Intervista ad Alessandra Magnapane

Area dedicata alle interviste con gli autori che sono diventati famosi o che hanno capito come uscire dall'ombra. In questa sezione ci si potrà dare appuntamento per discuterne con loro.

Moderatore: Isabella Galeotti

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Intervista ad Alessandra Magnapane

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Eccovi una nuova interessante intervista. A raccontarsi è Alessandra Magnapane, un'autrice straordinaria che a breve incontreremo nel nostro forum.

1- Cominciamo dalle origini. Come e quando nasce la tua passione per la scrittura?
Mia madre, per farmi mangiare, mi raccontava bellissime storie che avevano per protagonisti Ulisse, Enea, i cavalieri della Tavola Rotonda. Non ha vinto la mia inappetenza, ma mi ha comunicato un’insaziabile “fame” di letteratura. E’ nata quindi prima la mia passione per la lettura.
Ho sempre avuto una certa facilità di scrittura, ma questo, di per sé, non vuol dire molto.
Vuol dire forse di più coltivare l’attitudine all’osservazione e alla meditazione su quanto ti circonda. Sono una che scruta, indaga e si pone mille domande. Gli scrittori sono spugne: assorbono dal reale. Sono interessati alla vita e alla gente: espressioni, esistenze, esperienze, tutto può essere fonte di ispirazione.
Per molti anni ho scritto in modo discontinuo, riempiendo taccuini di impressioni, brevi racconti, giochi sul suono o il significato di una parola. Niente che avrei mai osato far leggere a qualcuno.
Dopo un periodo di silenzio e di forti smottamenti interiori ho deciso di cominciare a scrivere in modo più consapevole ed organizzato.

2- La tua carriera letteraria è costellata di importanti riconoscimenti. Nel 2005 hai vinto il Premio Europa con il tuo racconto d’esordio Pollice verde. L’anno successivo il tuo primo romanzo Quattro passi con la morte (Neos edizioni) è stato premiato al concorso Delitto d’autore, lo stesso è risultato finalista anche al Premio Thriller Magazine e Mario Pannunzio. Nel 2007, con il racconto Carabinoir hai vinto i concorsi Ore contate, Orme gialle e Carabinieri in giallo aggiudicandoti una pubblicazione nella raccolta Carabinieri in giallo edita da Mondadori.
Qual è l’iter che ti ha condotto al conseguimento di così brillanti risultati? Quale il segreto del tuo successo?

Se proprio devo esibire i miei trofei, mettiamoci anche – è cosa recente – l’ultima edizione del concorso Esperienze in giallo, che ho vinto con il racconto Ci vediamo su Facebook.
Il mio interesse riguarda principalmente il poliziesco, in tutte le sue declinazioni, dal thriller al noir. E’ una palestra dura, sia per quanto attiene allo stile che ai contenuti. Quando ci si accinge a scrivere un giallo bisogna avere le idee molto chiare.
La maggioranza del tempo se ne va nel correggere, tagliare, eliminare le incongruenze, aggiustare. Propongo solo ciò di cui sono realmente convinta.
Non ho particolari segreti, se non una profonda motivazione interiore. Questo si è verificato per esempio per Carabinoir, che credo sia stato così fortunato proprio per la forte volontà di denuncia che lo anima. Una vicenda di corruzione giudiziaria, una storia vera.
Quando l’ho fatto leggere ad un amico maresciallo dei carabinieri per un parere tecnico mi ha detto: “Bello, ma non te lo pubblicheranno mai.” E invece...

