Intervista a Lorenzo Pompeo

Area dedicata alle interviste con gli autori che sono diventati famosi o che hanno capito come uscire dall'ombra. In questa sezione ci si potrà dare appuntamento per discuterne con loro.

Moderatore: Isabella Galeotti

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Intervista a Lorenzo Pompeo

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Lorenzo Pompeo, laureato all'Università La Sapienza di Roma in lingue slave, ha all'attivo numerose pubblicazioni tra le quali testi di teatro, una raccolta di favole ucraine e un dizionario italiano-ucraino. Ha tradotto e curato la pubblicazione di poeti contemporanei polacchi e ucraini.

1)Lorenzo Pompeo, laureato ed esperto di lingue slave, cosa ti affascina in particolare di queste culture?
È una domanda che mi hanno posto spesso, alla quale non so dare una risposta univoca e chiara, anche perché da parecchi anni oramai sono immerso in quelle culture. E quando si è immersi in una sostanza dopo un certo periodo di tempo, ciò non rappresenta più un desiderio o una aspirazione, ma un semplice dato di fatto, come può essere il nome e il cognome. Probabilmente ci sono alcune corde di quelle culture che risuonano in me. Questa credo sia l’unica cosa che posso dire

2) Quali autori in particolar modo hanno influito sulla tua scrittura?
Troppi. Non saprei da dove cominciare. Se parliamo di influenza, probabilmente si potrebbero scorgere tra le righe di alcuni miei racconti tracce di alcuni autori di racconti brevi umoristici, come il polacco Slawomir Mrozek, oppure il ceco Jaroslav Hasek e i russi Danil Charms e Michail Zoscenko, ma anche un certo senso dell’assurdo metafisico di alcuni autori serbi come Danilo Kis e Borislav Pekic.

3) Oltre alle traduzioni, hai scritto poesie, saggi, perfino dizionari, su quale di questi “terreni” ti muovi più a tuo agio?
Sono terreni molto diversi. Le traduzioni vengono commissionate dagli editori (anche se spesso sono stato io a proporre gli autori da tradurre), mentre le poesie le ho scritte da sempre, ma solo per una mia pura esigenza personale (per “consumo personale” come si dice nel caso degli stupefacenti). I saggi sono seguiti un po’ ai miei studi universitari e al dottorato di ricerca in slavistica e poi sono proseguiti seguendo i miei interessi e le mie passioni. I dizionari sono forse il lavoro meno “creativo”, che richiede soprattutto costanza e regolarità. Naturalmente è anche il meno gratificante. Ma è comunque utile, perché si impara anche dalla traduzione del singolo vocabolo. Si impara ad assumere la mentalità giusta, una impostazione che poi è utile per la traduzione, ma, in ultima analisi, anche per la scrittura “in proprio”, che potrei definire come l’ossessione del vocabolo esatto. È una specie di rovello che ci si porta dietro ovunque, in qualsiasi momento della giornata; poi succede che, da un momento all’altro, viene in mente quella parola, ed è una specie di rivelazione dai contorni mistico-religiosi. “È lei, proprio lei, quella che si stava cercando” e, a quel punto, la luce del vocabolo ha fugato l’ombra del dubbio. Questa singolare ossessione è il vero requisito del traduttore, ma credo sia utile anche per tutte le altre forme di scrittura, più o meno creativa.

4) Un’altra tua grande passione è il cinema, raccontaci in che misura te ne occupi.
Ho fondato qui a Roma l’Ass. cult. cineforum Cinit “Luis Bunuel”, che è parte del Cinit (cineforum italiano), associazione con la quale collaboro ormai da diversi anni. L’attività dell’associazione culturale da me fondata e presieduta consiste nella divulgazione del cinema dei paesi dell’Europa orientale e del cinema italiano in quei paesi. Ho organizzato diverse rassegne di cinema italiano in Polonia e di cinema polacco, slovacco, ceco e ungherese qui a Roma. Ritengo che il cinema di quei paesi è sostanzialmente e ingiustamente ignorato in Italia. Nel mio piccolo cerco di dare un contributo alla conoscenza e alla divulgazione di quelle cinematografie in Italia e di divulgare, a mia volta, il cinema italiano in quei paesi, dal momento che amo sia il cinema italiano (specialmente alcuni autori e alcuni film legati al filone della commedia all’italiana fino ai primi anni ’70) che quello dei paesi dell’Europa orientale, che tra il ’56 e il ’68 hanno vissuto una stagione di straordinaria fioritura artistica e creativa.

