«Alcuni dicono che gli animali hanno solo questa vita, ma se è così… Padre Séverin, io gli ho tolto l'unica vita che aveva… Invece che fargli del bene come volevo, io… Io sono peggiore delle bestie che avrebbero potuto mangiarlo… Voi avevate cercato di farmi capire che la mia curiosità era sbagliata, ma ho voluto fare di testa mia e… L'ho ucciso… Ho ucciso il mio amico…»
«Pensi che dimenticherai il tuo amico, Thomas?»
«No, finché campo… Non lo dimenticherò mai. Non dimenticherò mai cosa gli ho fatto».
«E pensi allora che il Signore possa dimenticare la sua bellezza? E la bellezza di voi due che giocavate insieme ieri sera?»
«Tu… Ci stavi guardando? Perché?»
«Perché era molto bello».
«Ma guarda com'è finita… Io non avrei dovuto fare niente, avrei dovuto dare retta a te. Forse i suoi genitori volevano nutrirlo, ma io li ho tenuti lontani. Non è stato bello per niente».
«Diciamo una preghiera per il tuo amico?»
«Ma dicono che non si può! Non ha un'anima immortale…»
«Sì, può darsi. Ma se tu ricordi, il Signore ricorda di più. Tu ricorderai sempre il dolore, ma il Signore ricorda la bellezza del fiorellino che ora c'è e domani non ci sarà più».
«Requiem aeterna dona ei domine, et lux perpetua luceat ei. Requiescat in pace.»
Thomas si sentì ardere tutto il corpo, si scrollò di dosso le mani di padre Séverin che gli facevano caldo e raccolse il corpo del polletto, stringendoselo poi al petto.
«Non doveva andare così!» singhiozzò, e poi salì correndo sulla collinetta e si mise a urlare «Guardate cos'è successo! Guardate, stupidi animali! È stata colpa mia, ma anche vostra! Voi l'avete abbandonato, e io non sapevo cosa dovevo fare! C'è uno di voi almeno che soffre come me? C'è uno di voi che piange?» Ma dai grandi alberi non si sentì nemmeno un corvo gracchiare.
Stremato, si lasciò cadere seduto a terra, e pianse a lungo coccolando il cadavere che si faceva via via più rigido.
«Fratello Thomas, di questo passo ti farai del male» la voce del maestro, che nel frattempo l'aveva raggiunto, lo fece sussultare «Ora andrai a bere un po' d'acqua, a lavarti la faccia e intanto io e padre Séverin scaveremo una buca per seppellire quest'animale, lo saluterai e tornerai alla tua vita di sempre. Ormai non c'è più niente che tu possa fare per lui».
«No, reverendo padre… Tu mi devi dare una grande penitenza».
«Mi sembra che tu ne abbia già fatta abbastanza per oggi».
«Ma non potrò mai dargli quello che gli ho tolto… E se anche Dio si ricordasse, e se lo ricreasse in Paradiso… Io sarò in debito con lui e con la sua famiglia».
«Thomas… È solo un animale, non fare troppe tragedie».
«E io sono solo un figlio di puttana, e allora?»
«Thomas!» il ruggito del Maestro lo fece rabbrividire.
«Mi punirete adesso? O devo dirlo di nuovo?»
«Fratello Thomas, mi stai facendo arrabbiare».
«È proprio quello che voglio! Puniscimi! Devo fare una penitenza!» E si buttò con la faccia a terra, sempre accoccolato al corpo del pulcino.
«Padre Séverin, scava tu questa buca, fate quello che dovete e stagli vicino finché non si calma».
«Perché non posso fare penitenza?» il fanciullo si alzò in piedi e lo guardò torvo, con la sua faccia stanca e sporca «Voi dite sempre che la penitenza è molto importante per i cristiani!»
«Sei ancora tutto coperto delle tue piumette bianche, e per liberartene dovrai imparare ad ubbidire e a pazientare. Thomas… Mi dispiace che tu stia così male, credimi. Ma non tutto si può aggiustare, e nessuna penitenza restituirà la vita a quell'animale. È un piccolo dolore questo, e tutto ciò che devi fare è conviverci».
«Piccolo? E quelli grandi come sono?» singhiozzò il ragazzino, e tornò a lacrimare come una fontanella.
«Nei prossimi giorni passa un po' di tempo con padre Séverin, e lui potrà insegnarti molte cose. Ora preferisci che stia anche io qui mentre saluti il tuo amico, o vuoi che aspetti di là che torni a giocare non appena avrai finito?»
Thomas abbassò per l'ennesima volta il capo. Quelle belle ali nere non avrebbero mai volato.