3- Parliamo del tuo ultimo romanzo Il tatuatore (Montag Edizioni- 2009). Da cosa hai tratto ispirazione?
La genesi de Il tatuatore è assolutamente surreale. Considero il tattoo e, ovviamente, la fotografia, vere e proprie forme d’arte. Tuttavia non è che avessi in mente di scrivere un romanzo su questi argomenti.
Il nucleo germinale di una storia mi si presenta, all’inizio, sotto forma di immagini confuse.
In questo caso si trattava del ricordo del tatuaggio di un folletto che avevo visto in uno studio e di una figura ancora più sfocata, che avevo sognato e che continuava a riproporsi in maniera ossessiva. Poi ho visto un B-movie horror sul tema della fotografia. Nella mia testa hanno cominciato a prendere forma immagini di tatuaggi raffiguranti troll, di pallide sagome notturne, di fotografie prodigiose. Ho capito che si era messo in moto qualcosa di ineluttabile che mi avrebbe condotta su di un terreno per me inesplorato: quello del fantasy. All’inizio non ero affatto convinta.
Mi sono sforzata di allontanare quelle immagini dalla mente, ma queste diventavano giorno dopo giorno più vive, più nitide, suscitando in me strane suggestioni ed una certa inquietudine. Ho cominciato a buttare giù una bozza della storia, a vedere come le tre cose potevano stare insieme e se era possibile sviluppare una trama con un’adeguata coerenza creativa. Ho analizzato l’intuizione che avevo avuto: l’accostamento fotografie – tatuaggi. Questo, in fondo, è un libro sulle immagini, sul loro antico valore e potere.

4- Il tatuatore è un fantasy- horror ma si discosta parecchio dal filone tradizionale. Il soprannaturale si innesta nella nostra realtà, creature magiche rievocate dalle antiche leggende nordiche irrompono nella Torino dei giorni nostri, gli elementi magici si mescolano con temi di grandissima attualità. A cosa si deve la scelta di una simile commistione?
Io lo chiamo fantasy atipico, ma forse la definizione più esatta è real fantasy. Quello che è certo è che si tratta di un fantasy scritto da un’autrice di noir. Senza nulla togliere al lato propriamente fantastico della storia, che mi sono divertita e terrorizzata a creare, è evidente che la prima parte del binomio - il “real” - ha un peso specifico preponderante.
All’inizio questa commistione mi destava qualche preoccupazione, mi sembrava una storia in bilico tra due mondi, priva di una sua identità di genere. Man mano che scrivevo, però, mi sono resa conto che poteva essere un punto di forza. Mi suggeriva una maggiore imprevedibilità al momento di affrontare gli snodi della vicenda, cioè i punti di contatto, le “cerniere” grazie alle quali le due dimensioni scorrono l’una nell’altra.
Cercavo una soluzione narrativa che, pur seguendo le incursioni di creature orribili e fantastiche, consentisse di tenere lo sguardo inchiodato alla realtà ed ai suoi problemi.
Anche il fantastico non ha nel romanzo una funzione di pura evasione. Vincenzo, il protagonista, comincia ad accorgersi di ciò che lo circonda proprio perché sfiorato da un’esperienza “paranormale”. L’ “occhio” della sua macchina fotografica gli restituisce una realtà sfigurata, in cui prevalgono l’arroganza della ricchezza, quando è unita alla volgarità; il potere non come responsabilità, ma come licenza di fare in grande e senza vergogna ciò che l’individuo comune fa in piccolo e pieno di sensi di colpa; la disgregazione e la solitudine all’interno delle famiglie, che esplodono suppurando odio e follia, ansiose di compiere il tragico destino per cui si mette al mondo il proprio carnefice o si è messi al mondo dal proprio carnefice. In una parola la nostra contemporaneità, questa sì affollata di mostri.