5) Auto-pseudo-biografo-mania, un titolo bizzarro, ha un significato particolare?
Il titolo della raccolta nasce da quello di un racconto. È composto da suffissi di origine greca di uso comune in italiano. L’ho scelto perché indicativo di molte caratteristiche della mia scrittura che vado qui ad elencare:
a) Autobiografica: c’è una evidente traccia dell’autobiografia nella mia scrittura, nel senso che utilizzo spesso situazioni, temi o tracce che partono da mie esperienze (ma che poi vengono trasfigurate o completamente rielaborate).
b) Pseudo-auto-biografia: alla base di molti miei racconti c’è una voce che racconta in prima persona fatti che, tra l’altro non sempre hanno una diretta relazione con la mia vita.
c) Grafo-mania: uno dei temi che più mi affascina e a cui accenno nei miei racconti è proprio la grafo-mania, ovvero la molla (talvolta patologica) che spinge a scrivere. Il racconto, intesa come narrazione, risponde evidentemente a una dimensione antropologica che comprende il grande romanzo come il pettegolezzo della cassiera. La scrittura, invece, è un’attività che nasce anche da una spinta narcisistica. La riflessione sulla scrittura, anche se in forma ironica o sarcastica o umoristica, è uno dei temi ricorrenti della raccolta di racconti.
d) La pseudo-biografia è quella del “personaggio di successo” inventato dal circo mediatico attraverso un cinico meccanismo che rende la persona una semplice “effige” riproducibile all’infinito. Questa effige è il prodotto di consumo, mentre la persona diventa uno “scarto di produzione”. La chirurgia estetica completa il cerchio: l’effige viene imposta, come una maschera, sul corpo e sul volto delle altre persone.
Concludendo, mi sembrava un titolo relativamente originale e divertente e, comunque, non troppo serio.

6) Una raccolta di racconti che esce fuori dagli schemi. Il primo illustra con dovizia di particolari il linguaggio dei gesti, scanzonato e divertente. Sembrerebbe quasi un voler mettere il lettore a suo agio prima di trattare temi molto più seri come i “primi sei passi”, una sorta di piccolo saggio sulla mente umana. Viene da chiedersi se tra i tuoi interessi c’è anche la psicanalisi?
I primi sei passi è un racconto un po’ diverso dagli altri, con una struttura complessa, che definirei quasi barocca. I sei testi fanno riferimento alle facce di un cubo o alle superfici di uno spazio nel quale si trova chiuso il soggetto narrante. La descrizione di questa sorta di segregazione è puramente mentale e potrebbe essere riferita a qualsiasi forma di dipendenza, così come alla malattia mentale. Non so se e quanto c’entri la psicanalisi. Che comunque, in effetti, ha fatto parte dei miei interessi. Ho avuto modo di frequentare per parecchi anni i seminari dell’analisi collettiva di Massimo Fagioli, qui a Roma, ma non so dirti se ciò ha una qualche relazione con quello o con altri racconti della raccolta o con altre cose che ho scritto.

8 ) Anche Kafka viene chiamato in causa nel tuo libro, con un Gregorio che, a differenza del più celebre Samsa, gode dell’aiuto di un assistente sociale, tra poeti in rivolta e aspirapolvere fagocitanti, se c’è un ordine nei racconti, qual è?
All’ordine preferisco il caos. Ma forse sarebbe più preciso dire che conosco solo quest’ultimo. (nel senso che non conosco l’ordine della mia scrittura). Scrivo sempre e solo quando ne ho voglia e non mi pongo mai un preciso obiettivo. Talvolta mi diverto a prendere un po’ in giro la “letteratura” (come nel caso di Gregorio Samsa o del sindacato dei poeti). Anche perché, quando sento parlare dell’ennesimo capolavoro della letteratura contemporanea italiana, penso subito all’ennesimo raggiro ai danni degli ignari acquirenti.

9) Il “fil rouge” che li accomuna tutti è senz’altro l’ironia, se dovessi definire la tua personalità in tre parole, quali useresti?
Credo e spero che la mia personalità non sia necessaria ai miei scritti. Cioè vorrei che i miei scritti si facessero strada da soli, che fossero ragazzi abbastanza maturi da cavarsela da soli senza l’aiuto del loro padre e che loro, le mie creature, siano molto più simpatiche e intelligenti di me.

