Intervista a Sandro Orlandi
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Intervista a Sandro Orlandi
La persona, l'essere umano a tutto tondo, è sempre al centro delle sue storie, che, a volte, sono tratte dalla realtà.
Ha vinto il primo premio per la poesia e per la canzone a San Donà di Piave con i brani «Ho Sognato» e «Ciao Luna». Ha pubblicato su antologie quali «Duecento lettere d'amore» della Keltia editrice di Aosta (dicembre 1999) (Un ultima lettera, un ultimo bacio); «Prosa e Versi» della 4Elle di Genova Vol. VII (marzo 1999) (Un mondo tutto bianco); «I Porti Sepolti» della Aletti editore di Roma (giugno 2002) (Fortunata). Ha vinto il primo premio ex aequo per il concorso a tema sulla resistenza indetto dal comune di Roma (ottobre 2004) con il brano «Il Carro». Ha conseguito il primo premio con pubblicazione nella rassegna per cantautori per la Multiart Communication di Milano con il brano «Raffaella», che gli è valso anche il diploma di merito al Festival della canzone Italiana di Reggio Emilia nel novembre 2003. Sempre nel 1999 e con la 4Elle di Genova ha pubblicato il brano musicale «Un lunedì mattina». Ha pubblicato alcuni racconti sul Web. Ha pubblicato su antologia il racconto “La Cornice”. Ha pubblicato ad aprile del 2008 la raccolta di racconti «Le Api di Paulette» per la casa editrice Albatros Il Filo di Roma, ha pubblicato il romanzo “L’odore del pane” Montag edizioni Tolentino (MC) 2010.
Intervista
1- Chi è e perché scrive Sandro Orlandi?
Chi sono? Mica tanto semplice rispondere. Potrei cavarmela dicendo che sono un cinquantanovenne neopensionato, più indaffarato di prima che lavoravo in ospedale, divorziato, con una figlia, una nuova compagna che amo, in continua contrapposizione con me stesso ed in cerca di…serenità? Meglio quindi passare alla seconda domanda: perché scrivo? Perché ne ho bisogno! Ho cominciato a quarant’anni, quando una mattina presto, incantato dallo spettacolo straordinario di mia figlia che dormiva (aveva tre anni), sono sceso dal letto e di furia ho scritto una cosa. Ne è uscita la mia prima canzone. Quindi direi che la risposta è: scrivo perché devo es-primere, altrimenti sto male.
2- Sei un medico, un poeta, un cantautore e anche uno scrittore di romanzi. Esiste un minimo comune denominatore tra queste tue attività? E’ difficile coniugare il tuo lavoro con la passione per la musica e la scrittura?
Credo che quel minimo comune denominatore sia la sensibilità, che, coniugata con la creatività e la fantasia, mi permettono di fare quel che faccio. Detto così sembra semplice, ma non lo è. La consapevolezza aiuta a capire e ad essere, ma poi occorrono altre cose, come la determinazione, l’autostima etc., tutte cose da conquistare, almeno per me.
Il lavoro poteva ostacolarmi nei tempi di realizzazione, ma quando ho dentro di me una scena da scrivere, o una melodia che non mi abbandona e resiste alla routine o all’ avvilente quotidianità, devo scrivere, comporre, insomma tirarla fuori e così il tempo per fare quello che devo diventa prioritario. Lo trovo sempre. Uno sfogo molte volte. Ora poi mi posso gestire meglio.
3- Quale tra le forme artistico/letterarie da te sperimentate ti è più congeniale?
Senza dubbio la scrittura. Le canzoni sembrano poesie in musica, ma naturalmente è semplicistica come affermazione. Le mie poi sono sempre state il tentativo di scrivere quando pensavo ancora di non esserne capace. Sono contento però di aver scritto delle canzoni valide anche per la parte musicale e che alcune di queste sono state apprezzate e premiate. Purtroppo, diversamente dai racconti, le canzoni vanno anche cantate e lì ho qualche difficoltà. Penso inoltre che molto dipende dal contesto in cui viviamo e dal momento che attraversiamo. Anni fa pensavo in musica, ora preferisco farlo scrivendo.
4- Hai esordito nel mondo letterario con la raccolta di racconti “Le api di Paulette”. Vuoi raccontarci qualcosa a proposito di questo libro? Chi è Paulette?
Questa sì che è una bella domanda! Chi è Paulette? Potrebbe essere semplicemente il personaggio di un mio racconto. In realtà, forse, come tu acutamente mi fai capire di aver notato, potrebbe essere una piccola parte di me. Come dico spesso ognuno di noi è ha dentro di sé tante persone, a volte anche molto brutte o spietate. Il nostro io è variegato e ci dobbiamo fare continuamente i conti, senza confessarlo a nessuno però. Ma quando si scrive ci possiamo permettere il lusso di essere quello che vogliamo, senza vergognarci. I racconti non “vanno di moda” oggi, gli editori non li stampano volentieri e i lettori non li vogliono. Di conseguenza i librai li rifiutano. Oggi si legge “il romanzo”. Non sono d’accordo con tutto questo. A me i racconti brevi, a volte brevissimi, piacciono molto e trovo che non sia facile dire tutto con convinzione in poche parole. “Le api di Paulette” è la raccolta di cinque miei racconti, di cui due sono liberamente tratti da storie realmente accadute. Penso che prima o poi pubblicherò una raccolta di racconti molto più corposa, (ne ho pronti una sessantina) anche se pochi la leggeranno per i motivi di cui sopra. Peccato!
