La grandinata (19 luglio 1943)

Spazio dedicato alla Gara stagionale di primavera 2022.

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Sondaggio concluso il 20/06/2022, 1:00

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2 - Non è che ti sei proprio sforzato, vero?
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3 - Dai, si vede che ti sei impegnato!
0
Nessun voto
4 - Però! Da te non me lo aspettavo
3
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5 - Caspita! Allora sei bravo
13
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Domenico Gigante
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La grandinata (19 luglio 1943)

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«Consolate, consolate il mio popolo,
dice il vostro Dio.
Parlate al cuore di Gerusalemme
e gridatele
che è finita la sua schiavitù,
è stata scontata la sua iniquità,
perché ha ricevuto dalla mano del Signore
doppio castigo per tutti i suoi peccati»
(Isaia, 40, 1-2)

«Sta grandinando!».
Appollaiato sul davanzale, un uomo sbirciava fuori dalla finestra. Avrà avuto quasi settant'anni, una barba folta e ben curata, gli occhi neri e freddi. Era molto alto, ma curvo. Vestiva elegantemente e ai piedi aveva delle ciabatte di pelle, che facevano uno strano fruscio strusciando per terra.
Dietro di lui troneggiava una spaziosa scrivania dall'aria solida e austera. A questa severità faceva da contrasto la frivolezza di una abat-jour in stile liberty a foggia d'albero con un serpente attorcigliato intorno al tronco. La lampada era accesa e spandeva una luce fioca, che disegnava rami e tenere foglioline in vetro colorato. Accovacciato ai piedi dell'albero un cane dall'aria mite, che fungeva da calamaio.
Ancora più indietro, nella penombra di un angolo, un altro personaggio giaceva sprofondato in una poltrona chester. Anche lui vestito elegantemente, appariva molto più giovane del primo. Portava dei sottili baffi neri e i capelli lisci ben pettinati da un lato. Le gambe erano accavallate e batteva con impazienza un pacchetto di sigarette sul ginocchio.
La stanza era molto ampia e con il soffitto alto. Però risultava spoglia ed essenziale. Se si eccettua, infatti, un piccolo comò di nessun valore, una pesante libreria che occupava l'intera parete vicino alla porta a vetri e, naturalmente, la poltrona e la scrivania, non c'erano altri mobili. Sui muri si riuscivano a intravedere solo tre stampe di gusto floreale messe in fila.
L'uomo sulla poltrona si accese una sigaretta, tirò una grossa boccata, afferrò un posacenere sulla scrivania e cominciò a far oscillare la sigaretta stretta tra le due dita.
«Mi irrita moltissimo dover rimanere qui con tutto quello che ho da fare!», sentenziò da dietro il fumo. «Del resto in piena estate e con il sole che c'era stamane non potevo immaginare che sarei rimasto bloccato per la pioggia». Tirò un'altra grossa boccata dalla sigaretta. «Mi aspettano al ministero. C'è bisogno di me», concluse con un'aria di importanza mal celata.
Il vecchio davanti alla finestra non sembrava affatto interessato a questo sfogo. «Sono due ore che piove», disse con tutta calma, come stesse annotando una vicenda curiosa.
Continuava a scrutare fuori dalla finestra con aria divertita, fissando un punto dall'altro lato della strada: un tubo di scolo stava sputando acqua come un lavandino, creando un ruscello che scivolava giù a macchia d'olio dal marciapiede e trascinava con sé i chicchi di grandine fino al tombino.
Erano appena passate le tre del pomeriggio, ma sembrava già calata la sera: fitta e senza luna.
Il vecchio si allontanò dalla finestra e fece qualche passo nell'oscurità della stanza. La grigia luce della finesta dipingeva sul suo volto lineamenti estremamente dolci e sereni.
Il giovane tossì per richiamare l'attenzione del suo interlocutore, e porre fine a un silenzio imbarazzante. Due occhi luminosi attraversarono la stanza e si posarono sull'uomo in poltrona, creando in lui un certo turbamento.
«Perché devi andare al ministero?», chiese l'anziano personaggio.
«Lo sai che sono sbarcati giù in Sicilia?».
«Certo che lo so! Non è un segreto».
«Pare che siano stati aiutati dalla Mafia».
«Non mi sorprende! Lo fecero anche con Garibaldi», chiosò il vecchio con una punta di sarcasmo.
Il giovane annuì in maniera compiaciuta, come se si fosse aspettato quella risposta ironica. «È stato necessario richiamare le riserve. Si è aperto un nuovo fronte. Però questa volta lo abbiamo in casa. Sono molto forti. Risaliranno in fretta lo stivale. Tra qualche settimana saranno qui a Roma».
Il vecchio non fece una piega: «Bene! Li accoglieremo con gli onori dovuti ai vincitori, come abbiamo sempre fatto dai tempi degli imperatori».
«Vedo che non ti spaventa l'idea di essere invaso da questi nuovi barbari!».
«Certo non saranno peggio di quelli che se ne vanno!», disse l'anziano da dietro la scrivania. «Comunque la scelta è fra loro e i Tedeschi. Sempre che si possa scegliere». Si interruppe un attimo e assunse un'aria interrogativa: «Penso che anche tu preferisca gli Alleati, no?».
Il giovanotto annuì e fece una breve pausa per un'altra tirata di fumo. «In ogni caso bisognerà organizzarsi per ogni evenienza. La guerra per noi è perduta, ma fino a quando non si saprà chi l'ha vinta conviene cercare amici da entrambe le parti».
Il vecchio sogghignò: «La logica della bilancia: uguali pesi, uguali misure; almeno fino alla resa dei conti. Come pensate di riuscire a tenere buoni i due contendenti?».
«I Tedeschi non si fidano di noi, ma non possono permettersi qualche colpo di mano. Gli conviene ancora sperare almeno nella nostra neutralità. Il Re, invece, ha contatti segreti con gli Alleati. Confida se non altro di riuscire a evitare qualche follia. Roma potrebbe fare la fine di Londra».
«Non oseranno farlo!». Un senso di angoscia e di ira fece fremere il corpo del vecchio.
«Sì che oseranno farlo! A meno che non riusciremo ad accontentarli».
«E che cosa vogliono da noi?».
«Chiedono la testa di qualcuno».
Un'espressione drammatica e interrogativa si dipinse su quel volto, prima così sereno: «Chi?».
Il giovane attese un attimo prima di replicare, come se temesse che la risposta potesse materializzarsi lì tra loro da un momento all'altro: «Ciano si è messo d'accordo con il Re. Hanno coinvolto tutti nel loro progetto. Alla prossima riunione del Gran Consiglio voteranno la sfiducia e lo accuseranno di averci trascinato in una guerra impossibile, mettendo in ginocchio il paese. Verrà arrestato e processato. Forse giustiziato».
Il vecchio si accasciò sulla sedia, scuotendo la testa in senso di disapprovazione. «Lui già lo sa?».
«Credo di sì!», fu la risposta convinta. «Qualche indiscrezione ha superato la stretta sorveglianza e deve essere giunta alle sue orecchie. Comunque, se non è uno stupido, lo avrà intuito che non c'è più speranza per lui».
«Ha ancora il comando. Non temete che lo usi contro di voi per salvarsi?».
«Solo ufficialmente. In realtà è già tutto nelle mani di Badoglio. Ogni suo ordine, ogni sua direttiva passa a mala pena la porta dello studio. Ciano filtra tutto in modo tale che non possa nuocere. Lui si fida ancora del genero, non pensa sia implicato nel complotto. Almeno così crediamo».
«Avete organizzato tutto alla perfezione. Però potrebbe scappare».
«Meglio! Poche ore per poter annunciare al paese il suo tradimento e poi lo cattureremmo, ormai screditato agli occhi di tutti. Ci renderebbe la cosa più facile».
«Non lo farà! Si lascerà ammazzare, ma non vi darà questa soddisfazione».
«Non ci speriamo. L'importante è salvarsi».
Il vecchio si rialzò e tornò ad appoggiarsi al davanzale. Non smetteva ancora di piovere. Continuava a veder scendere fitte le gocce. Però il vento era scemato. Il temporale sarebbe durato ancora poco.
Il volto rugoso prese a sogghignare attraverso il vetro. «Pagliacci! Lo state sacrificando beatamente. Lui è il primo dei colpevoli, non c'è dubbio. La colpa, però, è un bene che si accumula, affinché all'occorrenza possa essere spartito».