10) Una domanda inevitabile, soprattutto in virtù delle tue pubblicazioni in campi diversi: quali e come sono stati i rapporti con le case editrici?
I miei rapporti con le case editrici sono cominciati parecchi anni fa, quando lavorai per un anno alla Salerno Editrice, qui a Roma. In quell’occasione ho avuto modo di vedere come funziona una casa editrice. Poi ho avuto rapporti con molte case editrici, compresa la Mondadori. Conosco direttamente molte realtà dell’editoria, specialmente quelle romane. Fino ad oggi i miei rapporti con gli editori sono stati piuttosto “spinosi” (non saprei definirli meglio). Anche se occorre dire che i comportamenti e le logiche degli editori sono lo specchio di quei comportamenti e di quelle logiche correnti (cioè comunemente accettati e adottati) in questo paese, che trovo ugualmente irritanti.

11) Ritieni che le medio-piccole case editrici promuovano abbastanza gli autori esordienti?
Nel mondo della cultura e dell’editoria la regola è quella di essere forti coi deboli e deboli coi forti. Gli esordienti sono i più deboli, a meno che non siano personaggi noti per altri motivi (personaggi del mondo dello spettacolo, sportivi, ecc.). Difficilmente si riesce a sfuggire da questa regola. Il resto lo puoi immaginare da sola…

12) Che programmi hai per il prossimo futuro? Data la tua versatilità ci si potrebbe aspettare anche un atlante geografico?
Sto finendo di scrivere (è un work in progress) una raccolta di pseudo-apocrifi sulla storia della bicicletta (si dovrebbe intitolare Ciclo-leggende sacre e profane) che vanno dalla creazione del mondo, preceduta da quella della bicicletta, passando per Adamo ed Eva, Caino e Abele, i primi ciclisti della storia, passando per Giona, Giobbe, fino ad arrivare a Buddha, Gesù, Maometto arrivando al falso ciclo-profeta Sabatai Zevi e ai due ciclo-alchimisti Edward Kelley e John Dee. Ho scritto un paio di romanzi brevi regolarmente cestinati oppure parcheggiati a tempo indeterminato sulle scrivanie di qualche editor.
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Massimo Baglione
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Re: Intervista a Lorenzo Pompeo

Messaggio da leggere da Massimo Baglione »

"regolarmente certinati" è la colonna sonora di noi scrittori ehehe
Lorenso ha scritto "un dizionario italiano-ucraino" intero? Escludendo l'ovvia padronanza delle due lingue, sarei curioso di sapere come si procede alla costruzione di un dizionario.
Bella intervista, complimenti sia a Lorenzo che all'intervistatrice.
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pia
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Re: Intervista a Lorenzo Pompeo

Messaggio da leggere da pia »

grazie :mrgreen: a breve lo avremi nostro ospite
Yle
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Re: Intervista a Lorenzo Pompeo

Messaggio da leggere da Yle »

pia ha scritto:vanno dalla creazione del mondo, preceduta da quella della bicicletta

:smt007 m'intriga!
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è probabilmente il primo libro del genere Downpunk, ma forse è meglio dire che il genere Downpunk è nato con questo libro. Sam L. Basie, autore ingiustamente sconosciuto, presenta una visione dell'immediato futuro che ci lascerà a bocca aperta. In un futuro dove l'individuo è perennemente connesso alla globalità tanto da renderlo succube grazie alla sua immediatezza, è l'Umanità intera a operare su se stessa una "riduzione di complessità", operazione resa necessaria per riportare l'Uomo a una condizione di vita più semplice, più naturale e più... umana. Nel libro, l'autore afferma che "anche solo una volta all'anno, l'Essere umano ha bisogno di arrangiarsi, per sentirsi vivo e per dare un senso alla propria vita", ma in un mondo dove tutto ciò gli è negato dall'estremo benessere e dall'estrema tecnologia, le menti si sviluppano in maniera assai precaria e desolante, e qualsiasi inconveniente possa capitare diventerà un dramma esistenziale.
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"La spina infinita" è stato scritto quasi vent'anni fa, quando svolgevo il mio servizio militare obbligatorio, la cosiddetta "naja". In origine era una raccolta di lettere, poi pian piano ho integrato il tutto cercando di dare un senso all'intera opera. Quasi tutto il racconto analizza il servizio di leva, e si chiude con una riflessione, aggiunta recentemente, che riconsidera il tema trattato da un punto di vista più realistico e maturo.
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A cura di Massimo Baglione.

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