5- I personaggi sono sicuramente uno dei punti di forza del tuo romanzo. Li descrivi con dovizia di particolari, scavi nella loro psicologia al punto che anche i più fantasiosi finiscono per apparire assolutamente credibili. Vuoi svelarci qualcosa in più sulla loro genesi? C’è un personaggio al quale sei particolarmente legata o in cui ti riconosci?
Di Oleg Gustavsson, tatuatore, ho già detto abbastanza. E’ lui l’ombra bianca nell’oscurità, l’ossimòro vivente. Il suo destino è l’anomalia e la solitudine, come è di tutte le creature imprigionate tra due dimensioni che non dovrebbero mai entrare in contatto tra loro.
Parliamo del protagonista: Vincenzo Parodi, 38 anni, fotoreporter di “nera”.
Dato il suo mestiere lo definisco con il titolo di una biografia di un celebre fotografo – Robert Capa – che è: Slighty out of focus.
Un uomo leggermente sfocato, preda di profonde inquietudini che corrodono il valore degli scopi che si prefigge. Dotato di una particolare sensibilità per il lato violento e oscuro delle cose, è uno che vede in una fotografia molto più che un’immagine. Un atto di denuncia, una testimonianza, la sua personale formula di sopravvivenza.
Nonostante il suo lavoro, nonostante l’affetto della fidanzata, nonostante gli amici – l’oste Sergino, l’amico d’infanzia Gianmaria, Davide, il giornalista con cui collabora – che arredano, rendendola più confortevole, la nicchia che si è scavato nell’esistenza, Vincenzo resta un uomo incerto, con una perenne e dolorosa sensazione di inadeguatezza, incapace di credere sul serio in qualcosa. Più per eccesso di lucidità, che per mancanza di coraggio.
E’ un personaggio a cui voglio molto bene, ma non è che mi identifichi totalmente in lui.
Ci sono almeno altri due personaggi che mi sono divertita a creare.
Uno è Delfo Astori, proprietario di un negozio di articoli fotografici zeppo di cimeli e di oggetti kitsch. E’ convinto che a Triora ci siano le streghe e di averne le prove, e non esita a far arretrare il senso critico di fronte alla possibilità di recuperare l’infantile capacità di stupirsi. E’ uno dei pochi che non abbandona il protagonista al suo destino.
L’altra è Giada. La prima volta che Vincenzo la incontra si trova a cavallo sul ramo di un albero. Giada, infatti, è un personaggio-ponte e per tutta la durata della storia si mantiene agganciata sia al piano reale che a quello fantastico.
Non si sa bene come inquadrarla: forse è solo una teenager piena di problemi che maschera con molta arroganza e sgangherati atteggiamenti da seduttrice, forse è molto di più. Una specie di guida, nel paese delle meraviglie. E degli orrori.

6- Per bocca di due esperti del mestiere, Ivan e Oleg, ci regali un interessantissimo excursus nella storia del tatuaggio. Quella di farsi tatuare, oggi, è una moda molto diffusa tra i giovani, probabilmente, però, solo pochi conoscono i significati più profondi di questa pratica antica. Tu cosa ne pensi? Qual è il tuo rapporto con l’arte del tatuaggio?
Oggi un tatuaggio si fa perché piace, sta bene. E’ un logo che certifica la qualità estetica del proprio corpo. Dall’excursus che ho inserito nel libro ci si può rendere conto che anticamente le cose erano un po’ diverse. La pratica del tatuare ha rivestito molteplici significati ma, in generale, era una faccenda molto seria. Il tatuaggio era un talismano, una sorta di “bussola” che orientava il cammino in questa vita e lo illuminava nell’ aldilà.
Con questo non sto affermando che ho scritto un libro contro la moda dei tattoo. Come ho già detto, considero il tatuare una vera e propria forma d’arte e sono ben felice che il tatuaggio sia stato sdoganato nella cosiddetta società civile e non sia più segno di stigmatizzazione sociale. Proprio perché ne sono affascinata ritengo che la moda dilagante non abbia fatto un servigio a questa pratica. I tatuaggi certo non hanno poteri magici, ma un significato sì. Difficile pensare che questo permanga quando vedo fondoschiena e polpacci targati in serie dallo stesso simbolo tribale. Quel particolare tatuaggio dovrebbe avere un significato profondo per la persona che se lo fa praticare.

7- Quanto è stata importante la documentazione per la stesura di quest’opera?
La documentazione è sempre fondamentale. E’ ciò che conferisce credibilità alla storia.
Questo è un tema in cui il noir ha molto da insegnare. Ci sono aspetti tecnici, procedure giudiziarie che, pur tenendo presente che si sta scrivendo un prodotto di libera invenzione e non un verbale di polizia, non si possono ignorare.
Anche in questo caso, tuttavia, ho svolto delle ricerche. Saccheggiare internet e Wikipedia mi è stato utilissimo, ma non sufficiente. Quando è possibile cerco di intervistare persone che si occupano direttamente di ciò che mi interessa. E’ stato così per i dettagli relativi alla tecnica fotografica e per precisare meglio alcuni aspetti psicologici riguardanti gli individui affetti da dipendenza da alcol.