Tacque come per raccogliere le idee. «Voi gerarchi siete colpevoli quanto lui. Fantocci alienati e limitati mentalmente, ma dotati di un'autorità quasi tirannica. Siete stati voi a volere la guerra per soddisfare l'élite militare e industriale. Certo anche lui ha voluto tutto questo, per carità! Però voi avevate il potere e il dovere di controllare la situazione.
Eravamo alleati naturali di Francia e Inghilterra. Purtroppo, però, alcuni dei tuoi ottusi e pusillanimi colleghi hanno stabilito che l'aggressività nazista si addiceva di più ai nostri sogni imperiali. Tutti a consigliarlo per il meglio, a dargli garanzie sulla buona riuscita del progetto.
Adesso serve qualcuno da sacrificare e non vi è sembrato vero di averlo sempre avuto davanti agli occhi. Deve essere piacevole come levarsi una macchia dall'anima. State attenti, però, perché lo spettro di Cesare vi perseguiterà. È un fantasma che porta male e fa molte vittime».
Il bersaglio di questa invettiva si accese un'altra sigaretta. La fiamma del cerino tremolò davanti al suo viso, rendendolo ben visibile per la prima volta dall'inizio della conversazione. L'interlocutore usò quella fioca luce per carpire l'effetto prodotto dalle sue parole. Si stupì nel percepire un'espressione impassibile, più che altro leggermente infastidita.
Il giovane gettò fuori il fumo, appoggiò la sua sigaretta nel posacenere, lasciandola consumare, e si alzò dalla poltrona. «Credi di avermi ferito in questo modo? Di aver penetrato questa corteccia di disillusione col tuo possente gladio?», proclamò, facendo un gesto pomposo e ridicolo da attore. «Invece era esattamente quello che mi aspettavo che dicessi: la stessa retorica che hai sempre usato. Ti conosco troppo bene, papà, per non sapere cosa mi aspettava. Sei una vecchia pentola di ceramica che perde sempre di più il suo smalto, la sua fantasia. Presto o tardi ti sostituiranno con pentole d'acciaio. Non saresti capace di suscitare in me un minimo di umiltà – o di vergogna, se preferisci – neanche se mi accusassi della morte della mamma».
Il vecchio restò sorpreso: «Mi appare incredibile ciò che dici; o meglio, ciò che rappresenti. La vanità è solo l'atteggiamento esteriore, i fronzoli di un bel vestito che si chiama superbia. Tu sembri detenere entrambi questi vizi in sommo grado, misti a una smisurata ambizione. Approfitti di ogni opportunità e, tenuto conto dell'incertezza costante che vi è nel riconoscere le buone occasioni, appari anche molto fortunato o furbo».
«Ti ringrazio per questo splendido elogio», rise beffardo il giovane.
«Già tu pensi che sia un encomio, vero?».
Si interruppe un attimo a riflettere. «Sai cosa non capisco? Mi sono sempre stupito nel constatare che l'uomo è fiero e orgoglioso. Però non ne vedo il motivo! Posso accettare che sia cinico, mentitore, adulatore, intrallazzatore. In fondo siamo degli esseri limitati, relegati dal buon Dio in questo mondo vagamente allucinante e mostruosamente crudele. Per sopravvivere è lecito fare questo e altro.
Ero convinto, però, che il senso del peccato, della colpa, fosse comune a ogni individuo – anche se privo di scrupoli – e gli impedisse di vantarsi e sentirsi compiaciuto per i suoi tradimenti e le sue atrocità. Mi sbagliavo!».
Il vecchio abbassò la testa in segno di rassegnazione: un teatrale ammaina bandiera. Poi guardò fisso il suo interlocutore e concluse: «Evviva l'uomo moderno, così intelligente da sottovalutarsi, e così sensato da rinnegare l'eroismo. Evviva quest'uomo vincitore nella dura lotta contro la coscienza e la morale».
Il giovane rise sarcastico. «Come sei professore, papà. Ti è mancato sempre lo spirito di fare qualcosa di originale. A te, in fondo, la dittatura è stata più utile di quanto non riesci ad ammettere. Tu sei sempre stato un poeta accademico. Attingevi a piene mani dal passato. Riempivi la brocca della tua ispirazione alla fonte antica e ne versavi il contenuto su un foglio, colmandolo di anacronismi e di vuotaggini. Era incredibile come non avessi niente da dire di profondo, tranne che dimostrare la tua maestria nell'estetica del verso.
Certo! Un'Italietta piccola e insignificante non ti sarebbe servita allo scopo. Avevi bisogno di grandi uomini e di grandi imprese da cantare. Ed ecco arrivare questo movimento che si proponeva di fare del nostro paese un impero e necessitava di magniloquenza per la sua propaganda. Tu hai colto solo l'occasione. Hai trasformato mediocri militari in osannati generali, uomini di Stato e prostitute in tanti re e dame a simposio. Sognavi di fare il Poliziano alla corte medicea.
Anche a te, in fondo, non piaceva. Anzi riprovavi con tutte le tue forze l'uso della violenza. Dicevi che l'arte non poteva germogliare in questo clima prepotente. Lo dicevi, però, svogliatamente, mentre continuavi a scrivere i tuoi versi.
Così tu esaltavi loro e loro esaltavano te. Hanno celebrato il tuo giubileo artistico e ti hanno dato una cattedra all'università. Ti hanno detto che eri un grande poeta e tu ci hai creduto. Come vedi il tuo scopo lo hai raggiunto in modo altrettanto vile, anche se meno riprovevole».
Il vecchio si sentì mancare. Il battito cardiaco si dimezzò e gli occhi divennero lucidi. Tornò a sedersi, si appoggiò coi gomiti alla scrivania e mise il volto tra le mani. Cominciava a spiovere, l'acqua cadeva meno intensa e fitta. C'era un mondo fuori in attesa di una serata stellata. Tutto questo, però, non aveva importanza per quell'individuo immobile e malato – la faccia ingiallita e le dita sporche di nicotina – che si specchiava nel vetro della sua scrivania, cercando di raccogliere le idee.
Apparentemente tutto quello che suo figlio aveva detto era vero. Lui aveva uno spirito servile: aggressivo solo con chi non poteva nuocergli. Questo non era molto onesto e virile, ma lo aveva sempre riconosciuto.
In quel momento gli tornò alla mente la morte di D'Annunzio. Gli avevano chiesto di preparare un elogio funebre da pubblicare sui giornali. Si mise a tavolino una sera e scrisse qualcosa che assomigliava molto più a un atto di accusa e di risentimento.
Il Vate disprezzava i poeti accademici come lui, che ignoravano la sensualità della natura e non sentivano assolutamente il fluire dei versi nel sangue. Egli, invece, provava invidia per quel poeta condottiero, perché non doveva servire per essere riverito. Gli onori gli venivano tributati anche se si dimostrava ostile al Regime. Tutto ciò era insopportabile per uno spirito libero costretto a un lavoro umile di poetucolo. Vigliaccamente rinunciò all'incarico e al privilegio.
Il vecchio tirò su il capo e cominciò a guardare nel vuoto con un'espressione estatica, come se stesse cogliendo una qualche sorprendente immagine mistica, che dipanava di fronte a lui una vita intera.
«Ricordo un anno. Era il 1911. Trent'anni fa ero ancora giovane. Forse mi ci sentivo soltanto. C'era l'Esposizione Universale, giù a Valle Giulia, con i padiglioni delle varie nazioni.
Quello austriaco era stato progettato da Hoffmann. Era un capolavoro, una novità per noi che eravamo abituati al classicismo di Koch e Piacentini: leggero, raffinato, essenziale, un piccolo gioiello, che custodiva i dipinti della nuova scuola viennese, lo Jugenstil, il Secessionismo. Vidi con meraviglia come un nuovo spirito e un nuovo linguaggio animava quella natura: un fitto bosco malinconico e crepuscolare; volti di donna che emergevano dall'oro luminoso; suggestioni orientali. Una sincera lievità e semplicità era unita a un sentimento profondo, che poteva essere l'amore come l'infelicità o la paura.
Me ne innamorai. Non riuscivo a capirne l'intima essenza, perché io non ero capace di provare o scrivere niente di simile. A quel tempo, però, sentii che volevo provarci. Entrare in quella cultura e creare qualcosa di nuovo e di originale.
Non ci riuscii, ma fui comunque io a vincere; almeno apparentemente. Mi ritrovai apprezzato e stimato poeta, mentre geni sconosciuti venivano respinti da un'élite accademica piena di cultura, ma troppo provinciale. Il nuovo veniva osteggiato, perché i giovani artisti erano considerati ignoranti; e forse questo era vero.