5- Tra gli altri, questa raccolta antologica ospita il racconto “Il carro” con cui hai vinto un concorso a tema sulla resistenza indetto dal comune di Roma nel 2004. Cosa significa per te questo racconto? Pensi che raccontare la guerra, oggi, possa aiutare i giovani a prenderne le distanze?
La guerra io non l’ho vissuta (per fortuna) ma, attraverso i racconti dei miei genitori e di tutti quelli che l’hanno subita, le testimonianze scritte, i giornali, i libri che ho letto, le foto e i film che ho visto, me ne sono fatto un’idea precisa, che però non mi pare collimi molto con l’idea comune di chi la guerra la guarda da lontano. Ogni guerra è diversa dall’altra e uguale all’altra. E, secondo me, non è altro che l’apoteosi dell’umana malvagità, l’annientamento di ciò che rende bella la vita ed innalza l’essere umano. Quindi “Il carro” è un racconto crudo, spietato, che colpisce allo stomaco di chi legge (come molti mi hanno detto) perché non potrebbe essere altrimenti, dato l’argomento trattato. Nella guerra non ci possono essere moralismi né edulcorazioni.
Non credo che i giovani di oggi siano molto interessati alle guerre passate, anche perché sono troppo lontane da loro. Non li vedo particolarmente predisposti alla riflessione e all’elaborazione. Più che altro alla ricerca su internet, ammesso che vi sia l’interesse per farlo. E poi una guerra mondiale, al giorno d’oggi, credo che sarebbe diversa da allora nel metodo, rapida e terribile, l’annichilimento definitivo dell’umanità, e non parlo di catastrofe nucleare ma di altro alla guerra connesso.
6- L’odore del pane è un giallo storico in cui fantasia e realtà si intrecciano imbastendo una trama davvero avvincente. Come è nata l’idea? Perché hai scelto di ambientare un giallo proprio nell’Italia del 1800?
L’idea è nata, come dico nella prefazione del romanzo, passeggiando nei paesini di Albe e Vallier, qualche estate fa. L’atmosfera che impregna quei luoghi fa riflettere ed immaginare…sognare! All’inizio non sapevo bene cosa avrei finito per scrivere, ma sicuramente dovevo raccontare i fatti veri avvenuti, avvolgendoli di un magico furore antico, spietato ma vero nell’essenza. Il 1800 ha segnato la storia d’Italia, e non solo, con fatti importantissimi, si può dire che è stato un secolo fondamentale nella crescita dell’umanità. Ma è difficile immaginare tutto questo a 1500 metri d’altezza, davanti a quelle splendide ma temibili montagne, dove il tempo sembra essere costantemente fermo e la Natura dominare.
7- Quanto è stata importante la documentazione per la stesura di questo romanzo? E’ stato difficile coniugare fantasia e dati storici?
Beh, la difficoltà c’è stata, non posso negarlo. Documentarsi su quel che realmente accadde nella regione, ma soprattutto lì, ad Albe e Vallièr, nel 1800, quindi prima dell’unità d’Italia, quando niente rimaneva lo stesso per tre anni di seguito e tutta l’Europa di allora cambiava modo di vivere, pensare, credere, essere, è stato arduo. E poi dovevo sposare le notizie con le idee che avevo in testa sulla storia che avrei voluto narrare, usando un collante che tenesse bene tutta la trama, senza imbrogliare il lettore. Sì, sono soddisfatto del risultato, anche perché era la prima volta che mi cimentavo con qualcosa di così impegnativo.
8- Cosa puoi dirci del tuo rapporto con il mondo dell’editoria? E’ stato facile trovare un editore che ti pubblicasse?
Devo riconoscere che all’inizio ho avuto delle resistenze perché era un romanzo, per dirla nel gergo degli editori (piccoli e grandi) fuori scaffale. Ossia non era catalogabile in nessun genere, né storico, né giallo, né fantasy, né mainstream propriamente detto, insomma come dire: sì, gran bel romanzo, ma non te lo prendiamo perché non sappiamo dove metterlo e come venderlo. Parliamoci chiaro: l’editoria attualmente è in crisi, come molte altre attività, perciò, dal momento che nessuno si prende la briga di rischiare di perdere quattrini, allora lo si rifiuta. Poco importa se poi chi lo legge lo giudica bene. Ma se fossi già ricco e famoso allora il discorso cambierebbe. Per fortuna alla fine ho trovato, in una piccola casa editrice locale, due persone volenterose che i manoscritti li leggono davvero e…l’hanno pubblicato. Se non sei già affermato come scrittore nessuno rischia e scommette in te, neanche se il tuo lavoro è considerato buono. D’altra parte se non trovi chi ci crede non ti affermerai mai. E’ un mercato, un mercato e basta, solo che al posto delle patate si vendono libri. E nessuno ci vuole rimettere, a parte te!