8- La musica, in particolare l’heavy metal, svolge un ruolo importante in questo romanzo. I momenti salienti della storia sono sempre supportati da una colonna sonora che hai voluto pubblicare anche in appendice. I Led Zeppelin, Judas Priest, i Motorhead entrano di diritto nelle pagine de Il tatuatore e ne diventano parte integrante. Quanto è importante la musica nel tuo processo creativo? Perché l’heavy metal?
A mio giudizio la musica svolge un ruolo importante innanzitutto nella vita, ne sono a tal punto convinta che non credo di apparire drastica nell’affermare che un’esistenza accompagnata da una cattiva colonna sonora è un’esistenza sprecata.
Per quanto riguarda Il tatuatore, l’heavy metal è alla genesi stessa del romanzo. E’ una storia neo-gotica, che parla di un uomo senza tempo e dalle molte dimore, il cui soprannome - il Vichingo - rimanda ad immagini nordiche e remote.
Nell’heavy metal esiste una tradizione consolidata su queste tematiche, per cui non si è trattato di una scelta legata soltanto a determinate sonorità, ma anche ai testi delle canzoni in linea con le atmosfere evocate dal romanzo.

9- Cito da pag. 15: “I metallari sono così, si cercano e si fiutano e quando si incontrano, si riconoscono e si fanno le feste, lieti e fieri di appartenere alla stessa eletta tribù”.
Credi nel potere di aggregazione della musica? Secondo te, musica e letteratura sono canali privilegiati nel veicolare messaggi di interesse sociale?

La musica – mi riferisco al Rock in senso lato, ma anche al Rap – ha da cinquant’anni a questa parte aggregato generazioni di individui. Credo che possieda anche un valore formativo: quando un gruppo di ragazzi si incontra per ascoltare musica o per suonare in una cover band, sente di appartenere a qualcosa di più grande delle loro individualità e questo è positivo, soprattutto nell’adolescenza.
Sappiamo tutti che le rockstar non viaggiano ad acqua minerale e palline Zigulì, tuttavia credo che il potere della musica vada oltre coloro che la producono.
Jimi Hendrix non c’è più, ma io, ascoltando la sua musica, ho scoperto un modo più profondo di assaporare i miei momenti, senza per questo avere l’esigenza di drogarmi.
Lo stesso discorso può essere fatto per la letteratura.

10- Molto spesso il fantasy e la letteratura di genere in senso lato, vengono etichettati come “letteratura di serie B”, utile al solo scopo di intrattenere il lettore.
Il tatuatore può essere definito un romanzo di genere ma è ben lungi dall’essere un’opera di mero intrattenimento. Tra le sue pagine si annida un messaggio molto forte. A un certo punto Vincenzo, uno dei protagonisti, si aggira per le strade della città e comincia a fotografarne la miseria e il degrado. A pag. 360 leggiamo: Dalle sue fotografie la suburbia torinese prendeva la parola per dire: “Ehi… voi!? Voi che ogni sera vi rinchiudete nei vostri appartamenti tappezzati di tiepida ipocrisia. Voi che proteggete la vostra borghese, fragile sensibilità di persone dalle reazioni prudenti e moralistiche. Voi che siete così calibrati. Equilibrati. Corretti. Guardate qua! Guardate un po’ qua! Ci siamo anche noi! Deturpiamo il quadro? Può essere. Ma… non potrete fare a meno di guardare!”
Quale la tua opinione in merito?