Per un momento, però, credetti che quest'arte potesse veramente prosperare in questo paese mentalmente immobile. La città si riempì improvvisamente di cartelloni e vetrine floreali, di cinema e caffè alla moda, di nuove accademie e circoli. Fu, però, solo un attimo. Neanche un decennio dopo era tutto scomparso. Rimasero solo una miriade di graziosi e inutili gingilli a decorare i nostri mobili. Mentre io continuavo a trionfare nella mia mediocrità.
Come vedi il mio ruolo non l'ho mai accettato in modo passivo. Se, però, uno è arido dentro non può far sgorgare fiumi di bellezza. Tutto il sapere di questo mondo non serve a farti diventare una persona sensibile. Dovevo nascere, come hai detto tu, nel '400. Sarei stato un buon umanista nel bene e nel male. Ne avevo le virtù: capacità retorica, buon gusto, ottima erudizione classica; e le debolezze: superbia, gelosia, meschinità. Purtroppo mi sono trovato in un'epoca che non sapeva apprezzare tutto questo e sono diventato un insignificante… ».
L'anziano personaggio non riuscì a terminare il discorso. Non era neanche in grado di dare un senso ai suoi ricordi. Non sapeva di preciso se voleva giustificarsi o commiserarsi. Continuò a bofonchiare parole senza senso con un fil di voce, perché il respiro gli era tolto da quell'ondata di emozioni.
Due braccia lo afferrarono per le spalle e lo scossero. «Papà, che ti succede? Stai bene?». Il vecchio si voltò a guardare il figlio piegato su di lui. Lo sguardo vuoto del padre intenerì fortemente il giovane. «Stavi piangendo?».
Il padre si ridestò e si strofinò gli occhi. Si rese conto allora che delle lacrime gli erano colate giù fino agli angoli della bocca: ne sentiva il sapore. «Piangevi?», insistette il figlio.
«No, no! È stato un malessere passeggero!», rispose il vecchio, provando a rassicurarlo in modo poco convincente.
«Sei pallido, hai il respiro affannato. Vuoi che chiamo un medico?».
«Sto bene! Non c'è problema».
«Sei proprio un lenzuolo», disse il giovane prendendo la testa del padre tra le mani e tenendola dalla nuca con dolcezza. I due si guardarono affettuosamente e si sorrisero.
«Passerà non ti preoccupare».
Suonò il campanello. «Chi sarà? Non aspetto nessuno!».
«Vuoi che vada ad aprire io?».
«No! Rimani pure qui».
Il vecchio si alzò e si diresse barcollante fino alla porta a vetri che chiudeva la stanza. L'aprì e si addentrò in un corridoio ampio nella semi oscurità.
La solitudine e il silenzio della stanza misero una strana angoscia nell'animo del giovane. Ripensò ad un sogno che aveva fatto in quei giorni ed il solo pensiero gli mise addosso una tristezza inusuale, che sembrava piegare la sua coscienza. Sentiva un vago senso di nausea, che saliva su per lo stomaco fino alla gola. Il vecchio ritornò dopo qualche minuto.
«Chi era?», chiese il giovane per liberarsi da quella sensazione.
«La signora Di Salvo. Mi ha chiesto di spegnere le luci per via del coprifuoco. Adesso che il marito è in guerra fa lei il capo stabile. È diventata una persona così sgradevole da quando non ha più sue notizie. Ci tratta tutti come se fossimo uccelli del malaugurio. Speriamo che torni presto il marito. Lui era più simpatico… più cortese».
«Non tornerà!», disse laconico il giovane.
«Che intendi dire?», fu la replica allarmata.
«È morto. Io lo so già da una settimana».
Il vecchio abbassò il capo in un gesto misto di sorpresa e angoscia: «Cosa aspetti a dirlo alla moglie?».
«Lo dovrei fare, ma non è facile!». Si passò una mano sugli occhi e se li strofinò, come un orologiaio che, avendo passato la giornata tra vitine e ingranaggi piccoli e sottili, a sera sentisse gli occhi troppo stanchi e non vedesse l'ora di chiuderli. «Quello che sono costretto a fare, papà, è spiacevole… è infame!».
Uno sguardo comprensivo si posò su di lui. «Non ti devi giustificare!».
«Non voglio giustificarmi, sento solo il bisogno di spiegare a qualcuno ciò che sto provando, perché – vedi – io mi sento uno sconfitto. Non sul piano politico, ma sul piano umano. Non è il tradimento a preoccuparmi, perché alla fine della guerra tutti quanti noi dirigenti del partito scompariremo. Alcuni dicono di no. Però io sono certo che siamo troppo screditati per continuare ad avere un ruolo in futuro. Oggi sacrifichiamo una persona, un simbolo, mentre gli altri cento colpevoli rimarranno al loro posto. È una necessità: serviamo ancora a qualcosa. Il paese ha ancora bisogno di noi. Non vi è, però, in me alcuna pretesa di salvezza. Poi, un domani, verrà il mio turno e giustizia sarà fatta. Come vedi cerco solo di guadagnare tempo.
Il problema, però, è quello che lasceremo. Non saremo mai in grado di dare una dignità al nostro paese. Ci conquisteranno – Tedeschi, Americani – e non ci tratteranno da sconfitti, ma da schiavi. Per loro siamo stati dei vili doppiogiochisti e come tali verremo considerati. Useranno le nostre città come campi di battaglia. Prenderanno con la forza i nostri uomini e li costringeranno a combattere l'uno contro l'altro. Si serviranno di noi come ostaggi o come bersagli. Ci strapperanno le nostre terre, ci affameranno e non avranno alcun rispetto per le nostre famiglie.
Quando finalmente se ne andranno, resteranno solo le macerie: un paese sterile, in ginocchio; il nostro sangue sparso a terra e prosciugato; migliaia di relitti umani senza forza… senza coscienza. Con questo esercito di disperati bisognerà ricominciare. E tutto questo sarà colpa della nostra idiozia. Sarà anche colpa mia! Non è facile vivere con questa verità gravante sulle spalle. Immagina solo l'orrore che provo ogni sera. È terribile! Senza requie! Senza speranza!».
Il giovane si coprì nuovamente gli occhi per impedirsi di guardare. Sentiva freddo come se le sue funzioni vitali si stessero arrestando. Fu scosso da un brivido. Percepì distintamente il solletico prodotto da una goccia di sudore che colava dal collo giù nella camicia. Questa sensazione lo distrasse per un momento dai suoi pensieri. Tirò dentro l'aria nei polmoni e la trattenne per qualche secondo. Quando la gettò fuori si sentì più rilassato e sereno. Era andato via anche quel senso di nausea che negli ultimi minuti lo aveva assalito.
Erano ormai quasi le quattro del pomeriggio.
Il dipinto di una fanciulla, che si sporge sorridente da un piccolo terrazzino floreale con la balaustra in ferro battuto, fu colpito da un raggio di sole insinuatosi attraverso i vetri della finestra. Le nuvole scomparivano definitivamente, lasciando spazio a un cielo azzurro: attraente e vitale. Qualcosa cambiava anche nell'aspetto della strada. Un gruppetto di bambine comparve da un portone. Tutto questo penetrava in qualche modo nella stanza, ma non trovava più persone vive ad accoglierlo.
«Vorrei che tu andassi via da Roma… che ti trasferissi in campagna dagli zii. Non so per quanto tempo, ma staresti più sicuro. Ho paura di perderti, papà!». Le parole del giovane suonavano come una supplica. Ci sono dei momenti in cui non si riesce a distinguere l'amore dalla paura della solitudine.
«Come vuoi tu!», rispose il vecchio.
Il figlio si avvicinò al padre, che era tornato a scrutare la via e i traffici che si rianimavano. Rimasero così, spalla a spalla, guardando fuori della finestra per svariati minuti.
La luce aveva inondato la città. L'aria era piacevole, fresca, anche se la temperatura era di nuovo alta. Il giovane osservava con curiosa ingenuità un gabbiano che ad ali spiegate passava basso sui tetti e, sfilando per un attimo davanti al sole, riportava l'ombra nella stanza.
Si intese, allora, il rombo di più aerei non lontani. Si intravide la loro sagoma che scendeva sulla città.
«Papà, presto, allontaniamoci dalla finestra!».
Il vecchio guardò spaventato il figlio. «Sono loro?». Il giovane annuì.
Fu questione di pochi istanti e si sentì un boato impressionante. Poi altri tutti di seguito. La terra tremò. Un lenzuolo appeso a qualche finestra o su un terrazzo volò via a causa del vuoto d'aria e si adagiò leggero sulla strada. Il vecchio, caduto per terra, fu aiutato a rialzarsi dal figlio e tornò ad affacciarsi alla finestra. Le sirene d'allarme suonavano all'impazzata per tutta la città. Una donna dall'aspetto terrorizzato guardava verso il fondo della via una densa nuvola di polvere che si alzava.
Un bambino, seduto sul marciapiede, piangeva.