«Restate tutti e due con me, io sono troppo cattivo».
«Sei inesperto, non sei cattivo. Ti prometto che molto presto il tuo amico potrà essere orgoglioso dell'uomo che diventerai, hai solo bisogno di pazienza. Su, padre Séverin, vacci a prendere la pala…»
* * *
«Canta con me, Thomas: Cantate al Signore un canto di grazie, intonate sulla cetra inni al nostro Dio. Egli provvede il cibo al bestiame, ai piccoli del corvo che gridano a lui.»
Thomas scosse la testa e la nascose nell'abbraccio di padre Séverin. Intanto il Maestro stava con delicatezza coprendo di terra il corpo dell'animale che il fanciullo aveva appena adagiato tremante nella fossa, e sussurrava il passo di Giobbe: «O terra, non coprire il mio sangue né un luogo segreto trattenga il mio grido! Ecco, fin d'ora il mio testimone è nei cieli, il mio difensore è lassù».
Al ché Thomas trovò finalmente il coraggio:
«O Signore, che stai nei cieli e vedi tutto dall'alto… Grazie per averlo creato, per avermelo fatto conoscere… Ti prego, ricordati che l'hai fatto per i cieli, hai fatto le sue ali perché potessero volare».
«E hai fatto gli occhi di questo bambino perché guardasse in alto, Signore» chiosò il Maestro «Attira sempre il suo sguardo, perché gli abissi della morte non lo vincano».
In cielo tre corvi frullavano le ali. Uno gracchiò, ma Thomas non riuscì a capire se fosse contento o arrabbiato. Pensò però che non avevano dimenticato il loro piccolo. Nemmeno lui l'avrebbe mai fatto.
Ultima modifica di Ishramit il 21/06/2025, 15:34, modificato 1 volta in totale.
Buongiorno.
Dal punto di vista formale non vedo problematiche. A prima lettura vedo solo tre asterischi al posto del nome di uno dei frati, per il resto non mi sono parsi errori.
I dialoghi sono ben strutturati, dando forza e carattere al racconto. I personaggi sono delineati in maniera corretta e sfaccettata. La fotografia che ne esce è assai realistica.
il messaggio di fondo è chiaro, un insegnamento di vita dipinto con bravura. Un viaggio spirituale in un episodio emozionale. Un racconto di formazione.
Nonostante la vena malinconica, il risultato è pregevole.
Nota: invece di usare "polletto", che definisce sì un subadulto non ancora strutturato, ma relativo ad una specie ben determinata, sarebbe più opportuno adoperare un termine più tecnico come "pullo", che indica un piccolo da nido di una qualsiasi specie aviaria.
Ops pensavo di aver messo il nome Séverin in tutti i punti in cui mancava ma una volta mi era sfuggito, ora ho risolto.
Riguardo al termine, alla fine ho deciso di mettere "polletto" al posto di "pullo" proprio perché il secondo è un termine tecnico, che credo non si abbini bene al tono e al registro del racconto, perciò gli ho preferito il primo nonostante anche quello non sia ottimale... Magari può esserci un terzo termine più adatto?
Grazie per il bel commento!
Ishramit ha scritto: 21/06/2025, 15:37
"polletto" al posto di "pullo" proprio perché il secondo è un termine tecnico,
In realtà pullo è una forma meno tecnica di quel che sembra: etimologicamente deriva da pullum, il cui significato dovrebbe essere "animale giovane". Sarebbe più tecnico il termine nidiaceo. Personalmente, se volessi usare un termine più comune e gergale, adotterei "pulcino", che comunque, sebbene anche questo riservato ad una specie, indica un nidiaceo. Polletto, a parer mio è fuorviante, indicando comunque un subadulto che, teoricamente, dovrebbe essere in grado di svolazzare, ma non ancora di riprodursi, avendo il piumaggio già formato (muta delle penne conclusa, remiganti comprese), ma non presentando ancora i caratteri sessuali atti all'accoppiamento.
Comunque non ti cruciare, sono saghe mentali mie.
Ciao.
Accudire un piccolo animale, una bestiolina; nutrirlo, curarlo… per vederlo morire. Un piccolo dramma vissuto non da un bambino, come ci si aspetterebbe, ma da un frate, giovane si suppone. Con tutte le implicazioni, psicologiche e teologiche che questo comporta. Mi sembra sottinteso (o forse leggo tropo tra le righe) la necessità, per chi è votato alla vita spirituale, di un affetto materiale, fisico, rappresentato anche solo da un uccellino, e il dolore per la perdita. L'uomo non vivrà di solo pane, ma neppure solo di preghiere!