9- Hai pubblicato anche un brano musicale con la 4Elle di Genova intitolato “Un lunedì mattina”. Cosa puoi raccontarci di questa tua esperienza? A tuo parere in Italia esistono più sbocchi per uno scrittore o per un cantautore?
Né per l’uno né per l’altro, sono costretto a rispondere. I motivi sono quelli che ho appena detto sopra. Francamente tra le case editrici e quelle discografiche non c’è molta differenza, così come tra un racconto e una canzone, con la differenza forse che una canzone è più facile rubarla, perché una melodia, anche se trascritta e depositata, si presta di più ad essere copiata e manipolata. Comunque anche quella è stata una soddisfazione, perché non ho avuto alcun appoggio né raccomandazione (sempre utile o addirittura indispensabile qui in Italia) e perché ho avuto anche altri riconoscimenti con altre canzoni in altri posti d’Italia, come Milano (dove alla veneranda età di 44 anni mi sono ritrovato a cantare dal vivo su un palco una mia canzone su base registrata), S.Dona’ di Piave, Premio città di Recanati, Reggio Calabria, Reggio Emilia etc. Alla fine mi sono convinto ad incidere un CD tutto mio, scegliendo nel mio repertorio 18 canzoni inedite, con l’aiuto di un mio carissimo amico, bravissimo al piano e all’arrangiamento. Ne è venuto fuori qualcosa di cui andare fieri.
10- Quanto è importante per te la lettura? Ci sono degli autori a cui ti ispiri o ai quali ti piacerebbe “somigliare”?
No, no, somigliare a qualcuno mai! Imparare da qualcuno sempre, anzi, da tutti o quasi, con molta umiltà, ci mancherebbe! E’ impossibile immaginare di scrivere se non si legge tanto, ma si deve leggere davvero, con passione e senza stupide presunzioni. Per la scelta vado a periodi e non mi importa se qualcuno storce la bocca per quello che dico. Ci sono stati periodi in cui mi intrigava Stephen King, per la sua facilità descrittiva e la sua capacità a descrivere i personaggi, specialmente i ragazzi, altri in cui sono andato in tutt’altra direzione e mi sono trovato a leggere appassionatamente Margherita Yourcenar, con il suo fantastico “Memorie di Adriano”, poi Virginia Woolf, Simenon (non solo Maigret), poi scrittori italiani come Camilleri, Andrea Vitali, ma anche i vecchi classici e tanti altri ancora.
11- E nel mondo della musica? C’è un cantautore a cui ti senti particolarmente legato o che prendi a modello?
Eh sì, lì non ho dubbi: Fabrizio De Andre’. Anche perché, dopo essere cresciuto con lui, quando era ancora uno sconosciuto ed eravamo veramente in quattro o cinque ad ascoltarlo (sempre solo su disco di vinile, ché i concerti erano da venire), dopo questo dicevo, mi sono trovato ad imparare a suonare la chitarra sulle sue canzoni che, ovviamente, conosco a memoria. Poi, senza assolutamente volerlo e senza quasi accorgermene, son cresciuto un po’, ho studiacchiato musica e ho cominciato a comporre canzoni secondo il suo stile. Per me è un mito! Ricordo che un giorno, dopo aver suonato e cantato dal vivo su un palco alla buona una mia canzone (La ballata di Gelsomina) e dopo essere stato applaudito a lungo, un tizio mi si avvicinò chiedendomi se la canzone che avevo appena cantato, e che gli era piaciuta tanto, l’aveva scritta De Andre’, a cui era dedicata perché tra l’altro era appena morto. L’ho abbracciato come un fratello e l’avrei anche baciato se la vergogna me lo avesse impedito. Per un bel po’ ho camminato a trenta centimetri da terra!
12- Sulla base della tua esperienza, che consiglio daresti a un esordiente desideroso di pubblicare?
Beh, ehi! Non sono mica così famoso e realizzato da dare saggi consigli agli esordienti! Sono giovane io (si fa per dire!) Scherzi a parte non ho proprio consigli da dare, se non quello di scrivere per passione, divertendosi a farlo. Poi, naturalmente, si deve tentare di coinvolgere qualcun altro e, perché no, tentare la sorte. Ma se non si riuscirà a “vincere la lotteria” non ci si deve rimanere troppo male, non sarà stato impegno sprecato. Scrivere è appagante per chi lo fa!
13- Qualche anticipazione sui tuoi progetti futuri?
Diciamo che intanto sto scrivendo il mio terzo romanzo, dal momento che il secondo uscirà pubblicato dalla Robin a novembre ’10, e sarà tutto diverso dal primo, il secondo, perché sarà un thriller, con tanto di serial killer! Poi avrei intenzione di provare a pubblicare, come detto sopra, alcuni miei racconti. Due raccolte nello stesso volume, una di storie fantastiche e una di storie…contro! E poi dovrei trovare il coraggio di presentare a qualcuno (?) una commedia che scrissi tempo fa. Insomma: tanta carne al fuoco…speriamo che non si bruci tutto!
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Re: Intervista a Sandro Orlandi
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