Moscioni, Romualdo. Roma - Esposizione 1911 - Padiglione dell'Austria. 1911. Fondo Becchetti, ICCD
Il fulcro del padiglione austriaco all'Esposizione Internazionale di Roma del 1911 è la sala Klimt, spesso citata nella stampa come "tempietto" o "abside" per la sua forma semicircolare e per l'aura quasi sacrale. Al suo interno, Klimt presentò otto dipinti e quattro disegni, tra ritratti, paesaggi, soggetti allegorici. Fra questi il celebre dipinto Il bacio.
Allegati
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Ultima modifica di Domenico Gigante il 28/03/2022, 16:05, modificato 1 volta in totale.
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Messaggio da leggere da Domenico Gigante »

FraFree ha scritto: 22/03/2022, 10:21 Un lavoro corposo, bravo. Ripassare un po’ di storia non fa mai male, ancora di più adesso che pare (non pare, è) si sia riproposta la drammaticità di quella grandinata, che poi non sarebbe neppure una novità, visto che in altri luoghi questa è una condizione perpetua.
Le scene e i dialoghi sono quasi tangibili, hai la capacità di caratterizzare in modo genuino personaggi e luoghi.
Piaciute anche la citazione del vangelo e l’immagine allegata, calzanti.
Fra
Grazie Fra! E' un racconto piuttosto complesso (scusami, ma adesso me la canto e me la suono). C'è la Storia, ma c'è anche la storia e, a un livello ancora più profondo, c'è la biografia (il rapporto con mio padre). Tutte queste cose cercano di convivere e trovare spazio. Talvolta con difficoltà. Tra l'altro il racconto originale era quasi il doppio. Ho dovuto fare un grosso lavoro di taglio per poterlo proporre qui.
Vorrei essere il mare che si muove per rimanere se stesso e più di tanto non lo sposta il vento. Fragile ma tenace.
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Messaggio da leggere da Namio Intile »

Evviva l'uomo moderno, così intelligente da sottovalutarsi, e così sensato da rinnegare l'eroismo. Evviva quest'uomo vincitore nella dura lotta contro la coscienza e la morale».
Vincitore nei confronti di ogni forza e forma della tradizione greco romana e giudaico cristiana. L'uomo moderno creatore della società della tecnica, penso io.

Notevole racconto, ben strutturato, colmo di pensieri e carico di riflessioni intelligenti sulla vita e sulla storia recente, dove il confronto tra il padre e il figlio, entrambi sconfitti e consapevoli della sconfitta, seppure ciascuno a modo proprio, dà il la a un confronto serratp tra il presente il passato e il futuro del paese.
I due non sono antitetici, ma complementari, entrambi organici al regime pure se ognuno a modo proprio.
Se proprio devo fare una critica mi sono sembrati forse troppo consapevoli di ciò che è la realtà del momento, tutt'e due figli del senno del poi, coscienti della sconfitta e dei suoi probabili risultati sembrano non reclamare la necessità (e verità) delle proprie azioni precedenti.
Mi ha sempre incuriosito quell'ultima seduta del Gran Consiglio, specchio di un paese stupidamente burocratico (dove era necessario l'approvazione di un OdG per declassare il Duce del Fascismo costruttore dell'impero a semplice Capo del Governo quindi dimettibile a piacere dallo sciaboletta, il re imperatore, a favore di un altro primo ministro corresponsabile come tanti di venti anni di regime). E quell'accenno, nell'OdG Grandi, ai sacrifici di quattro generazioni di italiani sacrificati all'altare di un'alleanza innaturale e di una guerra velleitaria... potevano pensarci prima.
Suggestive e condivisibili in parte le riflessioni filosofiche e storiche, solo non credo che degli alti membri del partito avrebbero potuto pensare quell'accenno alla mafia... Mussolini la mafia in Sicilia l'aveva bella che sconfitta, o almeno così il regime si vantava. E poi non è vero che in Sicilia non si combatté. I combattimenti ci furono, ma la superiorità alleata era schiacciante. Molte città dell'isola vennero rase al suolo, come Palermo. Novemila morti in un giorno di bombardamenti alleati nel maggio del 1943. Unica città ad essere stata bombardata anche dall'aviazione regia in agosto. Pensa che stronzi i savoia.
Il tuo vecchio non so perché mi ha ricordato il Federzoni presidente dell'Accademia d'Italia che votò l'OdG Grandi nell'ultima seduta del Gran Consiglio.
Ma gli echi e i rimandi sono tanti, formidabile racconto.
Nulla da segnalarti dal punto di vista formale, eccetto questo passo:"Da molto tempo saremmo stati alleati di Francia e Inghilterra" dove ti sei complicato un po' la vita. Eravamo alleati storici e naturali avrei scritto.
Lo sbarco alleato in Sicilia è di luglio, non giugno. Mi dirai che Pantelleria e Lampedusa sono cadute in giugno, ma quelle sono isole siciliane. Nell'isola di Sicilia lo sbarco iniziò il nove luglio.
Complimenti, a rileggerti
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Messaggio da leggere da Domenico Gigante »

Namio Intile ha scritto: 23/03/2022, 18:17 Evviva l'uomo moderno, così intelligente da sottovalutarsi, e così sensato da rinnegare l'eroismo. Evviva quest'uomo vincitore nella dura lotta contro la coscienza e la morale».
Vincitore nei confronti di ogni forza e forma della tradizione greco romana e giudaico cristiana. L'uomo moderno creatore della società della tecnica, penso io.