Bello, originale: forse un po' troppo lungo, visto il tema trattato.
il racconto ha l'atmosfera di una favola, che ricorda molto "La lapide del Profeta" (letto nella scorsa gara), sia per i personaggi che per l'ambientazione. La prosa è letteraria e curata, dimostrando una buona/solida padronanza della scrittura e della costruzione della trama: essenzialmente dialogica, ma arricchita da ottime descrizioni non troppo superflue. È evidente come Tohmas si identifichi, per affinità di destino, con il pulcino (o polletto), desiderando creare una specie di "simbiosi affettiva", prendendosene cura, nutrendolo e sperando di salvarlo da una fine crudele. Il tentativo fallisce, però, e il piccolo uccello subisce una sorte diversa. La storia parla di solitudine, comprensione, compassione e rispetto per la natura e ogni vita. Un messaggio che stride fortemente con la realtà odierna, dove in terre vicine ci sono persone uccise da altre persone, come mosche, ma anche in rapporto/raffronto con la competitività della società occidentale moderna: e proprio questo stridore, credo, ne costituisce la sua forza. La narrazione può risultare un po' lenta: non un difetto, ma una caratteristica tipica dei racconti a prevalenza dialogica.
Tante belle cose, Ishramit,
Antonio
Voto: 4/5 (perché 4, 5 non c'è.)
Motivo il voto: "favola" bella (che ieri m'illuse, che oggi t'illude) ben costruita e con una prosa più che pregevole, ma temi percepiti come poco attuali (quasi arcaici) per un mondo moderno così duro. Adatta a chi vuole ancora guardare il mondo con occhi da bambino, per la tenerezza e i valori che trasporta, piuttosto che a un quasi 32enne come me.
P.S. In particolare, la parte della "sepoltura" del piccolo corvo è un po' lenta. Ma per il resto, è un ottimo racconto. Bravo! Se fosse stato meno lungo, perché, sempre verso la fine, appare quasi "ossessiva" la morte del corvo, avrebbe meritato 5. Ma è un giudizio soggettivo il mio, e prendilo per quello che vale.
Un racconto di formazione stilisticamente pregevole ambientato nello stesso "universo narrativo" della gara precedente. Lontanissimo dal mondo odierno, artificiale e iperconnesso ma distante dalla Natura e dai suoi ritmi, e che proprio per questo risulta affascinante, sospeso tra favola e realtà. Concordo sulla eccessiva lunghezza nella parte finale, ma in questo caso lo lascio al giudizio dell'Autore.
Saluti
Evocativo e delicato, con un’atmosfera sospesa tra realtà e fiaba. Il legame tra Thomas e il corvetto è descritto con grande sensibilità, e il gesto di prendersi cura dell’animale ferito richiama temi come la compassione, il silenzio e la forza gentile dell’infanzia. L’ultima scena del corvo adulto che osserva dall’alto aggiunge un tocco di mistero e profondità simbolica, quasi come se ci fosse un ordine superiore che veglia o aspetta.
Lo stile è fluido e visivo: le descrizioni sono semplici ma suggestive, capaci di restituire l’intimità del momento. L’uso del tempo presente misto al passato contribuisce a creare un senso di vicinanza emotiva.
A mio parere manca solo un piccolo guizzo di originalità linguistica o una frase memorabile.
"La spina infinita" è stato scritto quasi vent'anni fa, quando svolgevo il mio servizio militare obbligatorio, la cosiddetta "naja". In origine era una raccolta di lettere, poi pian piano ho integrato il tutto cercando di dare un senso all'intera opera. Quasi tutto il racconto analizza il servizio di leva, e si chiude con una riflessione, aggiunta recentemente, che riconsidera il tema trattato da un punto di vista più realistico e maturo. Di Mario Stallone A cura di Massimo Baglione.
Nota:questo libro non proviene dai nostri concorsi ma è opera di uno o più soci fondatori dell'Associazione culturale.
Antologia visual-letteraria (Volume uno)
Collage di opere grafiche e testuali pubblicate sul portale www.BraviAutori.it
Il libro è un collage di opere grafiche e testuali pubblicate sul portale www.BraviAutori.it e selezionate tenendo conto delle recensioni ricevute, del numero di visualizzazioni e, concedetecelo, il nostro gusto personale. L'antologia non segue un determinato filone letterario e le opere sono state pubblicate volutamente in ordine casuale. A cura di Massimo Baglione.
Trentun paia di gambe hanno pedalato con la loro fantasia per guidarci nel puro piacere di sedersi su una bicicletta ed essere spensierati, felici e amanti della Natura. A cura di Massimo Baglione. Copertina e logo di Diego Capani.
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