I braviautori intervistano Francesco Scardone

Area dedicata alle interviste con gli autori che sono diventati famosi o che hanno capito come uscire dall'ombra. In questa sezione ci si potrà dare appuntamento per discuterne con loro.

Moderatore: Isabella Galeotti

miriam
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I braviautori intervistano Francesco Scardone

Messaggio da leggere da miriam »

L’intervista che segue è stata estrapolata dall’incontro/dibattito online che si è svolto nel forum di BraviAutori il 7 aprile scorso.
Protagonista, il giovane scrittore Francesco Scardone il cui ultimo romanzo, Anime tagliate, è stato pubblicato dalla Ciesse Edizioni.


L'estate scorsa sei stato ospite nel forum di BraviAutori per parlarci del tuo romanzo d'esordio "Necrophylia", a distanza di poco ci ritroviamo per una nuova pubblicazione, "Anime tagliate" (Ciesse edizioni).
Ti va di raccontarci cosa è successo e cosa è cambiato in questo intervallo di tempo?

È passato un anno, vero, pensavo meno... comunque sotto il punto di vista editoriale e per quel che riguarda la mia esperienza in questo mondo molte cose sono cambiate. Oggi non accetterei mai un contratto a pagamento come quello dell'MJM. Poco dopo aver pubblicato “Necrophylia” mi sono dedicato alla scrittura di “Anime tagliate” (in principio schegge). L’ho spedito a vari editori e dopo qualche mese mi è arrivata la proposta di Ciesse, una casa editrice che non chiede alcun contributo economico agli autori. Il libro è uscito circa un mesetto fa. La settimana prossima saremo (con me ci saranno altri autori della Ciesse) alla fiera del libro di Messina.

Cosa ha significato per te trovare, finalmente, un editore che ha creduto e ha scommesso sul tuo talento?
Questo ha cambiato in qualche modo il tuo modo di rapportarti alla scrittura?

No, per me il momento della scrittura e quello della pubblicazione sono due momenti completamente separati. Sono molto contento che un editore abbia scommesso di tasca propria sul testo, ma il mio approccio alla scrittura è sempre il medesimo, niente, credo, potrà cambiarlo. Quando scrivo non penso mai a lodi o critiche che sono state fatte ai miei precedenti scritti (che sia chiaro, quando ritengo una critica utile faccio di tutto per migliorare la mia scrittura in quel senso), il mio approccio è e sarà sempre uguale: raccontare me stesso.


Qualcuno sostiene che se c'è anche un solo lettore, l'opera vive ed ha la sua ragione di essere. Cosa ne pensi, Francesco?
Sono d'accordissimo... anzi sono anche più "estremista": per me l'opera ha ragione di essere per il semplice fatto di essere stata creata, con o senza lettori... sono convinto che l'unico modo vero per arrivare ai lettori sia non pensare al lettore... io non so per chi o cosa scrivo ma so che i film, i libri ecc. che mi emozionano sono quelli nati senza particolari dietrologie, senza pensare a ragioni di mercato, ragioni sociali, politiche... le opere che amo sono quelle nate con il solo intento di, mi ripeto (e in effetti è una cosa che dico spesso anche di solito), raccontare sinceramente il proprio io.

Un aspetto che colpisce della tua scrittura è la tua capacità di "prendere le distanze" dalla storia. Racconti di realtà molto forti, scavi nella psicologia dei personaggi ma non lasci mai trapelare da che parte stai. Non giudichi, non interferisci.
In molti sostengono che questa sia una gran dote per uno scrittore.
Come riesci a mantenere questo distacco? Ti viene naturale o è "studiato"?

Io non credo (e sotto questo punto di vista guardo sempre al mio più grande mito, Dostoevskij) che si possa stare dalla parte di qualcuno e che sia giusto prendere una posizione e schierarsi, ad ogni costo, per un valore, un'idea o simili. L'unica cosa che mi interessa e che, di conseguenza, è presente nella mia scrittura, è la voglia di conoscere, scavare nell'altro... sondare le ragioni profonde. Prendere una posizione, a mio parere, risulta veramente riduttivo. Non sono né mai sarò un idealista (almeno nel senso hegeliano o marxista della parola), non mi farò mai mangiare da un ideale mettendo in secondo piano quello che, per me, più conta: gli uomini (e questo, mi ripeto, se l'ho capito lo devo soprattutto al grande Fedor Dostoevskij


"Anime tagliate" è un romanzo incentrato sul tema del dolore. In questa opera lo scandagli da diversi punti di vista.
Cos'è per te il dolore? È un sentimento che associ, in qualche modo, alla scrittura?
Scrivere può essere anche dolore o un modo per sopire il dolore?