Notevole racconto, ben strutturato, colmo di pensieri e carico di riflessioni intelligenti sulla vita e sulla storia recente, dove il confronto tra il padre e il figlio, entrambi sconfitti e consapevoli della sconfitta, seppure ciascuno a modo proprio, dà il la a un confronto serratp tra il presente il passato e il futuro del paese.
I due non sono antitetici, ma complementari, entrambi organici al regime pure se ognuno a modo proprio.
Se proprio devo fare una critica mi sono sembrati forse troppo consapevoli di ciò che è la realtà del momento, tutt'e due figli del senno del poi, coscienti della sconfitta e dei suoi probabili risultati sembrano non reclamare la necessità (e verità) delle proprie azioni precedenti.
Mi ha sempre incuriosito quell'ultima seduta del Gran Consiglio, specchio di un paese stupidamente burocratico (dove era necessario l'approvazione di un OdG per declassare il Duce del Fascismo costruttore dell'impero a semplice Capo del Governo quindi dimettibile a piacere dallo sciaboletta, il re imperatore, a favore di un altro primo ministro corresponsabile come tanti di venti anni di regime). E quell'accenno, nell'OdG Grandi, ai sacrifici di quattro generazioni di italiani sacrificati all'altare di un'alleanza innaturale e di una guerra velleitaria... potevano pensarci prima.
Suggestive e condivisibili in parte le riflessioni filosofiche e storiche, solo non credo che degli alti membri del partito avrebbero potuto pensare quell'accenno alla mafia... Mussolini la mafia in Sicilia l'aveva bella che sconfitta, o almeno così il regime si vantava. E poi non è vero che in Sicilia non si combatté. I combattimenti ci furono, ma la superiorità alleata era schiacciante. Molte città dell'isola vennero rase al suolo, come Palermo. Novemila morti in un giorno di bombardamenti alleati nel maggio del 1943. Unica città ad essere stata bombardata anche dall'aviazione regia in agosto. Pensa che stronzi i savoia.
Il tuo vecchio non so perché mi ha ricordato il Federzoni presidente dell'Accademia d'Italia che votò l'OdG Grandi nell'ultima seduta del Gran Consiglio.
Ma gli echi e i rimandi sono tanti, formidabile racconto.
Nulla da segnalarti dal punto di vista formale, eccetto questo passo:"Da molto tempo saremmo stati alleati di Francia e Inghilterra" dove ti sei complicato un po' la vita. Eravamo alleati storici e naturali avrei scritto.
Lo sbarco alleato in Sicilia è di luglio, non giugno. Mi dirai che Pantelleria e Lampedusa sono cadute in giugno, ma quelle sono isole siciliane. Nell'isola di Sicilia lo sbarco iniziò il nove luglio.
Complimenti, a rileggerti
Grazie mille Namio! In storia mi sei maestro. Le tue note sono preziose.
La consapevolezza dei due protagonisti, ovviamente, è voluta: il mio intento era proprio di riflettere su quel momento drammatico tra lo sbarco degli Alleati e l'8 settembre, quando tutti i nodi vennero al pettine e l'Italia si ritrovò di fronte ad una disonorevole sconfitta.
Ho scelto il 19 luglio, perché sono romano. Ma anche in omaggio a mia nonna che abitava a Viale Manzoni. Il suo racconto del terribile bombardamento di San Lorenzo è per me un ricordo indelebile.
Grazie ancora!
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Francesco Pino ha scritto: 23/03/2022, 21:52 La storia raccontata attraverso un dialogo tra padre e figlio, bel lavoro davvero, complimenti. Hai dato spazio sua agli avvenimenti storici e politici che al lato umano dei due personaggi, il tutto senza dilungarti eccessivamente. Il titolo e il finale collocano il racconto all'interno di un preciso episodio storico.
Notevole.
Grazie mille Francesco per le tue parole. Sono molto fiero di questo racconto e non lo nascondo. E' stato il frutto di una felice ispirazione: più unica che rara. Chi lo sa se sarò mai in grado di ripetermi. Grazie ancora!
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Mi associo volentieri ai complimenti per questo bellissimo racconto, in cui chi vuole può anche trovare riferimenti alla situazione odierna: il ruolo degli intellettuali, la pervicacia del potere nel fare le scelte sbagliate, la scelta del capro espiatorio per pararsi le terga. Tutto già visto, tutto molto attuale e (probabilissimamente) futuro.
Saluti
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inizio con una premessa, ho dato 4 non certo perchè da te non mi aspettassi un racconto bello. Il racconto mi piace, è scirtto bene, pulito e senza errori. L'argomento mi piace molto, nella storia si sintetizza un momento difficile dell'Italia senza fare inutili spiegoni.

Ottimo lavoro.
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Giovanni p ha scritto: 24/03/2022, 16:51 inizio con una premessa, ho dato 4 non certo perchè da te non mi aspettassi un racconto bello. Il racconto mi piace, è scirtto bene, pulito e senza errori. L'argomento mi piace molto, nella storia si sintetizza un momento difficile dell'Italia senza fare inutili spiegoni.

Ottimo lavoro.
Ciao Giovanni! Grazie per il tuo commento ed il tuo voto, che è più che generoso. A presto!
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Andr60 ha scritto: 24/03/2022, 12:23 Mi associo volentieri ai complimenti per questo bellissimo racconto, in cui chi vuole può anche trovare riferimenti alla situazione odierna: il ruolo degli intellettuali, la pervicacia del potere nel fare le scelte sbagliate, la scelta del capro espiatorio per pararsi le terga. Tutto già visto, tutto molto attuale e (probabilissimamente) futuro.
Saluti
Grazie infinite per il tuo giudizio. Hai ragione sul fatto che purtroppo sono cose già viste. Quando l'ho scritto c'era la guerra in Iraq. Quasi vent'anni dopo è la volta dell'Ucraina. Passa il tempo, ma non passano le bombe.
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Mithril ha scritto: 28/03/2022, 14:48 fino alla resa dei-conti. -> è rimasto il trattino

Qui siamo su un altro livello! complimenti per il racconto e per essere riuscito a tagliarlo per rientrare nei limiti di caratteri, hai certamente motivo di esserne fiero. tanti spunti diversi che si accavallano in modo non banale, ottima resa dei diversi punti di vista, bravo!
Grazie mille per i complimenti. Ho fatto la correzione che mi hai segnalato. A presto!
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Ciao Domenico, ho apprezzato molto il tuo racconto, si sente, si percepisce che hai lasciato molto di te stesso in questo testo. Complimenti.
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Gabriele Pecci ha scritto: 28/03/2022, 16:54 Ciao Domenico, ho apprezzato molto il tuo racconto, si sente, si percepisce che hai lasciato molto di te stesso in questo testo. Complimenti.
Grazie Gabriele!
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Mi è piaciuta molto la descrizione dell'ambiente liberty con la poltrona, la lampada in ghisa e la scrivania pesante Sembra di essere lì. Ho apprezzato molto anche la capacità di far vedere i personaggi, le loro emozioni. E mi è piaciuta molto anche la descrizione della portinaia petulante. Avrei reso più formale il rapporto padre figlio.
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Il racconto mi è piaciuto molto, complimenti all'autore per la parte storica che trovo assai obbiettiva e scevra da pregiudizi. Mi è piaciuta soprattutto la figura del vecchio, quanta tenerezza mi ha fatto coi suoi dubbi… "Così tu esaltavi loro e loro esaltavano te. Hanno celebrato il tuo giubileo artistico e ti hanno dato una cattedra all'università. Ti hanno detto che eri un grande poeta e tu ci hai creduto. Come vedi il tuo scopo lo hai raggiunto in modo altrettanto vile, anche se meno riprovevole" avrei voluto abbracciarlo perché il fascismo ha sovente premiato i migliori ( ci sono le opere artistiche gli edifici le bonifiche ecc. che lo testimoniano tra l'altro anche i treni erano in perfetto orario) si è tenuto Benedetto Croce, ha dato spazio agli architetti più bravi e anche il fiore della pittura comunista cioè Guttuso fu premiato al concorso della pittura italiana durante il fascismo, senza contare il forte legame del duce con la Sarfatti ( amo l'arte e il cosiddetto Colosseo quadrato è una grande opera tutt'oggi considerata poco per via di esser in odor di fascio, ma mi dilungherei troppo) Altro punto in cui avrei voluto abbracciare il vecchio è quando dice di essere invidioso del Vate… D'Annunzio non era una brava persona, superuomo che faceva debiti senza poi pagarli, che usava le donne, che iniziava imprese che non terminava perché gli venivano a noia, certo poetava da Dio ma gli uomini dei suoi romanzi danno un senso di repulsione con la loro inettitudine e il loro gran gusto e raffinatezza… mentre il vecchio, mi ci sono specchiata… si può dare voto 5?
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Re: La grandinata (19 luglio 1943)

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Paola Tassinari ha scritto: 29/03/2022, 14:35 Il racconto mi è piaciuto molto, complimenti all'autore per la parte storica che trovo assai obbiettiva e scevra da pregiudizi. Mi è piaciuta soprattutto la figura del vecchio, quanta tenerezza mi ha fatto coi suoi dubbi… "Così tu esaltavi loro e loro esaltavano te. Hanno celebrato il tuo giubileo artistico e ti hanno dato una cattedra all'università. Ti hanno detto che eri un grande poeta e tu ci hai creduto. Come vedi il tuo scopo lo hai raggiunto in modo altrettanto vile, anche se meno riprovevole" avrei voluto abbracciarlo perché il fascismo ha sovente premiato i migliori ( ci sono le opere artistiche gli edifici le bonifiche ecc. che lo testimoniano tra l'altro anche i treni erano in perfetto orario) si è tenuto Benedetto Croce, ha dato spazio agli architetti più bravi e anche il fiore della pittura comunista cioè Guttuso fu premiato al concorso della pittura italiana durante il fascismo, senza contare il forte legame del duce con la Sarfatti ( amo l'arte e il cosiddetto Colosseo quadrato è una grande opera tutt'oggi considerata poco per via di esser in odor di fascio, ma mi dilungherei troppo) Altro punto in cui avrei voluto abbracciare il vecchio è quando dice di essere invidioso del Vate… D'Annunzio non era una brava persona, superuomo che faceva debiti senza poi pagarli, che usava le donne, che iniziava imprese che non terminava perché gli venivano a noia, certo poetava da Dio ma gli uomini dei suoi romanzi danno un senso di repulsione con la loro inettitudine e il loro gran gusto e raffinatezza… mentre il vecchio, mi ci sono specchiata… si può dare voto 5?
Devi mettere 5!😜
A parte le battute ti ringrazio molto per il commento. Se metti un voto, ricordati di cambiare l'oggetto del tuo commento in "Commento", altrimenti il voto non è valido.
Grazie ancora!
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Re: La grandinata (19 luglio 1943)