E’ una questione molto dibattuta che vale anche per il giallo/noir. Dalle affermazioni di A. Savinio che negava la possibilità stessa della nascita di un filone di letteratura poliziesca di qualità in Italia, alla frase di G. Salvatores: “Oggi il noir è il genere più titolato a raccontare la realtà in cui viviamo” c’è stata un’auspicata inversione di rotta.
Il noir vanta forse una corsia preferenziale da questo punto di vista perché, proprio in quanto letteratura di genere, pone l’accento sulla marginalità sociale e morale, ma non è una sua esclusiva prerogativa.
Gli scrittori vivono nel loro tempo, non possono uscirne e, aggiungo, non devono. Hanno a volte sensibilità più raffinate, antenne più duttili per captare i cambiamenti, l’evoluzione - ma più spesso l’involuzione - della società di cui fanno parte. E questo è vero qualunque cosa scrivano, fantasy compreso. Dipende da loro. Dal credere o meno nella forza e nel potere della parola anche come atto di denuncia, che non cambierà le cose, tuttavia contribuirà almeno a far riflettere ed a scuotere gli animi. Dal canto mio ci credo molto.
Sono un essere umano anch’io, con le mie debolezze e pigrizie intellettuali, anch’io la sera mi rifugio chiudendo la porta di casa, ma non posso impedirmi di guardare. Accendo il computer e ciò che ho visto assilla la coscienza e preme per avere voce.

11- Cosa puoi dirci del tuo rapporto con il mondo dell’editoria? A tuo avviso in Italia esistono reali sbocchi e possibilità per un giovane scrittore desideroso di emergere?
Navigando nel web mi sono imbattuta in questi dati. In Italia vengono pubblicati al giorno 170 libri - libro più libro meno – per un totale di 55.000 titoli stampati all’anno. Nascono circa 70 editori al mese, ma quelli che contano sono più o meno una ventina, per lo più legati ai grandi gruppi editoriali. Considerata la propensione degli italiani alla lettura mi sembra evidente che l’offerta superi di gran lunga la domanda e che gli spazi per i giovani scrittori emergenti siano non solo scarsi, ma molto, molto affollati.
Ogni anno mi reco alla Fiera del Libro di Torino e provo sempre le stesse emozioni: all’inizio esaltazione, poi sconforto. Tutti quei metri quadri, tutti quei libri... perché qualcuno dovrebbe notare proprio il mio? Tuttavia quando - proprio in quella sede – ho avuto la possibilità di presentare Quattro passi con la morte, la sensazione è stata elettrizzante.
Resto in ogni caso dell’idea che il sogno della pubblicazione con una grande casa editrice non vada combattuto, bensì certamente ridimensionato.
Il mio rapporto con l’editoria è fatto di luci ed ombre. Ci sono buoni libri e cattivi libri nella piccola come nella grande editoria. Ci sono persone serie e meno serie.

12- Per concludere, quali sono i tuoi progetti per il futuro? Stai già lavorando a qualcosa di nuovo?
Ci sono un paio di premi letterari che sto corteggiando (il MystFest e il premio Tedeschi) e, per quanto riguarda ciò che c’è in cantiere, sto per terminare un romanzo pulp/noir di cui devo ancora decidere il destino. Su consiglio dell’editore, ho cominciato anche a lavorare ad una nuova storia che abbia come protagonista il commissario Ragusa, l’ “eroe” del mio primo romanzo. Spero di essere pronta per fine anno, ma non è detto.
Per il momento il fantasy resta per me una felice avventura, non so se proseguirò su questa strada, ma non poniamo limiti alla creatività...
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Massimo Baglione
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Re: Intervista ad Alessandra Magnapane

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Brava Alessandra, e benvenuta a bordo!
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Re: Intervista ad Alessandra Magnapane

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Complimenti ad Alessandra e Miriam!

L'intera intervista è ora visionabile anche sul Blog del myspace di braviautori (http://www.myspace.com/braviautori)
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Re: Intervista ad Alessandra Magnapane

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Grande Giacomo! :smt023
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Re: Intervista ad Alessandra Magnapane

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Eheh, è solo grazie a te che mi hai ricordato di metterla.
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Re: Intervista ad Alessandra Magnapane

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Ottimo!
Cominciate a prepararvi le domande. :-D
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Re: Intervista ad Alessandra Magnapane

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Bellissima intervista
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Re: Intervista ad Alessandra Magnapane

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io ho acceso i motori :lol:
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Re: Intervista ad Alessandra Magnapane

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giovedì vi voglio tutti nel forum :smt079 :smt080
...mazza che faccia cattiva!
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