Un'idea precisa di cosa sia il dolore non la ho. Nel libro scandaglio la sofferenza sotto tutti i punti di vista che per me hanno più importanza ma non riesco, in ogni caso, ad arrivare ad una definizione di cosa sia veramente il dolore per me.
È un aspetto su cui mi soffermo spesso nei miei scritti... e se proprio dovessi, per forza, dargli una definizione, più o meno, direi così: per me il dolore nasce da quella "imposizione" della vita (non so se sono chiaro). Cerco di spiegarmi meglio: nel senso che la vita è come una scelta binaria, si può vivere (essere) o non vivere (e quindi non essere) ma non c'è mai una terza opzione... io credo il dolore nasca dalla percezione lontana e indistinta di quella terza opzione, della quale, comunque, non possiamo essere certi ma che, alcuni di noi, ritrovano in cose come l'arte.

Penso che parlare del dolore, oggi come ieri, faccia una certa presa. Il dolore è uno degli elementi su cui poggia la vita stessa. Veniamo al mondo nel dolore, e ce ne andiamo certamente non in un letto di rose. Ma penso che la cosa più interessante sia la ricerca di un senso del dolore. Il dolore ha un significato, un'utilità? Tu cosa ne pensi?
In tutta sincerità posso risponderti solo in un modo: lo spero! Spero che il dolore che proviamo ogni giorno abbia un senso catartico che vada oltre la nostra stessa comprensione. Logicamente non posso esserne certo, ma lo spero.

Come ti sei trovato con la Ciesse, sei soddisfatto del lavoro svolto?
Per quanto riguarda la copertina l'editore ha scelto veramente una bellissima cover di cui mi sono innamorato fin dalla prima visione. Per quanto riguarda l'editing del testo abbiamo lavorato su diversi aspetti strutturali (come ritmo di alcune parole, puntini di sospensione in abbondanza, alcune parole che uso troppo spesso nella scrittura facendole diventare ripetitive ecc) e il libro, alla fine, ne ha sicuramente tratto giovamento.

Nel tuo libro descrivi una pratica sadomaso a cui è dedito il protagonista che prevede un particolare utilizzo di cocci di vetro. Com’è nata l’idea?
Grazie per la domanda, mi fornisci il pretesto per parlare della persona a cui è dedicato il libro: Ingmar Bergman, che oltre ad essere uno dei miei registi preferiti, ha dato il là, con un suo film, il primo di lui che vidi, ad “Anime tagliate”. Nel suo film “Sussurri e grida” (che è stato anche uno dei titoli provvisori del mio ormanzo) una donna per non avere rapporti sessuali con il marito anziano si ferisce i genitali con un pezzo di vetro, fingendo di avere le mestruazioni. Da quella scena è nato “Anime tagliate”.

Come mai ha scelto proprio il genere pulp?
Ho sempre visto il pulp non come un genere ma più come un modo di raccontare. Ed è sicuramente, quello del pulp, un mondo in cui mi sento molto a mio agio. Su questo influisce sicuramente la mia "formazione artistica", fin dalla prima infanzia, piena zeppa di film splatter e libri dell'orrore.


Francesco, ma come si fa a immedesimarsi e raccontare un vissuto quando il protagonista che hai creato è un personaggio così... diverso?
A dire il vero nessuna difficoltà, per un semplice motivo: il protagonista di “Anime tagliate”, come tutti i miei personaggi è la trasposizione di qualcosa che fa parte della mia vita e del mio mondo. Che sia chiaro, per evitare fraintendimenti: non inserisco nulla nelle mie vie posteriori! (scusate la volgarità!). Quando parlo del mio mondo e della mia vita intendo un certo mood, un feeling con quello che mi succede e quello che sento che è sempre presente, anche in storie così forti e al limite. Non a caso, i personaggi dei miei due libri, un necrofilo e un trans sadico, non li ho mai visti come personaggi "negativi" (e qui ci si ricollega alla domanda di prima), per me erano, più semplicemente, due persone buone che soffrivano.


Come scrivi? Sì, insomma, quali sono i tuoi metodi, i tuoi tempi?
Non ho nessun metodo particolare. Scrivo, sempre, nella mia stanza, col pc, con la porta rigorosamente chiusa, da solo. Il 90% delle volte scrivo di notte (solitamente da mezzanotte alle 3 /4). Se qualcuno mi disturba mentre scrivo (soprattutto se a farlo è la centralinista di teletu, infostrada, telecom, ecc ecc ecc) divento un cane con la rabbia.