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Paola Tassinari ha scritto: 29/03/2022, 14:35 Il racconto mi è piaciuto molto, complimenti all'autore per la parte storica che trovo assai obbiettiva e scevra da pregiudizi. Mi è piaciuta soprattutto la figura del vecchio, quanta tenerezza mi ha fatto coi suoi dubbi… "Così tu esaltavi loro e loro esaltavano te. Hanno celebrato il tuo giubileo artistico e ti hanno dato una cattedra all'università. Ti hanno detto che eri un grande poeta e tu ci hai creduto. Come vedi il tuo scopo lo hai raggiunto in modo altrettanto vile, anche se meno riprovevole" avrei voluto abbracciarlo perché il fascismo ha sovente premiato i migliori ( ci sono le opere artistiche gli edifici le bonifiche ecc. che lo testimoniano tra l'altro anche i treni erano in perfetto orario) si è tenuto Benedetto Croce, ha dato spazio agli architetti più bravi e anche il fiore della pittura comunista cioè Guttuso fu premiato al concorso della pittura italiana durante il fascismo, senza contare il forte legame del duce con la Sarfatti ( amo l'arte e il cosiddetto Colosseo quadrato è una grande opera tutt'oggi considerata poco per via di esser in odor di fascio, ma mi dilungherei troppo) Altro punto in cui avrei voluto abbracciare il vecchio è quando dice di essere invidioso del Vate… D'Annunzio non era una brava persona, superuomo che faceva debiti senza poi pagarli, che usava le donne, che iniziava imprese che non terminava perché gli venivano a noia, certo poetava da Dio ma gli uomini dei suoi romanzi danno un senso di repulsione con la loro inettitudine e il loro gran gusto e raffinatezza… mentre il vecchio, mi ci sono specchiata… si può dare voto 5?
Ciao Paola! Scusami, se cambi il titolo del tuo commento in "Commento", invece che "Re: La grandinata (19 luglio 1943)" il tuo voto sarà valido. Ti ringrazio tanto e a presto!
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Scrivere commenti su questo setting è, spesso, imbarazzante dato che io concordo in genere con le vostre opinioni.
Per evitare di ripetere cose giá dette da altri, voglio esprimere un apprezzamento per quanto detto dall'autore.Sfoltire una propria opera non è cosa facile, talvolta ingrata:leggendo questo racconto ho l'impressione che sia stato fatto
un buon lavoro dato che non vedo alcun superfluo.
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Myname ha scritto: 19/04/2022, 12:51 Scrivere commenti su questo setting è, spesso, imbarazzante dato che io concordo in genere con le vostre opinioni.
Per evitare di ripetere cose giá dette da altri, voglio esprimere un apprezzamento per quanto detto dall'autore.Sfoltire una propria opera non è cosa facile, talvolta ingrata:leggendo questo racconto ho l'impressione che sia stato fatto
un buon lavoro dato che non vedo alcun superfluo.
Ciao! Grazie mille per il commento. E' stato effettivamente un lavoro un po' complesso. Non è stato solo un taglio, ma anche un'attività di editing molto accurata. Ho rivisto termini e intere frasi che non mi suonavano. Il risultato finale, devo dire, mi soddisfa più dell'originale. Come hai detto tu, c'è meno superfluo.
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Re: La grandinata (19 luglio 1943)

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Sono le tre di notte e mi sto rendendo conto dell'intensità tua nello scrivere il racconto.
Oltre a questo, sto apprezzando le parentesi relative alla pioggia: un particolare che rompe lo schema portante in un modo molto gradevole e ben scritto.
I due personaggi sembrano dapprima estranei poi, quando si arriva alla parola "papà" cambia tutta l'atmosfera del racconto.
A tratti dura, con il figlio impietoso, a tratti discorsiva, con il padre che racconta e spiega
Sullo sfondo, l'aria di un fallimento politico e l'aspettativa di una "invasione di barbari" che non si sa....
Proprio un bel racconto, lo sto rileggendo rilassato e tranquillo,
in una notte che vorrei fosse bagnata dalla pioggia vista la siccità!
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Domenico, ti hanno già detto tutto! :D
Normalmente non leggo MAI i commenti altrui prima di commentare io stesso, questa volta non ci sono riuscito: finita la lettura avevo mezze impressioni che non osavo verbalizzare, e poi...
Effettivamente il racconto è quello che resta di un'opera più corposa (non essendo l'unico primo, credo che dovremo chiedere a Max di ampliare i limiti di battute per le gare o creare gare a parte per opere più lunghe), cosa che io ho percepito soprattutto nel brusco cambiamento nell'atteggiamento del figlio al mancamento del padre, da una baldanzosa e sprezzante sicumera a un compassionevole spirito filiale del quale non sembrava esserci traccia in precedenza.
Questo taglio del testo permette di apprezzare la qualità dell'opera maggiore, ma ne risente in alcuni passaggi meno limati.
Quindi, a cosa dare il voto, a questa o all'altra? Indubbiamente all'altra, ci mancherebbe altro.
Ho goduto la descrizione dell'ambiente: ne ho ricevuto l'impressione di quegli stanzoni della prima metà del '900 così diversi dalla minuziosa, inutile, ossessiva, vanagloriosa decorazione di ogni angolo della casa con gingilli, ninnoli, foto e cianfrusaglie, persino le case da rivista. Mi ricorda un po' la casa dei miei nonni: i mobili di mogano laccato nero dalle gambe esili, due, al massimo tre mobili per stanza, gli armadi che non osavano accostarsi alle pareti...
E il liberty: quei due/tre oggetti dall'estetica così gioiosamente naturale.
So bene che, dopo la guerra, ci sembra che l'Italia abbia dato poco allo stile, ma è una percezione da rivedere: tanto nell'architettura quanto nell'arredamento, le esili linee del liberty erano le meno adatte a reggere ai bombardamenti ai quali fu sottoposta la penisola mentre americani e tedeschi percorrevano lo stivale verso il nord. La solidità di mura grosse e forme ben piantate salvò meglio l'eredità classica, romanica, rinascimentale e neoclassica. È lo stesso bias col quale molti dicono che "i ponti dei romani sono sopravvissuti ai giorni nostri": quali ponti? Quanti? Quelli che sono sopravvissuti! Degli altri non rimane traccia. È un argomento del quale chiacchiero a volte con mia moglie, architetto progettista nel campo delle ristrutturazioni, che racconta delle loggette e vetrate liberty andate in frantumi a Napoli, ad esempio.
Ho trovato leggermente sfasato il passo

"Voi gerarchi siete colpevoli quanto lui. Fantocci alienati e limitati mentalmente, ma dotati di un'autorità quasi tirannica. Siete stati voi a volere la guerra per soddisfare l'élite militare e industriale. Certo anche lui ha voluto tutto questo, per carità! Però voi avevate il potere e il dovere di controllare la situazione.
Eravamo alleati naturali di Francia e Inghilterra. Purtroppo, però, alcuni dei tuoi ottusi e pusillanimi colleghi hanno stabilito che l'aggressività nazista si addiceva di più ai nostri sogni imperiali. Tutti a consigliarlo per il meglio, a dargli garanzie sulla buona riuscita del progetto."

Viene presentato come un impromptu ("Tacque come per raccogliere le idee"), mentre avrei visto meglio una ripetizione di cose già dette, magari rielaborate alla luce del recente sbarco, anche perché al momento il rapporto padre-figlio non sembra dei migliori. Inoltre, la ricapitolazione storica sfocia in alcuni momenti nella chiara denuncia a posteriori, cosa che sento poco convincente per un accademico del partito padre di un gerarca: a una certa età si è più saggi, forse, ma è anche più difficile cambiare le proprie convinzioni.
Quando il periodo chiude con "State attenti, però, perché lo spettro di Cesare vi perseguiterà. È un fantasma che porta male e fa molte vittime»." invece riprende benissimo il personaggio del cattedratico che usa il proprio linguaggio.