I protagonisti dei tuoi libri non hanno nome.
Non ha un nome il protagonista di Necrophylia e non ce l'ha quello di Anime tagliate, mentre tutti gli altri personaggi ne hanno uno. Perché?

Non so nemmeno io precisamente perchè i miei protagonisti non abbiano nome. Credo sia una cosa, per lo più, inconscia. Mi sono sempre usciti dalla "penna" senza nome e non ho mai avuto il coraggio, né la necessità di trovare soluzioni alternative alla scelta inconscia. Me lo sono chiesto spesso anch'io, arrivando a diverse soluzioni, nessuna delle quali mi ha convinto pienamente. Ora credo che il fatto di non dare nomi ai personaggi sia anche sintomo di una sorta di "scaramanzia", di "abitudine" nella scrittura.
E poi, ho veramente brutto gusto per i nomi! Mi scusino tutte le Luiselle, ma Luisella, ad esempio, (nome presente in tutti i miei due romanzi) è proprio un brutto nome e non è associato nemmeno ad un nome che nella mia vita abbia qualche significato particolare!

Che rapporto hai con Dio?
Dio è sempre presente nei miei scritti, in un modo o nell'altro c'è sempre. A dire il vero l'unico rapporto che ho con Dio è dato dalla grande speranza che ci sia. Anche se la parola Dio è, troppo spesso (e purtroppo anche da me come da credo dalla totalità degli umani) usata a sproposito. Per me Dio non deve essere uno strizzacervelli a cui confidare se stessi, una lampada magica a cui chiedere miracoli... ho sempre pensato a Dio, e questo aspetto è molto presente nei miei libri, come qualcosa che non ha niente a che vedere con l'uomo, che non solo lo trascende ma lo annulla. Arrivare a Dio, per me, equivale al negare l'Uomo.

Con cosa condiresti la tua esistenza?
Una delle cose che, al momento, mi renderebbe più felice, sarebbe dare il libro al mio artista preferito, Lars Von Trier.

Progetti per il futuro? Stai già scrivendo o pensando di scrivere qualcosa di nuovo oppure adesso ti concedi una pausa?
Non ho ancora cominciato a scrivere il romanzo nuovo ma l'idea c'è già. Questo, almeno come idea di partenza, sarà sicuramente un romanzo meno forte dal punto di vista delle immagini e della storia, diciamo così, rispetto agli altri due. In ogni caso, contenutisticamente, seguirà, bene o male, le orme dei precedenti.
Vorrei cominciare a scriverlo entro questo mese, speriamo bene! Per il momento scrivo, per "tenermi in forma" qualche raccontino per concorsi vari.
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Massimo Baglione
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Re: I braviautori intervistano Francesco Scardone

Messaggio da leggere da Massimo Baglione »

Ok Francesco, bravo! Ora però basta interviste se non pubblichi un altro libro, va bene? :-D
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Immagine <<< io ero nel Club dei Recensori di BraviAutori.it.

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www.massimobaglione.org
pia
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Re: I braviautori intervistano Francesco Scardone

Messaggio da leggere da pia »

ci sono tutte le domande più interessanti poste durante l'incontro, è di tutti noi che abbiamo partecipato :mrgreen:
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Angela Di Salvo
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Re: I braviautori intervistano Francesco Scardone

Messaggio da leggere da Angela Di Salvo »

Davvero una interessante intervista. Mi lascia perplessa la "questione sul dolore", ma capisco che per uno scrittore la percezione del dolore vada tenuta nel giusto equilibrio fra "distanza" e "vicinanza". Peccato che queste interviste si facciamo tardi, io per un motivo o per un altro me le perdo sempre.
Le parole non possono cambiare il mondo ma sono un buon modo per provarci. (A. Di Salvo)

77, le gambe delle donne
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concorso per racconti sulle donne

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Io sono nel club dei Recensori del sito Braviautori.it

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Déjà vu - il rivissuto mancato

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Talvolta, a causa di dinamiche non sempre esplicabili, uno strano meccanismo nella nostra mente ci illude di aver già assistito a una scena che, in realtà, la si sta vivendo solo ora. Il dèjà vu diventa così una fotocopia mentale di quell'attimo, un incontro del pensiero con se stesso.
Chi non ha mai pensato (o realmente vissuto) un'istantanea della propria vita, gli stessi gesti e le stesse parole senza rimanerne perplesso e affascinato? Chi non lo ha mai rievocato come un sogno o, perché no, come un incubo a occhi aperti?
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A cura di Francesco Zanni Bertelli.

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Ero sposata da poco e già mi stavo annoiando

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