Posso incorniciare questa?
"Per un momento, però, credetti che quest'arte potesse veramente prosperare in questo paese mentalmente immobile. La città si riempì improvvisamente di cartelloni e vetrine floreali, di cinema e caffè alla moda, di nuove accademie e circoli. Fu, però, solo un attimo. Neanche un decennio dopo era tutto scomparso. Rimasero solo una miriade di graziosi e inutili gingilli a decorare i nostri mobili. Mentre io continuavo a trionfare nella mia mediocrità."
A memoria imperitura! Siamo ancora così. Davvero il conformismo provinciale è il nostro male genetico, ma non mi dilungo perché altrimenti...

Nella prima metà del racconto ho notato alcune virgole (per me) di troppo, come in "Vestiva elegantemente e ai piedi aveva delle ciabatte di pelle, che facevano uno strano fruscio strusciando per terra."
Al di là della virgola in eccesso, mi domando se è possibile che l'uomo avesse pattine invece, per stare in casa: un altro dei miei ricordi d'infanzia, ma si parla già dei '70, e in 30 anni di cose ne erano passate parecchie.

Eccellente!
«Amare, sia per il corpo che per l'anima, significa creare nella bellezza» - Diotima

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Autore presente nei seguenti libri di BraviAutori.it:
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Marino Maiorino ha scritto: 24/04/2022, 9:45 Domenico, ti hanno già detto tutto! :D
Normalmente non leggo MAI i commenti altrui prima di commentare io stesso, questa volta non ci sono riuscito: finita la lettura avevo mezze impressioni che non osavo verbalizzare, e poi...
Effettivamente il racconto è quello che resta di un'opera più corposa (non essendo l'unico primo, credo che dovremo chiedere a Max di ampliare i limiti di battute per le gare o creare gare a parte per opere più lunghe), cosa che io ho percepito soprattutto nel brusco cambiamento nell'atteggiamento del figlio al mancamento del padre, da una baldanzosa e sprezzante sicumera a un compassionevole spirito filiale del quale non sembrava esserci traccia in precedenza.
Questo taglio del testo permette di apprezzare la qualità dell'opera maggiore, ma ne risente in alcuni passaggi meno limati.
Quindi, a cosa dare il voto, a questa o all'altra? Indubbiamente all'altra, ci mancherebbe altro.
Ho goduto la descrizione dell'ambiente: ne ho ricevuto l'impressione di quegli stanzoni della prima metà del '900 così diversi dalla minuziosa, inutile, ossessiva, vanagloriosa decorazione di ogni angolo della casa con gingilli, ninnoli, foto e cianfrusaglie, persino le case da rivista. Mi ricorda un po' la casa dei miei nonni: i mobili di mogano laccato nero dalle gambe esili, due, al massimo tre mobili per stanza, gli armadi che non osavano accostarsi alle pareti...
E il liberty: quei due/tre oggetti dall'estetica così gioiosamente naturale.
So bene che, dopo la guerra, ci sembra che l'Italia abbia dato poco allo stile, ma è una percezione da rivedere: tanto nell'architettura quanto nell'arredamento, le esili linee del liberty erano le meno adatte a reggere ai bombardamenti ai quali fu sottoposta la penisola mentre americani e tedeschi percorrevano lo stivale verso il nord. La solidità di mura grosse e forme ben piantate salvò meglio l'eredità classica, romanica, rinascimentale e neoclassica. È lo stesso bias col quale molti dicono che "i ponti dei romani sono sopravvissuti ai giorni nostri": quali ponti? Quanti? Quelli che sono sopravvissuti! Degli altri non rimane traccia. È un argomento del quale chiacchiero a volte con mia moglie, architetto progettista nel campo delle ristrutturazioni, che racconta delle loggette e vetrate liberty andate in frantumi a Napoli, ad esempio.
Ho trovato leggermente sfasato il passo

"Voi gerarchi siete colpevoli quanto lui. Fantocci alienati e limitati mentalmente, ma dotati di un'autorità quasi tirannica. Siete stati voi a volere la guerra per soddisfare l'élite militare e industriale. Certo anche lui ha voluto tutto questo, per carità! Però voi avevate il potere e il dovere di controllare la situazione.
Eravamo alleati naturali di Francia e Inghilterra. Purtroppo, però, alcuni dei tuoi ottusi e pusillanimi colleghi hanno stabilito che l'aggressività nazista si addiceva di più ai nostri sogni imperiali. Tutti a consigliarlo per il meglio, a dargli garanzie sulla buona riuscita del progetto."

Viene presentato come un impromptu ("Tacque come per raccogliere le idee"), mentre avrei visto meglio una ripetizione di cose già dette, magari rielaborate alla luce del recente sbarco, anche perché al momento il rapporto padre-figlio non sembra dei migliori. Inoltre, la ricapitolazione storica sfocia in alcuni momenti nella chiara denuncia a posteriori, cosa che sento poco convincente per un accademico del partito padre di un gerarca: a una certa età si è più saggi, forse, ma è anche più difficile cambiare le proprie convinzioni.
Quando il periodo chiude con "State attenti, però, perché lo spettro di Cesare vi perseguiterà. È un fantasma che porta male e fa molte vittime»." invece riprende benissimo il personaggio del cattedratico che usa il proprio linguaggio.

Posso incorniciare questa?
"Per un momento, però, credetti che quest'arte potesse veramente prosperare in questo paese mentalmente immobile. La città si riempì improvvisamente di cartelloni e vetrine floreali, di cinema e caffè alla moda, di nuove accademie e circoli. Fu, però, solo un attimo. Neanche un decennio dopo era tutto scomparso. Rimasero solo una miriade di graziosi e inutili gingilli a decorare i nostri mobili. Mentre io continuavo a trionfare nella mia mediocrità."
A memoria imperitura! Siamo ancora così. Davvero il conformismo provinciale è il nostro male genetico, ma non mi dilungo perché altrimenti...

Nella prima metà del racconto ho notato alcune virgole (per me) di troppo, come in "Vestiva elegantemente e ai piedi aveva delle ciabatte di pelle, che facevano uno strano fruscio strusciando per terra."
Al di là della virgola in eccesso, mi domando se è possibile che l'uomo avesse pattine invece, per stare in casa: un altro dei miei ricordi d'infanzia, ma si parla già dei '70, e in 30 anni di cose ne erano passate parecchie.

Eccellente!
Ciao Marino! Ti ringrazio tantissimo per l'attenzione con cui hai letto il racconto e per il lungo commento. E' una gioia per me, perché mette in luce molti dei pregi e dei limiti del mio racconto. Tutte cose su cui concordo pienamente con te, ma che ovviamente vorresti che anche il lettore riuscisse a notare. E tu lo hai fatto.
Rispondo ad alcune cose che hai notato:

1) Sì, il mutamento del figlio appare repentino, lo so. Avrei voluto renderne più chiare le ragioni, che restano invece nell'ombra.
2) Il liberty, soprattutto a Roma, non ha mai veramente attecchito. E' stato sempre considerato come uno stile straniero e alieno al gusto italico, benché non siano mancate preziose opere e autori di grande calibro anche da noi. Purtroppo era uno stile borghese che non ha trovato terreno fertile in un ambiente borghese molto arretrato come quello italiano. La pesante architettura postunitaria neoclassica e neorinascimentale di Piacentini e Koch non si addiceva al gusto floreale. Il mio intento nella descrizione degli ambienti era proprio quello di contrapporre i due stili. Così come il riferimento all'Esposizione universale del 1911.
3) Lo scopo principale del testo era quello di operare una riflessione su quei giorni fondamentali tra lo sbarco Alleato e l'8 settembre, in cui la disfatta apparve più limpida. I miei personaggi dovevano avere una consapevolezza molto lucida del momento per poter operare questa riflessione, ma non volevo che anticipassero troppo. Mi rendo conto che in molti casi non sono riuscito ad operare una fusione di queste due esigenze. E si sente.
4) Sulle pattine confesso che non saprei dirti. Mia moglie, da parte sua, mi ha contestato l'uso del tu, invece che del voi, tra padre e figlio. Dice che non è realistico. Certe scelte rispondono al modo in cui sento la scena. Io sentivo che il vecchio padre dovesse indossare delle ciabatte. Una reminiscenza della mia infanzia.

Grazie ancora per il tuo splendido commento.
Vorrei essere il mare che si muove per rimanere se stesso e più di tanto non lo sposta il vento. Fragile ma tenace.
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Marino Maiorino
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Re: La grandinata (19 luglio 1943)

Messaggio da leggere da Marino Maiorino »

Già, il "voi". :D
Credo che in questo caso la tua scelta sia stata azzeccata: per il lettore di oggi un "voi, padre" sarebbe arrivato carico di un distacco che non c'era nelle intenzioni dei protagonisti. Quando si narra la storia bisogna valutare il racconto su più tempi.
A presto.
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Domenico Gigante
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Messaggio da leggere da Domenico Gigante »

Bravoautore ha scritto: 08/05/2022, 17:41 Hai scritto un'opera .... Gigantesca.
Quello che mi piace é come hai segnalato la parentela tra i due.
Fino a quel momento si poteva supporre di tutto(si fa per dire), poi le cose si sono chiarite.
Forse hai un po' calcato la mano sulla caratterizzazione dei personaggi, l' effetto é quello di un leggero " bassorilievo" nella lettura.
Probabilmente cerchi la perfezione nell' esporre e nel far capire, questo ti costa uno sforzo notevole, mi piacerebbe leggere un tuo racconto breve per poterti conoscere letterariamente il piú possibile rilassato!
Volevo metterti un 5, poi ho riflettuto e mi sono detto:se gli dò un 5 confermo tutto quanto anche la fatica improba che hai fatto.
Ogni tanto sono un po' psicologo, specie con gli amici.
Grazie per il tuo commento! In realtà la prima stesura è nata di getto. Era un pomeriggio di inizio settembre. Avrò avuto 20 o 21 anni. Il cielo si era fatto improvvisamente nero e l'oscurità era scesa sulla città. Iniziò a grandinare forte. Da qui è nato l'incipit del racconto.
All'improvviso davanti a quel diluvio, come un fiume che ha rotto gli argini, iniziai a scrivere di getto questa storia su un padre e un figlio che si rinfacciano le proprie connivenze con il Regime e finiscono per ritrovare la serenità e l'affetto proprio mentre comincia il bombardamento degli Alleati. Una riflessione "neorealista" sul fascismo e sul disastro italiano, nata in un giorno di pioggia di molti anni fa.
Come ho scritto in un altro commento il racconto originale era molto più lungo e l'ho dovuto tagliare per poterlo inserire in questa gara. Il taglio è stato difficile, ma mi ha dato modo di rivedere diverse cose, limare il testo e metterci qualcosa che ho imparato negli ultimi 25 anni dalla prima stesura.
Di norma leggo e rileggo con attenzione quello che scrivo, perché sono disortografico. Questo è lo sforzo maggiore che sono costretto a fare nella scrittura. Ma mi è molto utile, in quanto mi dà modo di rendere anche più fluido, scorrevole e interessante il periodo.
Grazie ancora per il tuo commento.
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Messaggio da leggere da Ilsestogatto »

Finita la lettura non sono riuscito a scrivere subito un commento perché ho avuto bisogno di tempo per rifletterci sopra -e ancora adesso non so bene da che parte cominciare.

Il fatto è che -almeno secondo me- nel raccontare un singolo episodio si apre quasi a ventaglio una serie di chiavi di lettura che si sommano e si accavallano senza che una riesca ad essere prevalente su un'altra. Perché c'è la vicenda storica, ovviamente, ma anche il rapporto padre figlio, con il loro dialogo da cui saltano fuori il cinismo del potere e della politica, gli echi di una decadenza morale che porta ad una decadenza dell'arte, la fine di un'epoca e un futuro visto con pessimismo e senza alcuna prospettiva ideale…

Voglio aggiungere che anche la narrazione mi è piaciuta molto, perché oltre a godermi l'abile descrizione dell'ambiente e i tratti dei personaggi (ecco, per inciso: forse i dialoghi sono un po' troppo contemporanei, io ho una certa età e mi ricordo il modo di parlare di mio padre… ) mi sono sentito passo dopo passo, quasi in crescendo, emotivamente trasportato sempre di più in un "crepuscolo degli dei" la cui conclusione si percepisce quasi fisicamente.

Complimenti all'autore
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Ilsestogatto ha scritto: 10/05/2022, 16:39 Finita la lettura non sono riuscito a scrivere subito un commento perché ho avuto bisogno di tempo per rifletterci sopra -e ancora adesso non so bene da che parte cominciare.

Il fatto è che -almeno secondo me- nel raccontare un singolo episodio si apre quasi a ventaglio una serie di chiavi di lettura che si sommano e si accavallano senza che una riesca ad essere prevalente su un'altra. Perché c'è la vicenda storica, ovviamente, ma anche il rapporto padre figlio, con il loro dialogo da cui saltano fuori il cinismo del potere e della politica, gli echi di una decadenza morale che porta ad una decadenza dell'arte, la fine di un'epoca e un futuro visto con pessimismo e senza alcuna prospettiva ideale…

Voglio aggiungere che anche la narrazione mi è piaciuta molto, perché oltre a godermi l'abile descrizione dell'ambiente e i tratti dei personaggi (ecco, per inciso: forse i dialoghi sono un po' troppo contemporanei, io ho una certa età e mi ricordo il modo di parlare di mio padre… ) mi sono sentito passo dopo passo, quasi in crescendo, emotivamente trasportato sempre di più in un "crepuscolo degli dei" la cui conclusione si percepisce quasi fisicamente.

Complimenti all'autore
Grazie mille per il generoso commento! Hai ragione sui dialoghi, ma - a parte l'incapacità di renderli più aderenti al periodo (ad esempio l'uso del voi anche tra figli e genitori) - trovavo incomprensibile per il gusto contemporaneo un simile linguaggio: temevo che, privilegiando l'aspetto filologico, si perdesse l'aspetto emotivo dello scontro tra due persone, che in qualche modo se la danno verbalmente di santa ragione. Grazie ancora!
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Messaggio da leggere da Madamelaguillotine »

Bel racconto Domenico, davvero un bel racconto.
Leggo dai commenti che l'hai elaborato e rielaborato, se ho ben capito, anche per questo ti metto un 5.
In questi tempi di brevissimi, un buon racconto breve ma non troppo fa bene alla mente!
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Madamelaguillotine ha scritto: 17/05/2022, 8:22 Bel racconto Domenico, davvero un bel racconto.
Leggo dai commenti che l'hai elaborato e rielaborato, se ho ben capito, anche per questo ti metto un 5.
In questi tempi di brevissimi, un buon racconto breve ma non troppo fa bene alla mente!
Grazie mille per il generoso commento. E complimenti per il nickname :D
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Messaggio da leggere da Luca P »

Ritrovare questo racconto dopo una vita mi ha riportato a trent'anni fa, quando me lo hai fatto leggere in anteprima, e già allora c'era dentro una maturità profonda, che ha conservato intatta. E la lezione più semplice e più dura da imparare, che la Storia è fatta della storia di ogni uomo, dei piccoli fatti che compongono quest'ultima. Che le miserie umane non cambiano mai, e i figli non capiscono mai i padri, se non dopo aver ripetuto gli stessi errori
Ultima modifica di Luca P il 21/05/2022, 22:06, modificato 1 volta in totale.
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Messaggio da leggere da Domenico Gigante »

Luca P ha scritto: 17/05/2022, 14:25 Quando la storia e la Storia si intrecciano, spesso salta fuori qualcosa di memorabile. Complimenti
Grazie mille per i complimenti!
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Messaggio da leggere da Laura Traverso »

Massimo dei voti per questo tuo racconto impregnato di Storia. Mi è piaciuto come hai dipanato il narrato attraverso il dialogo tra padre e figlio, dove si intendono, anche, i giochi di potere comuni in tutte le epoche e soprattutto in ogni conflitto bellico. La lettura, pur se il racconto è stato di impegnativa lunghezza, non stanca è scorre fluida. Le descrizioni sono perfette per riuscire ad immedesimarsi nella storia narrata. Poetico, pur nella sua drammaticità, il finale che dice: "Un bambino, seduto sul marciapiede, piangeva" Bravo!
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"...come se dal cielo fosse calata la mano divina di un Dio stanco e dispiaciuto dei propri errori, o come se tutte le altre grandi divinità finora inventate dal Genere umano per compensare la propria inconsapevole ignoranza tribale e medievale verso i misteri della Natura e della Vita, si rivoltassero ai propri Creatori e decidessero di governare le loro fantasie".
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